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I consigli dei Serpenti per l’estate 2018 – Ade Zeno

Ade Zeno,  con cui abbiamo inaugurato Racconti Italiani, consiglia:

Luca Rastello – Dopodomani non ci sarà (Chiarelettere, 2018)
Tre anni fa, per la precisione l’8 luglio 2015, mi capitò di partecipare al funerale di Luca Rastello. Non ricordo se fosse una giornata di sole, se facesse caldo, se il cielo fuori dalla Sala del Commiato del Tempio crematorio si presentasse limpido o coperto di nuvoloni temporaleschi. Credo che fosse un mercoledì. C’era tantissima gente, questo lo ricordo bene. Così come conservo nel cuore, e in modo molto nitido, il riverbero di quell’atmosfera sospesa, emozionata, profondamente malinconica che grazie ai sortilegi del sentire comune ci legava gli uni agli altri. Una fra le voci più lucide e intelligenti del bizzarro Paese in cui ci ostiniamo a vivere se ne era appena andata, e il problema era che nessuno dei presenti sembrava disposto a fare i conti con l’idea della sua assenza. Non avevo legami con Rastello, nessun vincolo affettivo; ci eravamo sfiorati per caso in pochissime occasioni, un po’ come capita ai passanti per strada, ai perfetti sconosciuti. Eppure, fra le migliaia di cerimonie di commiato che per lavoro ho avuto modo di presiedere, quella di Rastello è stata una delle poche che ancora oggi non posso rievocare senza inquietudine.

Nel corso di quell’ultimo saluto successero svariate cose. Qualcuno si era portato dietro la chitarra elettrica e suonò una versione sghemba e singhiozzante di Hey Joe. Qualcun altro prese la parola per condividere ricordi e letture di poesie. Ma furono due i momenti in particolare che misero a dura prova la capacità di trattenere le lacrime (e a questo punto vale la pena sottolineare che fra le molte libertà concesse a un cerimoniere, quella di piangere durante i funerali è giustamente considerata inammissibile). Uno dei due momenti arrivò alla fine, quando vennero pronunciate le ultime parole prima che il feretro venisse accompagnato fuori dalla Sala. A un certo punto la figlia più piccola si alzò e chiese di poter parlare. Era una bambina o poco più, vederla salire sul pulpito così minuscola e indifesa mi fece una certa impressione. Parlò lentamente, con calma, un sorriso dolcissimo disegnato fra le labbra. Funambolicamente in bilico su fili invisibili, raccontò senza vacillare un breve aneddoto legato al papà. Ricordo bene cosa disse, e anche la disarmante compostezza con cui misurò ogni sillaba, ogni pausa. Ma non lo condividerò qui, resta e resterà qualcosa di suo, qualcosa di loro.

L’altro momento fu quello in cui all’attore Marco Gobetti venne chiesto di leggere una lettera scritta da Rastello stesso, una lunga missiva di commiato rivolta proprio alle figlie. Quando Gobetti finì e scese dal pulpito pensai che fosse il messaggio di congedo dal mondo più bello che avessi mai ascoltato. Nessuna frase sembrava fuori posto, nessun patetismo, nemmeno l’ombra delle tantissime formule scontate che in contesti del genere spesso si usano sprecare. Era la lettera di un uomo che saluta la vita e quanto ha di più caro, riuscendo nella complicatissima impresa di farlo mescolando tre ingredienti profondamente instabili e poco compatibili fra loro, vale a dire la lucidità, la passione e l’ironia. Pensai subito che avrei voluto rileggere o riascoltare ancora quelle parole, senza lasciarmene scappare nemmeno mezza, e che se fossi stato sul punto di morire avrei voluto avere anch’io la forza e la capacità di scrivere ai miei figli qualcosa di simile.

