Archivi tag: Einaudi

Cosa leggiamo a Natale. I consigli dei Serpenti

Come ogni anno, eccoci arrivati alle porte del Natale. Anche quest’anno, dunque, arrivano puntuali i consigli dei Serpenti.

Emanuela D’Alessio
le_otto_montagne
Leggere per viaggiare o viaggiare per leggere? In realtà la lettura è di per sé un viaggio, di cui spesso si ignorano i punti di partenza e di arrivo.
Con Le otto montagne di Paolo Cognetti (Einaudi, 2016) si parte da Milano per arrivare a Grana, ai piedi del Monte Rosa, passando per il Nepal e le valli sacre dell’Annapurna. Inizia così un andare e venire dall’estate all’inverno, un salire e scendere tra pascoli, boschi e alpeggi, una storia d’amore con la montagna che dura una vita intera, tra un padre un figlio, tra due amici che si scoprono da bambini e si ritrovano adulti. Si cammina e ci si arrampica, si suda e si soffre, si ascoltano i suoni della notte gelida e del ghiacciaio che si ritira, si scopre che «l’estate cancella i ricordi proprio come scioglie la neve, ma il ghiacciaio è la neve degli inverni lontani, è un ricordo d’inverno che non vuole essere dimenticato».
Una bellissima e potente storia, da leggere con lo stesso incedere lento e costante di chi va in montagna, per fermarsi solo quando si è arrivati in cima.

Con Karma clown di Altaf Tyrewala (traduzione di Gioia Guerzoni, Racconti edizioni, 2016) si precipita nel caos spiazzante di Mumbai, trascinati dalla voce sferzante e ironica di uno scrittore atipico e sconosciuto ai più, nato a Mumbai nel 1977, attualmente residente negli Stati Uniti. Il suo ritorno in Italia (era uscito per Feltrinelli nel 2007 il romanzo Nessun dio in vista) lo dobbiamo alla traduttrice Gioia Guerzoni: «Altaf è stato la mia guida a Bombay per tantissimi inverni. Peccato che ora abiti a Dallas, e che Modi sia al governo. Non ci vediamo da tempo ma sono riuscita a proporre i suoi racconti durissimi e molto poco Shining India, Karma clown, a un altro editore del cuore» (dall’intervista di Elvira Grassi, novembre 2016) e ai due giovani editori romani Stefano Friani ed Emanuele Gianmarco di Racconti edizioni. Quattordici racconti per narrare, tra iperrealismo e fantasia, un’umanità eterogenea, sgangherata e cialtrona, cinica e idealista. Da non perdere l’incipit di Libri nuovi e di seconda mano, con cui si apre il libro. «La lettura è sopravalutata. Non leggo un libro da anni e sto bene lo stesso, grazie tante. Solo perché vendo libri di mestiere non vuol dire che debba sapere di cosa parlano. Sono come un chimico. Se provassi i miei prodotti sarei già morto e sepolto oppure molto molto malato. E comunque è così che vedo i libri, come una cura per menti malate, stampelle di carta per intelletti vacillanti che faticano a trovare un appiglio nel mondo».

Infine, per concludere questo viaggio o per renderlo infinito, c’è Bussola di Mathias Enard (traduzione di Yasmina Melaouah, Einaudi, 2016), un libro maestoso e imponente, raffinato e inesauribile, che ha vinto il Premio Goncourt nel 2015. Una storia d’amore che si snoda per anni tra Europa, Iran, Siria e Turchia. Un romanzo senza limiti temporali e senza confini, dove perdersi e smettere di cercarsi.

Rossella Gaudenzi
Uno degli incontri sulla letteratura per ragazzi tra gli undici e i quattordici anni tenuti da Carla Ghisalberti un anno fa verteva sul tema “La banda… uno, nessuno e centomila”. In quell’occasione sono stati presentati diversi libri sull’argomento. Uno in particolare mi era venuto in mente, La guerra dei bottoni di Louis Pergaud nell’edizione integrale BUR ragazzi a cura di Antonio Faeti. La presentazione di Susanna Mattiangeli mi ha fatto pensare a un romanzo giocoso, un classico scritto oltre cento anni fa, nel 1912, dal linguaggio obsoleto e spassoso. L’ho acquistato di recente, finalmente, e lo leggerò senz’altro durante il periodo natalizio.

