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Un libro si traduce. La parola a Riccardo Duranti

 COSA SI FA CON UN LIBRO? Seconda edizione Roma

COSA SI FA CON UN LIBRO? prima edizione Roma

di Emanuela D’Alessio e Rossella Gaudenzi

Con Riccardo Duranti, il traduttore di Raymond Carver e non solo, si è conclusa il 6 maggio, alla libreria Pagina 348, la seconda edizione romana di Cosa si fa con un libro?
Siamo tornati da Marco Guerra, che già aveva ospitato il 6 febbraio l’incontro con l’editore di e/o Sandro Ferri, e subito gli abbiamo chiesto se fosse accaduto qualcosa di rilevante per le librerie indipendenti negli ultimi quattro mesi. La sua risposta è stata confortante e in controtendenza.

coverSegnali di vitalità per le librerie indipendenti
«I segnali sono positivi, di vitalità. Mentre le librerie di catena si sono avviate verso una crisi a mio avviso irreversibile, le librerie indipendenti godono di migliore salute. La crisi economica si sta un po’ attenuando e le librerie indipendenti “tengono botta” grazie a idee e rapidità di risposta ai lettori. Inoltre, non ci stanchiamo mai di ripeterlo, occorre saper fare questo mestiere e con molta umiltà: non basta alzare una saracinesca per essere libraio».

«Per Pagina 348 sono stati quattro mesi molto positivi – prosegue Guerra – e in questo mese (maggio) abbiamo avviato un laboratorio teatrale per bambini e un corso di scrittura creativa. Abbiamo iniziato anche a uscire dalla libreria, smettendo di giocare sempre in difesa e di litigare con gli altri librai per accaparrarsi i quattro lettori su dieci in circolazione. Bisognerebbe invece chiedersi dove sono e come fare a raggiungere gli altri sei, perché di libri ce ne sono veramente per tutti».

Che cosa significa tradurre?
Con Riccardo Duranti, “voce” di autori come Raymond Carver, John Berger, Philip K. Dick, Cormac McCarthy, Nathanael West, Elizabeth Bishop e Rohald Dhal, siamo partiti dalla metafora usata da Paul Auster per descrivere l’attività del tradurre: «Tradurre è un po’ come spalare carbone. Lo sollevi con il badile e lo rovesci nella fornace. Ogni pezzo è una parola, ogni palata è una nuova frase, e se hai la schiena abbastanza forte e la resistenza che serve a continuare per otto/dieci ore al giorno, riuscirai a tenere acceso il fuoco».

duranti_1Duranti si riconosce in quasi tutte le metafore sul traduttore. In quella di Auster emergono la fatica e l’energia, lui predilige la metafora dell’acqua che risale all’epoca della sua adolescenza quando era un lettore vorace. «Mi colpì – racconta –  un testo dei proverbi di Leonardo da Vinci che cito alla lettera: “Chi può bere alla fonte non beva dalla brocca”. Io non leggo quasi mai traduzioni e sono arrivato a trasformare questo proverbio in un principio deontologico: compiere la fatica, che è anche un immenso piacere, di tradurre per coloro che non possono leggere alla fonte». Duranti, che ha la fortuna di non dipendere economicamente dal lavoro di traduttore, traduce per passione e ha potuto sempre scegliere che cosa tradurre. Tradurre, un lavoro teoricamente impossibile, è il lavoro impossibile che si può fare.

Il mestiere del traduttore
Assumendo per scontato che ogni traduzione sia un’esperienza unica e irripetibile, che per ogni testo esistano difficoltà e soluzioni differenti, si può redigere un manuale minimo ideale per affrontare una traduzione? Ovviamente no. «Ogni traduzione è un viaggio di scoperta, una sfida: come rendere un concetto, un’espressione, uno stile in italiano? Le prime cinquanta pagine sono le più difficili, si parte in salita per poi proseguire e concludere in discesa. Per un romanzo è necessario un lavoro di almeno due o tre mesi, mentre per il numero di cartelle da tradurre al giorno, non esiste una cifra fissa, dipende dalle caratteristiche del testo».

«Mi è capitato di rado di trovare libri brutti, penso a Ma gli androidi sognano pecore elettriche? di Philip K. Dick (Fanucci 2014). La scrittura era veramente sciatta ma le idee straordinarie».

Il rapporto con l’autore
Nella sua lunga carriera Riccardo Duranti ha avuto modo di conoscere e anche di instaurare rapporti di amicizia con molti degli autori tradotti. La conoscenza diretta della “fonte” fa senz’altro la differenza.

«Molti scrittori, pur non conoscendo la lingua italiana, riescono a comprenderla, ne percepiscono la musicalità. Mi ricordo, ad esempio, di quanto abbia faticato a tradurre il titolo di una poesia di Tess Gallagher, moglie di Carver. La parola era Willingly, all’inizio nessuna delle possibili traduzioni mi convinceva, poi scelsi Spontaneamente e quando la proposi all’autrice lei non ebbe alcun dubbio che fosse quella giusta».

duranti_4«Certamente è di aiuto chiedere qualcosa all’autore –  prosegue Duranti –  ma soprattutto è prezioso lo stimolo a livello psicologico che deriva dalla sua conoscenza. Con Carver, di cui ho tradotto tutto dopo la sua morte (quando era vivo tradussi solo il racconto Cattedrale), è stata una sorta di elaborazione del lutto, un modo per riascoltarne la voce».