Luca Rastello

Negli ultimi tre anni mi è capitato spesso di sperare che prima o poi quel testo venisse pubblicato da qualche parte. Ora – finalmente, inaspettatamente – è successo, ed è proprio la Lettera alle pulci piccole in forma di testamento a chiudere Dopodomani non ci sarà, volume curato da Monica Bardi per Chiarelettere in cui vengono raccolti alcuni fra gli ultimi scritti (quasi tutti inediti) di Rastello. È un libro inevitabilmente frammentario e frammentato, una sorta di cantiere aperto in cui si delineano le linee guida del romanzo ancora in fase di progettazione: il rapporto con la malattia, l’esperienza dell’ospedalizzazione, l’ostilità verso il testamento biologico, il rifiuto delle cosiddette cure alternative. Temi brucianti e cruciali, uniti fra loro non tanto dal bisogno di rispondere alle solite domande sul senso della vita, quanto dall’urgenza di riflettere sulla precarietà del tempo, più precisamente sull’importanza di affrontarlo ricorrendo all’unica vera arma che abbiamo a disposizione: l’arte di improvvisare.

Nelle pagine di Rastello niente è scontato, ogni parola, ogni frase, ogni singola idea viene affrontata di petto con quella inconfondibile tensione a cui i lettori dei suoi libri sono abituati. La stessa tensione – magica, eppure miracolosamente tangibile – che vibra con forza impressionante nelle ultime pagine dedicate alle figlie. Per quanto mi riguarda, basterebbero loro a rendere questo libro compiuto. E invito chiunque a leggerle, poi a rileggerle ancora. Come ho fatto io. Come continuerò a fare.

I consigli dei Serpenti per l’estate 2018 – Emanuela D’Alessio

Emanuela D’Alessio consiglia:

Resto qui – Mario Balzano (Einaudi, 2018)
Mario Balzano non ha vinto lo Strega 2018, però è lui il “mio” vincitore. Resto qui è una storia semplice ma dalle molteplici letture che l’hanno resa per me sorprendente, avvincente e irresistibile.
È una storia sulla resistenza, ma senza partigiani, perché i protagonisti sono gli abitanti di Curon, un piccolo paese del Sud Tirolo, che non volevano essere né fascisti, né nazisti, che  hanno usato i fucili solo per difendersi, che sono andati fra le montagne solo per sfuggire all’insensatezza della follia di quegli anni, che hanno lottato fino all’ultimo giorno contro la condanna a morte del loro paese, decretata dall’indifferenza spietata di chi decise di costruire una diga nel luogo sbagliato e per motivi incomprensibili.
È anche una storia di resistenza, resistenza al dolore inconsolabile che soltanto i figli riescono a provocare ai loro genitori, resistenza alla perdita e all’ingiustizia, resistenza alla devastazione di una guerra, resistenza alla sopraffazione e al cinismo di cui gli uomini sanno dare sempre nuovi sofisticati esempi.
Con la sua scrittura asciutta e netta Balzano ci restituisce un prezioso sguardo su un frammento di storia vissuta, lontana dalle cronache e dalle celebrazioni, ma che ci costringe a riflettere, ancora una volta, sulle infinite possibili declinazioni della sofferenza.
Una storia dura e dolorosa, ma che trasmette dalla prima all’ultima pagina una straordinaria forza, indicandoci probabilmente l’unica via possibile a nostra disposizione per attraversare l’esistenza: «Andare avanti è l’unica direzione concessa, altrimenti Dio ci avrebbe nesso gli occhi di lato, come i pesci».

La ferrovia sotterranea – Colson Whitehead, trad. di Martina Testa (SUR, 2017)
Unica opera degli ultimi vent’anni a vincere sia il National Book Award sia il Premio Pulitzer, La ferrovia sotterranea è un altro libro sulla “resistenza”, in questo caso alla brutalità della schiavitù e del razzismo. La giovane schiava Cora intraprende la sua fuga verso la libertà da una piantagione della Georgia, in un’alternanza stupefacente e drammatica di colpi di scena, di orrori e violenze.
La ferrovia sotterranea è un romanzo sulla schiavitù che ha macchiato per sempre la storia degli Stati Uniti. È un romanzo sulla forza della disperazione, sul dolore inimmaginabile, sulla straordinaria capacità di sopravvivenza che gli uomini riescono sempre a trovare. È un romanzo pieno di orrore e brutalità, ma anche di flebile speranza, quella che scorre lungo la ferrovia sotterranea, un’espressione americana per indicare il percorso segreto che veniva utilizzato dagli schiavi in fuga dai loro padroni, la rete di simpatizzanti che cercava di aiutarli a raggiungere il Nord e lasciare per sempre il Sud schiavista in cerca della libertà.