bordelloA completare la mia selezione natalizia ci sono due titoli destinati a un pubblico più maturo, acquistati a Più Libri Più Liberi di quest’anno. Appunti da un bordello turco di Philip Ó Ceallaigh (traduzione di Stefano Friani), il libro numero uno (maggio 2016) della nuova piccola casa editrice romana Racconti edizioni. «Se vuoi farti un’idea di come se la passa una città devi andare a vedere i suoi margini. Il centro ti dirà che va tutto bene. La periferia ti dirà il resto». L’autore, nato in Irlanda, vive a Bucarest da quindici anni, ha girato mezzo mondo ed è approdato alla scrittura dopo aver svolto una moltitudine di lavori, i più disparati. Ammetto di avere grandi aspettative da questa nuova realtà editoriale.

L’esile Pronto soccorso per scrittori esordienti di Jack London (traduzione di Andreina Lombardi Bom, minimum fax 2005), raccolta di testi narrativi, lettere e brevi saggi sul mestiere della scrittura, ha solleticato la mia curiosità. L’associazione tra autore e titolo mi è sembrata insolita e questo è bastato per desiderane la lettura.

Elena Refraschini
Se non l’aveste già letta, il mio primo consiglio per queste vacanze è di gettarvi nella Trilogia della Pianura di Kent Haruf, recentemente ripubblicata in tiratura limitata da NN Editore in un cofanetto per i lettori più affezionati. Vi troverete raccolti, naturalmente, i titoli già pubblicati nel corso degli ultimi due anni: Benedizione, Canto della pianura e Crepuscolo. Le chicche che ve ne faranno innamorare, però, sono le due mappe della città di Holt disegnate da Marco Denti e da Franco Matticchio (chiunque si senta un esploratore oltre che lettore non potrà che lasciarsi incantare da questa proposta), e un messaggio da parte di Cathy Haruf, moglie dell’autore scomparso nel 2014.

haruf

Anche i miei due prossimi titoli hanno a che fare col viaggio, anche se in sensi e intenti molto diversi. La graphic novel Il suono del mondo a memoria del fumettista italiano Giacomo Bevilacqua (Bao publishing, 2016) è una lettera d’amore a colori per New York, e la delicata storia che narra ne impreziosisce il risultato. Vi sfido a voltare l’ultima pagina e resistere all’impulso di prenotare il primo volo verso l’Atlantico.

Il terzo titolo è l’uscita più recente del mio autore del cuore, Kader Abdolah, che è passato in Italia qualche settimana fa per promuovere Un pappagallo volò sull’Ijssel (traduzione di Elisabetta Svaluto Moreolo, Iperborea, 2016). Una storia corale che, come gli altri titoli dell’autore, vi farà riflettere sui grandi temi, dalla guerra alla povertà, dall’immigrazione all’integrazione, all’amore e alla poesia. Ma, come ogni grande libro che si rispetti, alla fine vi costringerà a riposizionare qualcosa nel vostro arredamento emotivo.

Le otto montagne – Paolo Cognetti

Stiamo leggendo Le otto montagne di Paolo Cognetti (Einaudi, 2016).

le_otto_montagnePaolo Cognetti ha scritto una bellissima e potente storia d’amore, tra lui e la montagna, tra un padre e un figlio, tra due amici che si scoprono, si perdono e si ritrovano  tra vette innevate e salite ardite. Si cammina e ci si arrampica, si suda e si soffre, si ascoltano i suoni della notte gelida e del ghiacciao che si ritira, si resta senza fiato per la fatica e per la bellezza inaspettata di un paesaggio. Si riflette sulla propria esistenza e si resta incantati. Un romanzo prezioso, da leggere prendendo il ritmo di una salita, una pagina dopo l’altra, per fermarsi solo quando si è arrivati in cima.