«Talvolta, paradossalmente, diventi amico dell’autore perché è lui ad avere bisogno di te. Cito questo esempio. Il dattiloscritto del bellissimo libro Festa di nozze di John Berger (Il Saggiatore, 1995) conteneva degli errori culturali, ad esempio di tipo geografico. Trasmisi le correzioni via fax, un po’ preoccupato per le conseguenze. Ma in quel caso avvenne l’impensabile, mi chiamò John Berger in persona esclamando: “Riccardo, you’re like a brother for me!”. E la mia revisione fu inviata a tutte le traduzioni in procinto di essere stampate, ad eccezione degli Stati Uniti dove il libro era già in fase avanzata di pubblicazione».

Da Raymond Carver a Roald Dahl
Dalla narrativa alla letteratura per ragazzi alla poesia, Riccardo Duranti si è cimentato con molti generi. «La letteratura per l’infanzia è la mia passione. Quando si traduce Carver l’attenzione è rivolta a come rendere le sfumature di linguaggio e psicologiche. Gli autori per l’infanzia, invece, lanciano sfide nuove, quali la ricerca dell’umorismo e i giochi di parole, con battute e freddure da reinventare. La ri-creazione del testo è più accentuata nei libri per l’infanzia. A maggiore fatica corrisponde maggiore divertimento».

cop«La fabbrica di cioccolata di Roald Dahl l’ho tradotto in due settimane nella mia casa in campagna. Trascorrevo in solitudine tutta la giornata e la sera cercavo il confronto e il collaudo del lavoro con figli e nipoti».

Lo status del traduttore in Italia
In Italia i traduttori sono una categoria nascosta (i loro nomi vengono spesso omessi), sottopagata e scarsamente tutelata.

«Non lo so con esattezza perché sia così. Il traduttore deve essere trasparente e finisce con l’essere invisibile. Esiste una legge sul diritto di autore che risale al 1941 e con la quale anche i traduttori risultano tutelati, sebbene tutte le case editrici o quasi applichino la postilla “salvo pattuizione contraria”. La retribuzione di un traduttore in Italia va dai cinque ai venti euro a cartella. Con il sindacato dei traduttori STRADE sto conducendo la battaglia per fissare a quattordici euro il minimo sindacale»

Eppure, nonostante questo mestiere sia difficile e faticoso e dall’incerta soddisfazione economica, il numero dei traduttori in Italia risulta corposo. Nel 2014, secondo uno studio effettuato da Ernst & Young, i soggetti occupati nella traduzione di libri erano 7.500 (ne ha scritto Emanuele Tirelli su «pagina99» il 13 febbraio 2016).

«C’è il fascino della missione, della possibilità di lavorare come free lance – spiega Duranti – Io sono molto orgoglioso dei miei allievi, ma solo due o tre di loro riescono a lavorare e a vivere, faticosamente, solo di traduzione. È necessario comunque un percorso formativo molto duro. Per fortuna l’offerta di formazione si è ormai ampliata rispetto a quarant’anni fa. Ai miei tempi era stato appena esportato in Italia un workshop della Columbia University a cui partecipai. Ma fui l’unico. Oggi ci sono numerosi corsi di ottimo livello, anche universitari, a Roma, Pisa, Siena. Ci sono anche molti corsi privati, ma bisogna fare attenzione prima di sceglierne uno».

Gli altri mestieri di Riccardo Duranti
Riccardo Duranti ha compiuto, indubbiamente, un percorso editoriale completo, prima lettore poi traduttore, quindi scrittore (ha  pubblicato nel dicembre 2015 per Ianieri edizioni la raccolta di racconti L’orsacchiotto Carver e  altri segreti) e infine editore.

«Sì, ho iniziato con la poesia e la vera rivelazione ci fu quando andai a studiare negli Stati Uniti. Lì mi sono sentito libero senza più il peso di secoli di tradizione culturale italiana. Ho scoperto che era possibile un altro modo di scrivere poesie. Mi sono autotradotto in inglese per potermi confrontare con i poeti americani che incontrai. E poi ho fatto il contrario. Tutto ciò ha avuto un’influenza positiva sia sulla mia formazione di traduttore sia di poeta: quando mi bloccavo nello scrivere in italiano passavo alla lingua inglese. Tutto ciò è stato estremamente liberatorio».

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«Fondando la casa editrice Coazinzola Press mi sono messo in gioco, o meglio, ho deciso che era venuto il momento di pubblicare libri come dicevo io. Ho investito parte della liquidazione e mi raffiguro come un Don Chisciotte, però alla fine faccio i libri che mi piacciono e di qualità».

Che cosa c’è sul comodino di Riccardo Duranti?
«Quando lavori come traduttore, scrittore ed editore finisce che di tempo per essere lettore ne resta pochissimo. Ho appena terminato la sorprendente opera prima della scrittrice Francesca Marzia Esposito, La forma minima della felicità (Baldini & Castoldi, 2015)».

Ringraziamo Riccardo Duranti e Marco Guerra per la disponibilità.

Cosa si fa con un libro? va in vacanza, dando appuntamento al prossimo anno.

Un libro si scrive. La parola a Rossella Milone

COSA SI FA CON UN LIBRO? Seconda edizione Roma

COSA SI FA CON UN LIBRO? prima edizione Roma

di Emanuela D’Alessio e Rossella Gaudenzi

milone_5Prima di dare la parola alla scrittrice Rossella Milone, protagonista il 12 aprile del quarto appuntamento di Cosa si fa con un libro? alla libreria Scripta Manent, abbiamo chiesto a Lina Monaco, proprietaria con Maurizio Ceccato della libreria, di che cosa hanno bisogno le librerie indipendenti a Roma e perché stentano a decollare concrete forme di associazionismo tra librai.