Berta Isla – Javier Marías, trad. di Maria Nicola (Einaudi 2018)
Con la consueta raffinata eleganza che caratterizza tutti i suoi romanzi, Javier Marías ha scritto una nuova potentissima storia sull’incomunicabilità, sull’amore e la sua inafferrabilità, sull’ambiguità e la fragilità dei sentimenti, sulla precarietà della verità, sulla forza della casualità che governa l’esistenza.
Per farlo ha scelto gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, collocando i suoi personaggi tra Spagna e Gran Bretagna e attingendo al genere dello spionaggio. Ma se Tomás Nevinson si ritrova suo malgrado al servizio dell’Intelligence britannica, Berta Isla, che è anche il nome della moglie di Tomás, non è una storia di spionaggio. È piuttosto una storia sull’attesa, paziente e dubbiosa, poi rabbiosa, quindi rassegnata, e alla fine anche desiderata, perché  «chi si abitua a vivere nell’attesa non ne accetta mai del tutto la fine». È una storia sull’illusione della libera scelta, di essere padroni della propria vita. È una storia sull’infinita alternanza della paura e della speranza, del tempo che modifica tutto e tuttavia non cancella.
Alla fine, come ha scritto Claudio Magris, non c’è più il dubbio tra essere e non essere, ma tutti siamo e non siamo.

I consigli dei Serpenti per l’estate 2018 – Pierluigi Lucadei

Pierluigi Lucadei, l’autore della nostra rubrica Musica per camaleonti, consiglia:

Matteo B. Bianchi – Yoko Ono. Dichiarazioni d’amore per una donna circondata d’odio (add, 2018)
Perché non odiare Yoko. È possibile amare la musa più vituperata della storia del rock: anzi, se si conosce la sua vita e il suo percorso artistico e musicale, amarla diventa quasi necessario. Artista provocatoria e ostinatamente anticonvenzionale, dal 1968 al fianco di John Lennon, Yoko Ono ha visto rivalutare la sua opera soltanto in tarda età. Oggi ha ottantacinque anni e la sua figura è circondata dal mito ma per decenni ad accompagnarla c’è stato solamente l’odio più becero: Matteo B. Bianchi ci spiega perché nell’ultimo volume dell’apprezzabile collana Incendi di add editore.

Michael Imperioli – Il profumo bruciò i suoi occhi (Neri Pozza, 2018)
Educazione reediana. Noto come attore, soprattutto per il ruolo di Christopher Moltisanti nella serie “I Soprano”, Michael Imperioli si dimostra anche abile narratore con il suo primo romanzo, che racconta la formazione del giovane Matthew nella torrida estate del 1976 a New York. Dopo la perdita del padre e del nonno, il ragazzo si trasferisce con la madre dal Queens alla zona più rock di Manhattan. A prenderlo in simpatia c’è uno strano individuo magro, ossigenato e vestito di nero che vive nello stesso palazzo e che, in realtà, è un’autentica leggenda: Lou Reed.

Phillipp Winkler – Hool (trad. di Riccardo Cravero, 66th and 2nd, 2018)
Sporchi e (ultra)violenti. Altro romanzo d’esordio, stavolta di un giovane scrittore tedesco, Hool racconta il lato oscuro della Bundesliga e del suo tifo. Ambientato nella grigia Hannover, racconta la storia di Heiko, figlio di padre alcolizzato e abbandonato dalla moglie quando i figli erano ancora piccoli, cresciuto subendo la fascinazione di uno zio teppista. Un libro da non perdere per chiunque abbia sperimentato l’amore cieco, senza compromessi, per una squadra di calcio. Un libro dal ritmo inarrestabile, certamente ultraviolento e sconcertante, scritto con un linguaggio che ricicla slang da hooligan e slogan da rapper, ma con un’anima fatta di pulsante poesia suburbana.

Alessandro Leogrande – La frontiera (Feltrinelli, 2015)
Strumentario per l’intelligenza. Questa è l’estate della retorica leghista del “chiudiamo i porti” e di un razzismo sempre più pericoloso. Forse non c’è un momento migliore per (ri)scoprire Alessandro Leogrande, scomparso improvvisamente lo scorso anno a soli 40 anni, e studiarne le tante storie attraversate da berriere, mentali e fisiche. Le pagine de “La frontiera” sono uno strumentario giornalistico-letterario quanto mai utile per chi ha voglia di scavare più nel profondo il concetto di migrazione e per chi non ha paura di fare i conti con una verità troppo poco raccontata. «Da qualche parte nel futuro, i nostri discendenti si chiederanno come abbiamo potuto lasciare che tutto ciò accadesse».