Alzavamo lo sguardo soltanto alla fine degli alberi. Sulla spalla glaciale il sentiero si ammorbidiva, e uscendo al sole incontravamo gli ultimi villaggi alti. Erano posti abbandonati o quasi, anche peggio di Grana, se non per una stalla in disparte, una fontana che ancora funzionava, una cappella ben tenuta. Sopra e sotto le case il terreno era stato spianato e le pietre raccolte in cumuli, e poi scavati canaletti per irrigare e concimare, e terrazzate le rive per farne campi e orti: mio padre mi mostrava queste opere e mi parlava con ammirazione degli antichi montanari. Quelli arrivati dal nord delle Alpi nel Medioevo erano capaci di coltivare la terra a quote a cui nessuno si spingeva. Possedevano tecniche speciali e una speciale resistenza al freddo e alle privazioni. Ormai nessuno, mi disse, sarebbe più riuscito a vivere lassù d’inverno, come per secoli avevano fatto loro.
Io osservavo le case diroccate e mi sforzavo di immaginare gli abitanti. Non riuscivo a capire come mai qualcuno avesse scelto una vita tanto dura. Quando lo chiesi a mio padre lui mi rispose nel suo modo enigmatico: sembrava sempre che non potesse darmi la soluzione ma appena qualche indizio, e che alla verità io dovessi per forza arrivarci da solo.
Disse: – Non l’hanno mica scelto. Se uno va a stare in alto, è perché in basso non lo lasciano in pace.
– E chi c’è, in basso?
– Padroni. Eserciti. Preti. Capi reparto. Dipende.

Quando mia madre finì il suo racconto mi vennero in mente i ghiacciai. Il modo in cui mio padre me ne parlava. Lui non era uno che tornava sui propri passi, né amava ripensare ai giorni tristi, però certe volte, in montagna, anche su quelle montagne vergini dove non era morto nessun amico, guardava il ghiacciaio e qualcosa nella sua memoria veniva a galla. Diceva così: che l’estate cancella i ricordi proprio come scioglie la neve, ma il ghiacciaio è la neve degli inverni lontani, è un ricordo d’inverno che non vuole essere dimenticato.

Paolo Cognetti è nato a Milano nel 1978. Da anni vive tra Milano e una baita a duemila metri. È stato alpinista e matematico, e a volte pensa di non avere mai smesso di essere nessuno dei due. Ha lavorato nel cinema indipendente milanese come autore di documentari, sceneggiatore e montatore di cortometraggi, cuoco. Insieme a Giorgio Carella è fondatore della casa di produzione cameracar. Ha deciso di fare lo scrittore in un cinema parrocchiale, dopo la proiezione del film L’attimo fuggente, nel 1992. Ha passato gli anni successivi alla ricerca del suo capitano, fino al giorno in cui, nel 1997, ha scoperto Raymond Carver. Da allora ama la letteratura americana e scrive racconti. Con Sofia si veste sempre di nero (minimum fax, 2012) è stato finalista al Premio Strega. Le otto montagne è diventato subito un caso letterario ed è in via di traduzione in 30 Paesi.

Qui la nostra intervista nel 2013 a Paolo Cognetti.

Qui il post dove Paolo Cognetti racconta la genesi di Le otto montagne.

Le otto montagne
Paolo Cognetti
Einaudi, 2016
pp.199, € 18,50

I consigli per l’estate dei Serpenti: Emanuela D’Alessio e Rossella Gaudenzi

Emanuela D’Alessio consiglia: 

I pesci non hanno gambe e Questo grande universo di Jón Kalman Stefánsson (trad. di Silvia Cosimini, Iperborea, 2015, 2016)
L’Islanda non è più un luogo remoto e sconosciuto, non per le recenti imprese e balli vichinghi della nazionale di calcio, ma grazie ai libri di Jón Kalman Stefánsson e a Silvia Cosimini che li ha tradotti per Iperborea.
Tra il 2015 e il 2016 sono usciti per la casa editrice milanese gli ultimi due romanzi dello scrittore di Reykjavík, I pesci non hanno gambe e Questo grande universo, da leggere uno dopo l’altro se non si vuole perdere il filo di un grande romanzo corale che, da un angolo all’altro dell’Islanda,  racconta un secolo di storia e i diversi destini di uomini e donne dominati da quel mare incombente e immanente da cui si vorrebbe fuggire e nel quale, invece, si finisce sempre per tornare. Ma ancor prima degli uomini è una natura potente e assoluta la protagonista della narrazione di Stefánsson, una natura che gli uomini non sono ancora riusciti a piegare e distruggere. «Perché la nostra storia – dice lo scrittore – è sempre stata quella di una lotta contro la natura, una storia di sopravvivenza».