Io speriamo che me la cavo
«Oggi ci si arrangia a cavarsela, il nuovo motto sembra essere diventato “Io speriamo che me la cavo” – sorride Lina Monaco, richiamando il fortunato libro che rese celebre il maestro elementare Marco D’Orta nel 1990.
«Di cosa abbiamo bisogno? Di regole che valgano per tutti, a cominciare dal prezzo di vendita dei libri e non è vero che sia impossibile per le librerie indipendenti creare un fronte comune. Penso all’ALI (Associazione Librai Italiani) che è una realtà ben presente. Penso ai tentativi che molti di noi, librai indipendenti, hanno fatto per costruire qualcosa di comune, ma le buone intenzioni non sono spesso seguite da azioni concrete».
In ogni caso le librerie indipendenti aprono di continuo (e chiudono). «Noi siamo stati fortunati – prosegue Lina –  le mura sono di proprietà e la professionalità di Maurizio Ceccato ha fatto sì che fin dall’inizio ricevessimo i libri direttamente dalle case editrici in conto vendita. Il nostro è stato senza dubbio un esordio felice».
Un consiglio per gli aspiranti librai? Lina non ha dubbi. «Trovare subito l’accordo con gli editori per creare un rapporto diretto, in quella che si può definire la filiera minima libraio-editore, e avere la possibilità di pagare solo il venduto. Per il resto bisogna arrangiarsi, appunto, e io speriamo che me la cavo».

Perché scrivo? Perché no?
Rossella Milone, nata a Pompei nel 1979, ha esordito con la raccolta di racconti Prendetevi cura delle bambine (Avagliano, 2007). Alla domanda sul perché della sua scrittura risponde con una battuta «e perché no?», ma subito dopo, ricordando che molti libri hanno preso vita proprio da questa domanda, come Una storia della lettura di Alberto Manguel, aggiunge: «Scrivo da sempre, ho iniziato da bambina con brevi racconti surreali da mettere in scena. Forse la scrittura mi restituisce le cose; rivivo episodi vissuti e perduti, forse non vissuti da me ma da altri, o magari non vissuti affatto, semplicemente immaginati. Scrivo perché attraverso l’affabulazione divento altro da me, quindi scrivo per capire l’essere umano. Scrivo, forse, per soddisfare una forte curiosità».

milone_4È una questione di sguardo
Rossella Milone, che ama Anna Maria Ortese, Beppe Fenoglio e Fabrizia Ramondino, ha scritto prevalentemente racconti. La sua prima raccolta Prendetevi cura delle bambine ha ricevuto una menzione di merito al Premio Calvino, poi ha pubblicato per Einaudi i tre racconti lunghi La memoria dei vivi (2008), per Laterza Nella pancia, sulla schiena, tra le mani (2011) e per minimum fax Il silenzio del lottatore (2015). L’unico romanzo, Poche parole, moltissime cose (Einaudi, 2013) si inserisce tra un racconto e l’altro.
«Il racconto si addice al mio modo di essere, amo parlare poco e ascoltare molto; quando scrivo lavoro per sottrazione e sono solita delegare ad altri il racconto degli eventi. Mi viene spontaneo il confronto tra fotografo e cineasta: è una questione di come è allenato lo sguardo. Il mio sguardo è predisposto a catturare ciò che può essere narrato nella forma racconto, riesce a cogliere questo tipo di storie».

L’osservatorio del racconto Cattedrale
La sua passione per questa forma narrativa l’ha spinta a creare un osservatorio che intende monitorare, promuovere e sostenere il racconto.
«Il progetto Cattedrale nasce un anno e mezzo fa con l’intento di far conoscere questa forma narrativa che in Italia non gode di particolare successo, nonostante una solida tradizione. Monitoriamo il genere, raccogliamo racconti italiani e stranieri, li facciamo conoscere, commentiamo e diamo suggerimenti. C’è un problema di visibilità. Per cercare di allargare il pubblico abbiamo organizzato un reading di racconti. È andata molto bene, sono venuti in tanti».

I perché della crisi del racconto
In Italia esiste una concreta difficoltà. «Il racconto non si vende, gli editori non investono e i lettori si diseducano. È un circolo vizioso che può essere spezzato solo con uno sforzo enorme di educazione che dovrebbe partire dalla scuola, dove si leggono ad esempio le Novelle di Luigi Pirandello ma non i racconti di Dino Buzzati o Ennio Flaiano».
«Il racconto richiede un’elevata partecipazione – prosegue Rossella Milone – ma questa sfida non viene raccolta dal lettore medio italiano. Uno dei motivi, lamentato dai lettori, è il fatto che in un racconto si ha poco tempo per affezionarsi ai personaggi, a differenza del romanzo dove tutto avviene più lentamente. Ma una parte di responsabilità è da attribuire agli stessi scrittori, che usano i racconti come intermezzo tra un romanzo e l’altro, per non far calare l’attenzione su di loro, ma senza avere un progetto. E il lettore se ne accorge e se ne va. Il racconto, infatti, come diceva Julio Cortàzar, vince per knock-out mentre il romanzo vince ai punti, insomma deve stordire il lettore in poco tempo».
Un racconto, per riuscire a vincere la diffidenza del lettore, deve tenere alta la tensione, esprimere intensità e lasciare molto spazio al non detto. Nei racconti, ancor più che nei romanzi, deve vigere la famosa regola dell’iceberg di Ernest Hemingway, bisogna lasciare affiorare solo la punta del discorso narrativo. Sotto va lasciato tutto il resto, ma se questa operazione di nascondimento non è compiuta correttamente, il risultato è scadente.