 

Cosa leggiamo a Natale 2017. I consigli dei Serpenti

Emanuela D’Alessio

Dopo la recente lettura di Il paradiso degli animali di David James Poissant (traduzione di Gioia Guerzoni), la straordinaria raccolta di racconti che NN ha pubblicato nel 2015, proseguo con Paradisi minori di Megan Mayhew Bergman (traduzione di Gioia Guerzoni), sempre per NN editore.
Molte le analogie tra i due libri: sono simili i titoli e le copertine (entrambe verdi e con due illustrazioni di uccelli variopinti), sono raccolte di racconti.
C’è, infine, il virgolettato di David James Poissant in quarta di copertina: «Le storie di Megan Mayhew Bergman sono riflessioni delicate e piene di forza sul significato dell’essere soli e dell’essere innamorati, spesso allo stesso tempo. Paradisi minori tocca le mie corde più profonde ed è la più bella raccolta di racconti dell’ultimo decennio».
Non dò mai molta importanza agli endorsement fra scrittori, ma ogni tanto si può fare un’eccezione.

Rossella Gaudenzi

Non ho resistito al richiamo di Paolo Cognetti e alla tradizionale Fiera romana Più libri più liberi ho acquistato Il ragazzo selvatico in una nuova edizione di Terre di Mezzo impreziosita dalle suggestive illustrazioni di Alessandro Sanna. La suddivisione in stagioni e capitoli dal titolo essenziale e quasi tangibile, come Neve, Orto, Notte, Fieni, Capre, hanno fatto presa su di me più dell’idea della storia, che segue il filo della ricerca di sé.

Incuriosita dalla nuova collana di Edizioni Clichy Rive Gauche – Fiction e non-fiction americana, a cura di Tiziana Lo Porto, proseguirò con la lettura del primo titolo della collana Figlie di Brooklyn di Jacqueline Woodson (traduzione di Tiziana Lo Porto): una storia al femminile nella New York dei primi anni Settanta.

Continua la lettura appassionata e illuminante dei classici per ragazzi della BUR, a cura di Antonio Faeti, rigorosamente in edizione integrale. È una lettura sorprendente diventata per me un vero nutrimento, non dimenticando Italo Calvino: «Chiamasi classico un libro che si configura come equivalente dell’universo, al pari degli antichi talismani».

Dopo la lettura recente di Il giardino segreto, L’isola del tesoro, La guerra dei bottoni, Pattini d’argento, mi attendono per Natale Anna dai capelli rossi di Lucy Maud Montgomery e Il mago di Oz di L. Frank Baum.

Pierluigi Lucadei

Sognando la luna di Michael Chabon (traduzione di Luciana e Margherita Crepax, Rizzoli)
Un uomo anziano, alla fine dei suoi giorni, racconta la propria vita al nipote. Si tratta di una vita straordinaria, piena di amore, violenza, inganni e grandi sogni, come quello di conquistare la Luna; la vita di un piccolo grande uomo del Novecento, che difficilmente sarebbe stata ricordata se il nipote non si fosse chiamato Michael Chabon. Allora la storia di un nonno diventa un romanzo picaresco, uno dei migliori dello scrittore americano, e come sempre tra la verità e la finzione a vincere è la letteratura.

4 3 2 1 di Paul Auster  (traduzione di C. Mennella, Einaudi)
Dopo un lungo periodo di assenza dal romanzo, Paul Auster torna con un’ambiziosa opera di quasi mille pagine in cui alla storia di Archie Ferguson, ragazzino della provincia americana innamorato di New York, vengono concessi quattro diversi e plausibili percorsi, che partono dall’anno di nascita (il 1947, lo stesso dell’autore) per toccare l’assassinio di Kennedy, la guerra in Vietnam, l’idealismo e la ribellione degli anni Sessanta. 4 3 2 1 affronta il tema preferito di Auster, quello dell’identità, con una scrittura limpida e insieme vertiginosa.