Jón Kalman Stefánsson, nato a Reykjavík nel 1963, ex professore e bibliotecario, è passato alla narrativa dopo tre raccolte poetiche. I suoi romanzi sono stati nominati più volte al Premio del Consiglio Nordico e pubblicati dalle più importanti case editrici europee. Luce d’estate ed è subito notte ha ricevuto nel 2005 il Premio Islandese per la Letteratura. Paradiso e inferno, primo volume della sua trilogia, è stato definito il miglior romanzo islandese degli ultimi anni.

Rossella Gaudenzi consiglia:

Oggetto d’amore di Edna O’Brien (trad. di Giovanna Granato, Einaudi, 2016)
Incontrare Rossella Milone in occasione dell’edizione romana di Cosa si fa con un libro?  ha ravvivato in me l’interesse per il racconto – e ho raccolto spunti leggendo le pagine del sito Cattedrale. Osservatorio sul racconto. Sono una lettrice di racconti, ma solo in determinati momenti, quando la voglia di leggerli si fa necessità e l’istinto mi porta ad accantonare i romanzi.
Ora è uno di quei momenti e ho deciso di fare la conoscenza dell’autrice irlandese Edna O’Brien, partendo proprio dalla raccolta di racconti Oggetto d’amore.

cop

Lettere dal bosco. Trecento storie di animali di Toon Tellegen (disegni di Mance Post, traduzione di David Santoro, Donzelli, 2007)
Nella prima valigia estiva ci sarà posto per un altro corposo libro. Racconti, ma di tutt’altro tipo, quelli raccolti da Toon Tellegen. Una miriade di micro storie, ognuna delle quali rappresenta una pietruzza preziosa, apportatrice di verità, interrogativi, metafore, riflessioni mai banali.

I consigli per l’estate di Sandro Bonvissuto e Sandro Ferri

Inauguriamo i nostri consigli per l’estate con lo scrittore Sandro Bonvissuto e l’editore Sandro Ferri (e/o), tra i protagonisti della seconda edizione romana di Cosa si fa con un libro?

Trilogia della pianura di Kent Haruf (NN editore)
Il mio consiglio di lettura per l’estate è Kent Haruf e la sua trilogia: Canto della pianura, Crepuscolo, Benedizione, uscita per NN Editore nel 2015 e nel 2016. Non li ho letti ancora, ma badate bene che quando li ho sfogliati in libreria mi è venuta voglia di farlo, e di corsa pure, e vi posso garantire che tutto questo entusiasmo da parte mia è cosa abbastanza rara. (Sandro Bonvissuto)

La Rivoluzione francese di Jonathan Israel (Einaudi), un volumone di 900 pagine. È una lettura appassionante. La tesi dell’autore è che la Rivoluzione fu causata innanzitutto dalle idee dei filosofi illuministi, più ancora che dalle ingiustizie sociali o dalla crisi economica. Il libro è molto ben documentato ma si legge agevolmente ed è molto attuale per capire le interazioni tra idee e trasformazioni sociali.
Come romanzi tra le ultime letture che mi hanno entusiasmato: Danny l’eletto di Chaim Potock (Garzanti), romanzo di formazione tra gli ebrei ortodossi di Brooklyn, un libro profondo e aperto. La rivoluzione della luna, La Banda Sacco e La setta degli angeli, tre romanzi storici di Andrea Camilleri (Sellerio), ricostruzioni storiche interessanti di episodi illuminanti della storia siciliana scritte con maestria e arguzia.
Infine, un libro fotografico sulla Street Art a Roma di Mimmo Frassineti (De Luca editori), con belle immagini dei murales e delle pitture murali nei quartieri della periferia romana. Per tirarci su e non pensare solo alle cose brutte della nostra capitale. (Sandro Ferri)

Stagioni – Mario Rigoni Stern

UNA STAGIONE DA LEGGERE Rubrica dedicata alle stagioni nei libri, perché ogni storia ha la sua stagione.