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Il successo dipende anche dall’editore
Rossella Milone ha comunque trovato la chiave vincente della sua scrittura proprio nei racconti, e il suo ultimo sforzo narrativo conferma il successo. Il silenzio del lottatore (minimum fax, 2015), infatti, ha avuto buoni riscontri di pubblico. «È il risultato di un progetto, composto da sei racconti più uno incentrati su sei donne e un periodo differente della loro vita. Sono autonomi tra loro, ma messi insieme seguono un percorso e costituiscono un corpo unico».
Resta indubbio che la fortuna di un libro, oltre che dalla bravura dell’autore, dipenda anche dal suo editore. E la Milone si dice fortunata, perché ha incontrato editori che l’hanno incoraggiata e supportata. Prima Einaudi, che ha pubblicato i racconti La memoria dei vivi e il romanzo Poche parole, moltissime cose. Poi Laterza con Nella pancia, sulla schiena, tra le mani nella collana Contromano. Quindi minimum fax, che ha sempre rivolto una grande attenzione ai racconti.

Premio Strega e self-publishing
L’attuale edizione del Premio Strega ha visto tra i candidati, per la prima volta, un libro di Amazon publishing, la casa editrice del colosso dell’e-commerce. L’autore Riccardo Bruni si è autopubblicato, il libro non è disponibile nelle librerie fisiche. Si tratta di una candidatura provocatoria o di un primo reale segnale di allarme che il self-publishing possa scalzare l’editoria tradizionale?
Milone non ha dubbi. «Non è vero che il self-publishing non intacca il mercato; all’estero va a gonfie vele e anche in Italia le case editrici attingono alla rete per scovare nuovi autori. L’argomento è serio, perché la letteratura è una cosa seria e difficile e il fenomeno dell’autopubblicazione mette in evidenza la deprimente estensione della mediocrità. Perché non tutti possono fare tutto. Lo scrittore ha bisogno del proprio editor, io ho bisogno del mio editor. Scrivere è un’attività egocentrica, tra lo scrittore e la pagina. Per questo è necessario l’intervento dell’editor, altrimenti il lettore verrà lasciato sempre più solo».

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Lo scrittore sociale
Tutta la filiera del libro vive del libro tranne l’autore, sosteneva Jonathan Littel. Lo scrittore resta un artigiano, deve autopromuoversi, accompagnare l’uscita dei suoi libri. Il sociologo francese Frederic Martel, ha lanciato una sfida con il rapporto Lo scrittore sociale, il futuro degli scrittori nell’era digitale. Lo scrittore può vivere del suo lavoro solo se diventa sociale, cioè si occupa della sua opera anche dopo averla scritta, con interventi, conferenze, presenze sui social, corsi di scrittura, presentazioni. Sono queste le condizioni da rispettare nel futuro degli scrittori?
«Purtroppo attualmente è così – risponde Milone – gli scrittori devono diventare personaggi, piccole star. Ritengo comunque che lo scrittore debba essere anche bravo, in grado di raggiungere un pubblico di lettori il più possibile variegato. Penso ad esempio ai racconti di Alice Munro che possono essere letti e apprezzati a vari livelli, per la trama, la tecnica, la costruzione narrativa, l’introspezione psicologica.
La mia pigrizia, comunque, mi impedisce di curare l’aspetto social. In questo minimun fax svolge un ottimo lavoro, cura molto bene la promozione del libro, anche se non sono stata in grado di seguire tutte le iniziative in giro per l’Italia anche per la nascita di mia figlia. Eppure mi chiedo: ma il libro da solo non basta? Non può funzionare un meccanismo che preveda l’acquisto del libro solo se si conosce di persona l’autore».

Per concludere la consueta domanda. Che cosa sta leggendo Rossella Milone?
La donna che scriveva racconti di Lucia Berlin e Una cosa piena di mistero, saggi sulla scrittura di Eudora Welty.

Ringraziamo Rossella Milone e Lina Monaco, ricordando il prossimo e ultimo appuntamento di Cosa si fa con un libro? con il traduttore Riccardo Duranti, il 6 maggio alla libreria Pagina 348.

Cosa si fa con un libro? A Roma la parola alla scrittrice
Rossella Milone

COSA SI FA CON UN LIBRO? Seconda edizione Roma 

Quarto appuntamento di COSA SI FA CON UN LIBRO?, seconda edizione a Roma.
Il 12 aprile 2016 alle 19, alla libreria Scripta Manent (Via Pietro Fedele, 54 – zona Appio-Latino). 

Prosegue il 12 aprile Cosa si fa con un libro? con la scrittrice Rossella Milone, dopo gli incontri con lo scrittore Sandro Bonvissuto, l’editore Sandro Ferri e il redattore Massimiliano Borelli.

Ospiti della libreria Scripta Manent di Lina Monaco e Maurizio Ceccato, torneremo sul tema della scrittura e dei suoi perché, soffermandoci sulle differenze fra racconto e romanzo, sul perché in Italia i racconti si leggono meno.

Rossella Milone, nata a Pompei nel 1979, è scrittrice, giornalista e blogger. Le piacciono Alice Munro, le montagne e le meduse. Ha esordito nel 2007 con i racconti Prendetevi cura delle bambine (Avagliano) e non ha più smesso di scrivere. Ha pubblicato per Einaudi La memoria dei vivi e Poche parole, moltissime cose. Con Laterza Nella pancia, sulla schiena, tra le mani e con minimum fax, nel 2015 Il silenzio del lottatore.