Il modo di dire addio  di Leonard Cohen  (Il Saggiatore)
Ogni occasione è buona per tornare a Cohen, che dopo la sua morte ha lasciato un vuoto incolmabile in tutti gli amanti della canzone d’autore. Non si può non accogliere commossi, dunque, il nuovo volume pubblicato da Il Saggiatore che mette insieme conversazioni e interviste inedite che toccano tutto lo scibile coheniano e svelano un mondo interiore fragile e composito, dolorosamente dedito alla ricerca della bellezza. Curato dal giornalista americano Jeff Burger, con una scritto di Francesco Bianconi dei Baustelle.

Mont Plaisant di Patrice Nganang (traduzione di Maurizia Balmelli, 66thand2nd)
Nei giorni scorsi Nganang è stato arrestato per essersi espresso in modo critico nei confronti del presidente del Camerun Paul Biya e delle sue politiche nei confronti della minoranza anglofona camerunense. Evidentemente la voce di uno scrittore fa particolarmente male a un politico al potere da trentacinque anni, già accusato da Amnesty International per le ripetute violazioni dei diritti umani. Il romanzo Mont Plaisant, recentemente pubblicato in Italia da 66thand2nd, racconta di una giovane donna che studia negli Stati Uniti ma torna nel suo Paese per indagare le origini del nazionalismo camerunense.

I consigli dei Serpenti per l’estate 2017: Rossella Gaudenzi

Rossella Gaudenzi consiglia:

In un’estate in cui desidererei, ancor più degli anni passati, essere lambita dal freddo delle latitudini scandinave, ho scelto di ripercorrere il catalogo Iperborea alla ricerca di un titolo tra i più amati di sempre, L’imperatore di Portugallia del premio Nobel Selma Lagerlöf (1858-1940), la scrittrice svedese più nota al mondo. Custode delle memorie, delle tradizioni e delle saghe delle sue genti, Selma Lagerlöf costruisce la storia amara del bracciante di fine Ottocento Jan Andersson, che fa della paternità e della figura della figlioletta la sua ragione di vita.
«Per quanto vecchio diventasse, Jan Andersson di Skrolycka non poté mai stancarsi di raccontare di quel giorno in cui la sua bimbetta era venuta al mondo». Jan costruisce però una realtà parallela e sull’orlo della follia trasfigura l’esistenza meschina della sua famiglia raccontandosi belle favole irreali, in un gioco di equilibrismi tra sogno e verità.

Conquistata definitivamente dalle raccolte di racconti e dalla casa editrice Racconti Edizioni scelgo per l’estate una delle due ultime uscite, Eudora Welthy e le diciassette storie che danno vita a Una coltre di verde. Opto quindi, citando il titolo della recensione che al libro dedica la scrittrice (di racconti) Rossella Milone, per “l’umanità sgangherata alla periferia del Mississippi”.

Per i piccoli lettori ma non troppo, un classico e una nuova uscita da mettere nella valigia delle vacanze.
La coerenza mi porta a cercare una storia di divertimenti, di bambini tra fredde acque e si ferma su un capolavoro di un’autrice che ha tenuto generazioni di ragazzi con gli occhi incollati alle pagine delle sue storie avventurose: Astrid Lindgren, Vacanze all’isola dei gabbiani (Salani Editore).

Come è accaduto a Pinocchio e Lucignolo, a Hansel e Gretel o a Clara e Hans all’inseguimento del principe Schiaccianoci, Quanti pasticci, Ricottina! opera prima di Roberta Mastruzzi (Einaudi Ragazzi, Storie e Rime) trascinerà lettori bambini e adulti nell’irresistibile universo dei dolci, fatto di personaggi bizzarri a metà tra l’umano e il fantastico. Nel mondo di Ricottina i sentimenti più nobili albergano in personaggi fatti di dolciumi e i sentimenti più biechi in quelli in carne ed ossa. Ricottina, quasi interamente umana ma con mani e piedi di ricotta, è una piccola eroina del nostro tempo: sfida e vince i più temibili e irriducibili nemici, che sono le sue paure. Una storia fiabesca scritta con grazia, stile e intelligenza.

L’ultima perla di Kent Haruf

di Elena Refraschini

NN editore ha invitato a Milano Cathy Haruf, la moglie dello scrittore americano scomparso nel 2014, per parlare del suo ultimo libro Le nostre anime di notte, e ricordare insieme il grande cantore delle pianure americane.