di Rossella Gaudenzi

StagioniPRIMAVERA – Stagioni di Mario Rigoni Stern

Amante e profondo conoscitore delle montagne, autore di Il sergente nella neve, reduce della ritirata di Russia del 1943, narratore delle storie di natura, Mario Rigoni Stern è nato alle soglie dell’inverno in montagna, il 1 novembre 1921, ed è morto in un giorno di primavera, il 16 giugno 2008, come avrebbe voluto.
I ricordi di una vita e quindi di tutte le stagioni di una vita sono raccolti nel libro Stagioni, scanditi da un ritmo universale e, letteralmente, della vita naturale dell’uomo, scollegato dalla città e di contro in simbiosi con il microcosmo di piante e animali. Non mancano dure memorie di guerra, non mancano delicati ritratti di flora e fauna in movimento o nella loro immobilità.

Riproponiamo qualche stralcio di primavera.

Se la prima neve che senti scendere in una notte di novembre è un invito a raccogliersi nei ricordi o nella lettura, la prima pioggia d’aprile che ascolti battere sul tetto ti dà ristoro e distensione, ritrovi un amabile sonno e poi, al mattino, il desiderio di andare, di uscire fuori a camminare in libertà e senza una meta perché la primavera non ha confini. Magari vorresti rincorrerla verso il Nord con quella coppia di cicogne che avevano sostato qualche giorno sugli stagni dei pascoli e sono volate via salutando noi che restiamo.

La partenza avveniva nel mese di marzo, quando il disgelo aveva liberato i passi che nelle nostre montagne erano come porte verso i paesi dell’Europa centrale. Andavano a piedi, con gli arnesi del mestiere dentro un sacco appeso alle spalle con due pezzi di corda, o sulla carriola che spingevano con l’indispensabile. Così i nostri montanari si avviavano verso la Prussia, l’Austria, la Boemia a lavorare in cambio di marchi o corone che davano poi la possibilità di svernare in famiglia.

A fine marzo, nelle ore più calde del mattino, la maestra Elisa invitava Matteo ad aprire le finestre e la primavera arrivava gonfiando le tende come vele di nave. Dentro l’aula giungevano l’odore della terra e del letame sui prati, il canto delle allodole, i passi di un cavallo, il rumore del carro.

Il Bosco di Mezzo, Mittelwald, era vasto e bello: un libro da leggere sulla vita vegetale e animale che si rinnova nei millenni. L’albero, anche se può vivere più di un secolo, è breve cosa nella vita della foresta: abeti densi di verde e d’argento, pecci alti come colonne con i rami rastremati lungo il tronco dal peso della neve di tanti inverni, larici feriti dal fulmine hanno vite personali, ma l’insieme è millenario.

Un anno, dopo il tempo degli amori, passò la guerra. Era di maggio. Già le femmine degli urogalli avevano deposto le uova nel sottobosco tra i mirtilli e i rododendri. I larici erano già fioriti e il polline del bosco, come polvere dorata, si adagiava sugli arbusti. Allora tre fortissimi bagliori seguiti da tre violentissime esplosioni fecero tremare la terra e squassare gli alberi.

Urogallo o gallo cedrone, foto David Palmer

Urogallo o gallo cedrone, foto David Palmer

Le femmine si acquattarono ancora di più sui nidi, quasi volessero penetrare nelle radici. Giunsero molte altre bombe, poi spari di fucile e di mitragliatrici, grida e vampate violarono quel bosco e i nidi furono abbandonati. Erano volati via tutti gli uccelli, fuggirono gli ultimi cervi e i caprioli. Anche le ultime poste di rifugio erano diventate pericolose e gli animali selvatici vagarono qua e là per altri luoghi disgraziati finché non trovarono un po’ di quiete sui versanti a nord delle montagne, impervi e freddi, dove la guerra non arrivava. Non arrivava nemmeno il sole e il cibo era duro e amaro.

Eravamo tutti, vecchi e ragazzi, donne e ragazze, dentro la primavera e non lo sapevamo. Dopo cena si usciva sulle strade a giocare ed erano tantissimi i giochi; alcuni esclusivi per noi, altri con le ragazze. Era divertente cacciare con il fazzoletto le bianche farfalle che a centinaia scendevano come neve dai due pioppi canadesi che mio nonno aveva fatto piantare nell’orto davanti la casa, dopo che questa era stata ricostruita sulle miserie della guerra.