Coordina Cattedrale, un osservatorio online sul racconto. Fa parte della squadra dei Piccoli Maestri, il progetto che promuove la lettura nelle scuole. Collabora attualmente con Il Fatto Quotidiano e cura un blog.

Al termine sarà offerto il consueto aperitivo a sorpresa preparato dai nostri eccellenti gourmet Sabina e Michele.

Vi aspettiamo!

Un libro si pubblica. La parola al redattore Massimiliano Borelli

COSA SI FA CON UN LIBRO? Seconda edizione Roma 

COSA SI FA CON UN LIBRO? prima edizione Roma

di Emanuela D’Alessio e Rossella Gaudenzi

Di che cosa hanno bisogno i librai indipendenti in Italia? Serve o non serve la legge Levi? Perché non decolla un forte associazionismo di categoria?
Anche il terzo appuntamento di Cosa si fa con un libro? con il redattore de L’orma editore Massimiliano Borelli, il 12 marzo nella libreria romana Risvolti, è stato avviato con uno sguardo alle librerie indipendenti.

Alessandro Fratini, che insieme a Barbara Facchini gestisce la libreria Risvolti, ha una visione chiara della situazione.
«La realtà delle librerie indipendenti è di fatto molto complessa, con esigenze e obiettivi spesso differenti se non divergenti. La legge Levi rappresenta un problema: il tetto del 15% di sconto, che può salire fino al 25%, non è compatibile con una libreria indipendente, ma la tendenza diffusa resta quella di chiedere comunque lo sconto. Noi cerchiamo un altro modo per fidelizzare i clienti e indurli a entrare in libreria. Abbiamo istituito tessere fedeltà, organizziamo eventi, presentazioni, attività per bambini; cerchiamo di rappresentare un punto di riferimento per il quartiere».
Diversità di esigenze e di interessi spiegano anche, ha proseguito Alessandro, il perché a Roma non si abbiano esempi efficaci di associazionismo tra i librai indipendenti. «Di tentativi ce ne sono stati molti, ma purtroppo tutti falliti. Chi fa il libraio indipendente dovrebbe capire da che parte stare ma, soprattutto, quali obiettivi perseguire».

Massimiliano Borelli, Emanuela D'Alessio, Alessandro Fratini

Massimiliano Borelli, Emanuela D’Alessio, Alessandro Fratini

Che cos’è L’orma editore
Al lieve pessimismo di Alessandro sul futuro prossimo delle librerie indipendenti si affianca l’entusiasmo e la passione di Massimiliano Borelli, letterato, saggista, professionista editoriale, redattore per L’orma editore.
«L’orma editore – ha spiegato – è una realtà medio-piccola per fatturato e vendite, con venti-venticinque titoli pubblicati ogni anno e un lavoro redazionale molto vivace. La si può definire una casa editrice di progetto, “portare in Italia ciò che si muove in Europa”, che ha avviato nel 2012 un discorso letterario e politico coerente. Gli editori Lorenzo Flabbi e Marco Federici Solari hanno concentrato interessi e scelte editoriali sulla letteratura moderna e contemporanea di Francia e Germania. Dalle suggestioni del quartiere berlinese Kreuzberg e di quello parigino Belleville nascono le collane Kreuzville, dedicata alla letteratura contemporanea, e Kreuzville Aleph, dalla prima lettera dell’alfabeto, per tornare alle radici della modernità fino all’Ottocento».

Che cosa fa un redattore editoriale
Il lavoro di redattore in casa editrice, che sia L’orma o qualsiasi altra, è complesso, minuzioso, prezioso. Richiede cura, esperienza e, soprattutto, una preparazione culturale elevata. Soltanto con questi elementi si riesce a garantire un prodotto di qualità.
«Si comincia, nel caso di libri stranieri, con la traduzione che in genere è affidata a collaboratori esterni. Da noi accade a volte che siano gli stessi editori (esperti traduttori dal tedesco e dal francese) a occuparsi della traduzione. Il redattore entra in gioco con la revisione, che consiste nella verifica puntuale del testo tradotto, alla ricerca della maggiore corrispondenza possibile con l’originale quanto a tono, registro, lunghezza, fedeltà di termini».

vds_4La correzione delle bozze
Fase essenziale nella lavorazione di un libro è la correzione delle bozze. Il ruolo di correttore, spesso svolto dallo stesso redattore, è frequentemente percepito come il più umile dei lavori editoriali. Invece è estremamente importante, perché se un libro arriva in libreria senza refusi (cosa che accade sempre più di rado) vuol dire che è stato svolto un lavoro di qualità.
«La correzione di bozze – continua Massimiliano – è il momento più lento nella lavorazione del libro.  Non è necessario comprendere il senso generale del testo bensì controllare grafia, punteggiatura, ortografia. Insomma, in fase di correzione di bozze non si scende in profondità, ma si resta in superficie, si legge senza leggere in realtà. Per garantire un buon lavoro di correzione, inoltre, non si dovrebbero superare le quaranta pagine al giorno. Sarebbe anche da evitare, se possibile, quell’ossessione per i refusi che ce li fa scovare ovunque, mentre camminiamo per strada, osserviamo un cartellone pubblicitario o un’insegna».