Cathy Haruf

Lo scorso weekend ho avuto l’opportunità di partecipare a un incontro con Cathy, moglie del recentemente scomparso Kent Haruf. Molti di voi sanno già di che evento si tratta: in occasione dell’uscita di Le nostre anime di notte, l’editore NN ha organizzato una serata presso il teatro Franco Parenti (a Milano) con la partecipazione di Marco Missiroli, Lella Costa e Gioele Dix.

A chi non l’avesse ancora letto, non posso che dire: fallo al più presto. Vi ritroverai la stessa tenerezza e la stessa empatia che abbracciavano tutta la Trilogia della Pianura, le stesse ombre lunghe del Colorado che ora calano su cuori spezzati e diner appiccicosi, sugli amici e sui ficcanaso, e su un uomo e una donna che decidono, al crepuscolo della loro vita, di tenersi la mano di notte.

Ho amato questo nuovo, breve romanzo ancora più dei precedenti: forse perché, come altri hanno notato, vi è un’urgenza narrativa più importante, ma anche perché si narra una storia meno corale e più intima.

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Ero molto curiosa di incontrare Cathy Haruf qualche ora prima dello spettacolo serale.
A essere sincera, non sapevo bene cosa aspettarmi: in fondo, incontrare la moglie di un grande autore è diverso dall’incontrare il grande autore stesso. Questo fatto, mi dicevo, toglie dal tavolo della discussione diverse questioni relative agli intenti del libro o al procedimento della scrittura. Quello che si perde, però, lo si può guadagnare aprendo finestre sulla vita di uno scrittore che difficilmente sarebbero esistite se avessimo parlato con l’autore in persona. E così è stato.

Per esempio, Cathy ci ha raccontato che il marito scriveva sempre di mattina, e prima di sedersi alla macchina da scrivere nella sua capanna in giardino leggeva qualche pagina di Faulkner o Cechov, magari sempre lo stesso passaggio, «per mettersi nella giusta disposizione».
Scopro che amava girare con un taccuino su cui raccoglieva le storie delle persone. «Era molto attento agli altri, e odiava l’attenzione su di sé», ci ha raccontato Cathy. «Per questo era bravissimo ad ascoltare, ed essendo molto sensibile a volte diventava estremamente triste». Scopriamo, per esempio, che Kent aveva il labbro leporino, e per quanto questo difetto abbia pesato sui suoi anni formativi, «credo sia stata alla fine una benedizione, perché ha aiutato Kent a vedere la debolezza nelle persone».
Un sorriso carico di nostalgia si apre sul viso di Cathy, che con estrema grazia e candore ha passato la giornata a ricordare il grande cantore delle pianure americane, supportata nel viaggio dai suoi due figli.

trilogiaRiuscivo quasi a vederlo davanti ai miei occhi: lo scrittore che ha fatto della pietà verso i personaggi la sua cifra narrativa, l’uomo che guarda il mondo con quelle stesse lenti.
Un mondo, il suo, amato in modo viscerale, raccontato in ogni dettaglio: «le nostre sono zone che la gente attraversa il più velocemente possibile quando va ad Aspen o verso altre famose località sciistiche, ma per Kent era casa», ci ha detto Cathy. «No, me ne sto a Holt», rispondeva quando gli si chiedeva se avrebbe mai scritto di altri luoghi negli Stati Uniti.

Anche per il lettore affezionato, leggere quest’ultima perla harufiana sarà un po’ come tornare a casa. Ed è con una nota di nostalgia che si volta l’ultima pagina, perché non ci saranno più Addie e Louis. La loro curiosità, però, il loro senso di avventura, il rifiuto di conformarsi alle regole imposte da una piccola comunità ferocemente aggrappata ai propri valori: tutto questo rimane attaccato addosso, e vi verrà voglia di far leggere Le nostre anime di notte a tutte le persone a cui volete bene.
Perché come ha magnificamente detto Marco Missiroli introducendo il reading, ci sono alcuni libri che ci riparano. Le nostre anime di notte è uno di questi.

Le nostre anime di notte
Kent Haruf
trad. di Fabio Cremonesi
NN editore, 2017
pp. 176, € 17