Venne anche il tempo che i miei dissero che dopo avere raccolto i sassi dal prato della villa potevo dare una mano a spargere il letame. Era un lavoro più faticoso della fienagione perché con il tridente, dopo aver fatto dei mucchietti a giusta distanza, bisognava battere il letame e romperlo e sparpagliarlo in piccoli grumi, affinché  venisse bene assimilato dal prato e la falce che rasava l’erba potesse correre libera senza intoppi.

Mario Rigoni Stern (1921-2008)
«Sono nato ad Asiago nel 1921, in una casa appena ricostruita sulle macerie della Grande Guerra, da una famiglia che da secoli esercitava i commerci tra montagna e pianura, ma che anche aveva dato medici e ingegneri forestali». Entrato a far parte nel 1938 della scuola militare di alpinismo, come alpino prende parte alla Grande Guerra in Francia, Grecia, Albania e Russia. Dalla Russia rientra nella primavera del 1943, salvandosi con pochi altri dalla tragedia della ritirata delle truppe italiane. Nel 1945 inizia a scrivere il primo romanzo, Il sergente nella neve, pubblicato nel 1953 per Einaudi da Elio Vittorini. Tra le altre opere, edite da Einaudi, Il bosco degli urogalli (1962), Ritorno sul Don (1973), Storia di Tönle (1978), Le stagioni di Giacomo (1995). Muore ad Asiago il 16 giugno 2008, in un giorno di primavera, come avrebbe voluto.

Stagioni
Mario Rigoni Stern
Einaudi, 2006
pp. 145, € 10,80

Libri in carcere

di Emanuela D’Alessio

il-canto-del-crepuscolo«Più tardi, quella sera, gli uomini della camerata di James, tranne James stesso e Stevens, si spostano in un’altra camerata della stessa baracca per giocare a carte. Come sempre, i due se ne stanno sdraiati sulle brande, a lanciarsi in grandi chiacchierate per poi chiudersi in prolungati silenzi. È bizzarro parlare con qualcuno senza vederlo, ma James ci ha fatto l’abitudine e anzi trova rassicurante la voce profonda di Stevens che sale fino a lui dalla branda di sotto, dove l’amico è steso, appoggiato su un gomito a leggere uno dei suoi infiniti romanzi. La Croce Rossa ha inviato un altro rifornimento di libri e i prigionieri hanno attrezzato una biblioteca per i prestiti. Stevens se ne serve tutti i giorni e nonostante ormai siano arrivati a qualche migliaio di volumi, James non si stupirebbe se l’amico riuscisse a leggerli tutti entro Natale».
James e Stevens, due ufficiali inglesi fatti prigionieri dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale, sono diventati amici e trascorrono le loro giornate da reclusi adottando ciascuno la propria resistenza alla comune assenza di libertà e di futuro. James si scopre scrupoloso e ossessivo osservatore di una famiglia di codirossi (uccelli dalla coda striata di rosso), Stevens legge un libro dopo l’altro, trascorrendo gran parte del tempo sdraiato sulla branda e in silenzio.

La guerra e i suoi orrori rimangono sullo sfondo in Il canto del crepuscolo, l’ultimo romanzo di Helen Humphreys, uscito per Fandango/Playground nel 2015 con la copertina di Maurizio Ceccato e la traduzione di Fabio Viola. La scrittrice canadese ha voluto privilegiare un’altra angolazione da cui osservare il carattere umano e le sue infinite modalità di reazione e di adattamento ai grandi traumi dell’esistenza. Una di queste è proprio la lettura. I libri salvano la vita, o per lo meno aiutano a renderla meno insopportabile e penosa. Viene da sorridere al pensiero che in un campo di concentramento tedesco durante la seconda guerra mondiale esistesse una biblioteca a disposizione dei prigionieri.