Editor e redattore
Il lavoro del redattore è spesso confuso con quello dell’editor e nelle piccole case editrici accade di frequente che venga svolto dalla stessa persona. In realtà si tratta di due mestieri distinti. Lo spiega bene Borelli, specificando che per i libri italiani l’editor è colui che sceglie i manoscritti e accompagna l’autore fino alla stesura definitiva. Per i libri in lingua straniera, invece, l’editor non interviene nel processo di stesura ma svolge un lavoro di contorno, si occupa dei testi di copertina, dei rapporti con gli agenti.
Un altro compito dell’editor è anche quello di redigere il breve testo per la quarta di copertina, risvolti o bandelle. La quarta di copertina ha un ruolo fondamentale nel fornire ai potenziali lettori le giuste motivazioni all’acquisto. «Accennare la trama, ricreare l’atmosfera e, come dire, spingere il pedale. Questo  è il fine di una buona bandella». Sembra facile, ma non lo è affatto.
«A L’orma – aggiunge Massimiliano – ci sono due redattori e due editori molto competenti che intervengono anche nelle fasi del lavoro redazionale. La lavorazione di un testo per arrivare alla pubblicazione ha una durata di otto-dieci mesi. In casi particolari (in occasione di centenari, ricorrenze, eventi) il lavoro si concentra in circa tre mesi».

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I Pacchetti
Tra le offerte editoriali de L’orma c’è l’originale e sfiziosa collana I Pacchetti di cui Massimiliano Borelli ha curato, in particolare, La mia arte sei tu di Luigi Pirandello, La vita non è facile. E allora? di Marie Curie e Colosseo. Due o tre cose che so di lui.
Sono veri e propri pacchetti che possono essere affrancati e spediti direttamente per posta. Contengono le lettere più originali e sconosciute di scrittori, poeti, uomini e donne illustri di tutti i tempi, come Giacomo Leopardi, Dino Campana, Marie Curie, Mary Shelley, Antonio Gramsci. Lettere tradotte o ritradotte, con un apparato di curatele per spiegare il percorso scelto. Tutto al competitivo costo di 5€.
Da poco ha preso forma un’evoluzione della collana originaria, I Pacchetti dei luoghi (non comuni), dedicata ai monumenti simbolo, come Statua della Libertà, Tour Eiffel, Muro di Berlino, Colosseo.
«Si tratta in realtà di luoghi molto comuni – spiega Massimiliano – di cui si forniscono mappe, cifre, un alfabeto per raccontare in modo inconsueto monumenti che tutti presumibilmente conoscono. Abbiamo inserito anche una selezione di letture d’autore, testimonianze di visitatori illustri. Questi pacchetti sono il risultato di un lavoro collettivo il cui risultato dà respiro al redattore, offrendogli stimoli e gratificazioni preziose».

Fra poco arriveranno in libreria due nuovi Pacchetti, Non chiedere ragione del mio amore di William Shakespeare e La forza del sangue di Miguel de Cervantes, in occasione del quattrocentesimo anniversario della scomparsa dei due giganti della letteratura, il 23 aprile 2016. Di Shakespeare, non essendo rimaste tracce della sua corrispondenza, sono state scelte quindici lettere tratte dalle sue opere più famose, tutte ritradotte dagli editori, sotto lo pseudonimo Eusebio Trabucchi.

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Una battuta, infine, sul fenomeno del self-publishing. «Non è una minaccia – assicura Massimiliano – dietro l’autopubblicazione, a parte la legittima aspirazione di lasciare qualcosa di scritto a qualcuno, trovo l’inconsapevolezza di ciò che sono scrittura, lettura, lavoro editoriale. La qualità di un testo lavorato è incommensurabile».

Che cosa legge Massimiliano Borelli
«Sto leggendo, quando riesco (Massimiliano ha una splendida bimba di tre mesi) L’arte di collezionare le mosche di Fredrik Sjöberg. Ho appena finito Mountains of the mind di Robert Macfarlane e prima ancora avevo letto  Il mondo a venire di Ben Lerner».

Ringraziamo Massimiliano Borelli per l’entusiastica partecipazione, ricordando il suo intervento a Libri come (Auditorium Parco della Musica, Roma), sabato 19 marzo alle 12, per presentare il Pacchetto Colosseo. Due o tre cose che so di lui.

Con Cosa si fa con un libro? ci rivediamo martedì 12 aprile, alla libreria Scripta Manent, per l’incontro con la scrittrice Rossella Milone.

Foto di copertina: Abhi Sharma

 

Cosa si fa con un libro? A Roma la parola al redattore Massimiliano Borelli

COSA SI FA CON UN LIBRO? Seconda edizione Roma 

Terzo appuntamento della seconda edizione romana di COSA SI FA CON UN LIBRO?
Il 12 marzo 2016 alle 17:30 alla libreria Risvolti (Via Sestio Calvino, 73 – zona Appio-Claudio). 

Dopo gli incontri con lo scrittore Sandro Bonvissuto e l’editore Sandro FerriCosa si fa con un libro? torna in libreria il 12 marzo.

Ospiti della libreria Risvolti di Alessandro Fratini e Barbara Facchini, parleremo del lavoro di redattore in un casa editrice e dei suoi retroscena.

Nato a Roma nel 1982, Massimiliano Borelli ha molte anime e tutte letterarie.

Lo conosciamo come studioso e autore di un saggio su Giorgio Manganelli (Grammatica e politica della rovina in Giorgio Manganelli, Aracne, 2009) e sul romanzo italiano sperimentale degli anni Sessanta (Prose dal dissesto – Antiromanzo e avanguardia negli anni sessanta, Mucchi, 2013); come professionista editoriale (L’orma editore, West Egg).

L’attività principale di Massimiliano Borelli è, attualmente, quella svolta per L’orma editore, la piccola e raffinata casa editrice romana che Lorenzo Flabbi e Marco Federici Novari hanno fondato nel 2012 (qui la nostra intervista del 20 dicembre 2012).
Tra le molte proposte editoriali c’è l’originale collana I Pacchetti, i libri da chiudere, affrancare con un francobollo e imbucare, che raccolgono le lettere più originali e sconosciute di filosofi, artisti, poeti e uomini politici di tutti i tempi.

Borelli ha curato i Pacchetti La mia arte sei tu di Luigi Pirandello, La vita non è facile. E allora? di Marie Curie e, per I Pacchetti dei luoghi (non comuni), Colosseo. Due o tre cose che so di lui.

Massimiliano Borelli è stato anche tra gli ospiti della nostra rubrica Il comodino dei Serpenti.

Al termine sarà offerto un aperitivo a sorpresa preparato dai nostri eccellenti gourmet Sabina e Michele.

Vi aspettiamo!

Un libro si pubblica. La parola a Sandro Ferri, editore di e/o

COSA SI FA CON UN LIBRO? Seconda edizione Roma 

COSA SI FA CON UN LIBRO? prima edizione Roma

di Emanuela D’Alessio e Rossella Gaudenzi

Le librerie chiudono, il governo propone vincoli alla destinazioni d’uso delle librerie storiche o emendamenti per abolire i limiti agli sconti imposti dalla legge Levi. Negli ultimi quattro anni hanno chiuso una cinquantina di librerie solo a Roma, l’ultima in ordine di tempo è quella dell’editore Fanucci.
Di che cosa hanno bisogno i librai indipendenti in Italia? Serve o non serve la legge Levi? Perché non decolla un forte associazionismo tra i librai indipendenti?
È con queste domande che abbiamo avviato il secondo appuntamento di Cosa si fa con un libro, il 6 febbraio nella libreria romana Pagina 348, con l’editore di e/o Sandro Ferri.

Marco GuerraIl libraio Marco Guerra ha le idee molto chiare.
«La Legge Levi è una sorta di medicina che non guarisce né fa morire il malato, bensì lo mantiene in uno stato di coma vigile. Nel nostro Paese nessuna norma pone freno alle percentuali di sconto sul libro, diversamente da quanto accade in Germania o in Francia. In Francia non è consentito applicare uno sconto superiore al 5% e parliamo di un paese in cui le librerie indipendenti sono numerose e godono di buona salute. Ritengo che l’associazionismo per le librerie indipendenti non funzioni soprattutto perché esistono realtà molto diverse tra loro. Ad esempio, una libreria che vive sulla caffetteria ha esigenze assai distanti da quelle di chi fattura molto con i testi scolastici, e così via».

Fondamentale il rapporto tra libraio ed editore
«Per una libreria indipendente è fondamentale il rapporto con l’editore. Tra i primi venti titoli venduti dalla nostra libreria, sei sono della casa editrice e/o. E non è un caso. Per i grandi editori la piccola realtà della libreria indipendente spesso è vista come molestatrice, abbiamo difficoltà a farci richiamare e persino ad avere risposte via e-mail. e/o invece si affida al proprio promotore che va di persona nelle librerie, instaura un rapporto con il libraio, e il risultato si vede. La scelta di e/o è coraggiosa perché in tempi di crisi la spesa del promotore è una delle prime a essere tagliata. Ma è come tagliare l’arteria che porta sangue a un organo: quello inevitabilmente muore».

Il coraggio di rischiare
Di scelte coraggiose Sandro Ferri sembra averne compiute molte negli oltre trent’anni di attività, da quando nel 1979 decise, insieme alla moglie Sandra Ozzola, di fondare e/o.
«Il nome e/o ha due significati. Significa sia est/ovest – nel 1979 esisteva ancora il muro di Berlino – e abbiamo concepito un catalogo di autori dell’Est europeo, sia e/oppure, volendo affiancare la congiunzione all’opposizione, quindi a un’alternativa. In trentasei anni abbiamo compiuto molti cambiamenti ma continuiamo, io e mia moglie, a fare gli editori e non abbiamo mai perduto la curiosità di leggere, senz’altro utile per questo mestiere».
Curiosità che li ha portati a esplorare le letterature di mezzo mondo, dall’Europa orientale all’Africa, dalla Francia all’Italia. «Ventitré anni fa abbiamo scoperto Elena Ferrante, scrittrice napoletana che è diventata un fenomeno planetario. Circa dieci anni fa abbiamo fondato una casa editrice negli Stati Uniti e anche questa è stata una scommessa vinta. Indubbiamente abbiamo avuto fortuna, ma è stato premiato anche il nostro coraggio di rischiare».

lib1Quando un libro può essere considerato “buono”
Il lavoro dell’editore deve animare, incoraggiare la comunità dei lettori, e questo lo si fa pubblicando libri buoni e sostenendo le librerie. Ma di buoni libri ce ne sono pochi, aveva detto Sandro Ferri nel suo I ferri dell’editore (e/o, 2011). Quand’è che un libro può essere considerato buono?
«Innanzitutto un buon libro deve essere ben fatto, il risultato di cura e attenzione, nella scelta della copertina, del tipo di carta, di come viene impaginato. Ma un buon libro è soprattutto quello che trova un suo pubblico. e/o ha dato pubblico, in Italia, ad autori come Christa Wolf – e al suo intramontabile Cassandra – e Bohumi Hrabal. Quando abbiamo iniziato con il noir i nostri lettori sono rimasti perplessi, ma proprio attraverso quei libri alcuni lettori hanno scoperto Jean-Claude Izzo e Massimo Carlotto e conseguentemente l’esistenza di buoni noir. Aggiungo gli americani Thomas Pynchon, J. C. Oates,  Alice Sebold e il suo Amabili resti. Il più grande successo della casa editrice è stato L’eleganza del riccio (Muriel Burbery, 2007): negli Stati Uniti ha venduto 800.000 copie, superato solo da Elena Ferrante con oltre un milione di copie».