dentroÈ comunque una suggestione e ne richiama un’altra, quella che propone Sandro Bonvissuto in Dentro, una raccolta di tre racconti pubblicati nel 2012 per Einaudi. Nel primo, Il giardino delle arance amare, cronaca di un periodo di vita in carcere di un uomo senza identità e colpa, leggiamo: «La biblioteca stava al piano di sotto. Era una stanza con delle mensole vuote, una scrivania, pure quella vuota di ogni cosa. E una sedia. In certi giorni stabiliti, che nessuno aveva mai capito bene quali fossero, era previsto che venisse un volontario per distribuire i libri ai detenuti. Una volta, durante l’ora d’aria, mi capitò di trovare quella stanza aperta. Allora decisi di entrare per prendere un libro in prestito. Dentro c’era l’incaricato seduto alla scrivania. Forse aspettava qualcuno, o forse aspettava solamente che finisse il suo turno, per tornare a essere involontario. Mi guardai intorno cercando i libri. Sugli scaffali però c’era un solo volume. La cosa mi parve assurda, ma poi mi vennero in mente altre cose che avevo visto lì dentro molto più assurde di quella e decisi di dire all’incaricato che desideravo un libro in lettura. Quello rispose che andava bene. Allora chiesi quali libri fosse possibile avere in prestito. L’incaricato si alzò dalla scrivania; rispose che avrebbe controllato. Scorse con lo sguardo tutta la libreria come se fosse piena. E lo fece lentamente, quasi si stesse impegnando davvero a leggere i titoli sugli scaffali. Poi si girò verso di me e, costernato, disse che purtroppo era disponibile un solo libro: il Don Chisciotte di Miguel de Cervantes Saavedra. Era stato donato all’istituto di pena da un ex direttore. Risposi che avrei preso quello. Lui accolse le mie parole con una punta di stupore, come se con la mia scelta avessi ignorato l’esistenza di molte altre possibilità. Chiesi allora se fossero disponibili altri libri che magari non erano lì al momento. Rispose che ci sarebbero anche stati, ma erano andati in prestito e purtroppo non avevano più fatto ritorno. Mi venne da ridere. Gli dissi che comunque avrebbero potuto anche comprarne di nuovi, ma lui replicò che non c’erano soldi a sufficienza, e i pochi a disposizione dell’amministrazione dovevano essere usati per acquistare cose più importanti per i detenuti. Feci presente che i libri dovevano essere cose molto importanti per i detenuti; se non fosse stato così, li avrebbero di certo restituiti. Perché al mondo non c’è nessuno in grado di stabilire se una cosa ha valore o meno meglio di un carcerato».

Da una biblioteca con migliaia di volumi ai tempi della seconda guerra mondiale a quella con un solo libro disponibile in un carcere contemporaneo, da Helen Humpreys a Sandro Bonvissuto il salto sarebbe vertiginoso a volerlo compiere, ma l’intento non è confrontare i due autori e le loro scritture, bensì cogliere questo comune riferimento alla funzione “terapeutica” dei libri.
Leggere per anestetizzare l’orrore della guerra e la paura della morte, leggere per ingaggiare una sfida con il tempo quando diventa improvvisamente vuoto e privo di scopo, leggere per curare la mente e lenire l’anima.

Bonvissuto_DionisiIn carcere si legge? «Dipende dalle situazioni – aveva risposto Sandro Bonvissuto durante l’incontro di Cosa si fa con un libro? del 16 gennaio – esistono carceri modello dove sono previsti percorsi di lettura e altri penitenziari dove il concetto di detenzione è fermo a qualche secolo fa».
L’associazione Antigone, che da oltre trent’anni segue la realtà carceraria italiana, redige un rapporto annuale sulle condizioni di detenzione in Italia, una fotografia abbastanza puntuale e rappresentativa dei 205 istituti di pena presenti sul territorio. Solo per fare un esempio: nel Lazio ci sono quindici penitenziari, soltanto quattro hanno una biblioteca e l’unica a risultare funzionante e rifornita regolarmente di libri (oltre 8.000 volumi) è quella del carcere femminile di Rebibbia, a Roma.

Di certo non è questa la sede per affrontare un tema abbastanza complicato come la realtà carceraria italiana, con tutte le sue drammatiche carenze e criticità. A fronte di spazi sovraffollati e condizioni di vivibilità molto spesso disumane e folli, il problema della lettura in carcere può risultare anacronistico, se non del tutto incomprensibile.
Ma si era partiti da una suggestione letteraria e, per una volta, perché non iniziare dall’immaginazione per approdare alla realtà e provare a comprenderla?