Il self-publishing è una minaccia per l’editore?
La Penguin Random House, la più grande casa editrice al mondo, ha appena venduto il suo servizio di autopubblicazione a pagamento. In Italia c’è Streetlib, la più importante piattaforma digitale per l’autopubblicazione che ha chiuso il 2015 con un fatturato di oltre 4 milioni di euro. Il self-publishing, come suggerisce il fondatore di Streetlib Antonio Tombolini, va interpretato non in chiave antagonista con l’editore ma come stimolo per imparare un nuovo modo di fare editoria. Per Sandro Ferri, invece, il fenomeno dell’autopubblicazione non costituisce una minaccia né un esempio di editoria alternativa.
«Non temiamo il self-publishing. L’editore deve fare la selezione, che è del tutto assente nel self publishing, è proprio questa la differenza che fornisce all’editore la sua ragion d’essere».

IMG-20160206-WA0002Il lavoro nella casa editrice
«e/o pubblica 50/60 titoli l’anno, grazie al lavoro di circa quindici persone, che non sono poche ma tutte necessarie. Si parte dal manoscritto, il prodotto grezzo, che va rivisto e viene lavorato attraverso l’editing a vario livello, per arrivare al prodotto finito. Il nostro ufficio stampa è composto da due persone, una a Roma e l’altra a Milano. Non tutti i libri riscuotono la stessa attenzione, per l’80% non c’è alcuna risposta. Quando invece si accende una lampadina inizia la trafila della promozione del libro. Un’altra persona si occupa esclusivamente del sito web e dei social (facebook, twitter). Comunque i libri non si vendono con i social o le recensioni sui giornali. Per quanto riguarda i premi letterari, in Italia a smuovere un po’ le acque quanto a vendite, sono lo Strega e il Campiello. La nostra è un’azienda (nel 2015 abbiamo fatturato circa 12 milioni di euro), che deve occuparsi di conti, bilanci, aspetti amministrativi. Capita anche di sbagliare. Faccio un esempio: l’ultimo libro di Carlotto, Per tutto l’oro del mondo, è uscito come strenna natalizia. Era già in distribuzione quando ci siamo accorti che mancava l’ultimo capitolo. Quarantamila copie, per il valore di circa 50.000 euro, sono state ritirate dal mercato e ristampate in fretta e furia, lavorando il sabato e la domenica anche di notte. Un editore deve saper fare anche questo».

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Il ruolo della distribuzione
«La distribuzione è fondamentale. e/o lavorava con PDE, grande distributore di molte piccole e medie case editrici, acquistato da Feltrinelli per contrastare la concorrenza di Messaggerie, ma alla fine è stato rivenduto proprio a Messaggerie. Siamo stati messi con le spalle al muro con nuove condizioni economiche. La nostra decisione è stata di dire no e di passare ad ALI, una distribuzione di minore».

Le grandi trasformazioni del mercato editoriale italiano
Negli ultimi mesi stiamo assistendo a grandi sommovimenti nel mondo editoriale italiano. Si è concretizzata la fusione di Mondadori e Rizzoli, Adelphi si è staccata dal nuovo colosso, è stata fondata la casa editrice La nave di Teseo. Grande è meglio di piccolo? Sembrerebbe di sì, ma anche di no, visti i dati del 2015 che risultano meno negativi proprio per la piccola e media editoria. e/o tanto piccola non lo è più, se consideriamo i dati di fatturato. Ma Sandro Ferri non nasconde la sua preoccupazione.
«Una minaccia oggettiva c’è. Mondadori possiede sul territorio italiano circa 5000 librerie, indubbiamente un’ampia fetta di mercato. Il problema si estende anche agli scrittori, che prima  avevano due grandi marchi cui bussare e adesso ci pensano bene prima di tentare con i piccoli editori. Insomma, una certa preoccupazione c’è. Staremo a vedere».

libreriaLe prossime uscite di e/o
Nei prossimi mesi usciranno un giallo del francese Michel Bussi, una sorta di mémoire di E.E.Schmitt su un’esperienza di viaggio nel Sahara. Dopo l’estate ci sarà il nuovo libro di Fabio Bartolomei, autore del fortunato Giulia 1300 e altri miracoli, e uno di Marco Rossari. E poi vari esordienti. «Pubblichiamo circa dieci esordienti italiani l’anno, ma solo uno su dieci funziona».

Cosa legge Sandro Ferri
L’incontro si conclude con la consueta domanda sulle letture sul comodino di Sandro Ferri.
«Ad eccezione dei libri in lavorazione, purtroppo c’è poco sul mio comodino. Qualche classico, per mantenere alto il livello letterario. Qualche saggio, perché mi piace la saggistica, qualche graphic novel e talvolta i successi di altre casi editrici. Devo ammettere che mia moglie è più brava di me nel dedicarsi alle “letture altre”».

Ringraziamo Sandro Ferri per la sua gentile disponibilità e ci rivediamo il 12 marzo, alla libreria Risvolti, per l’incontro con Massimiliano Borelli, redattore di L’Orma editore.