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Torna a Napoli Un’Altra Galassia. Ce la racconta Patrizia Rinaldi

di Rossella Gaudenzi

Patrizia Rinaldi

Abbiamo conosciuto Patrizia Rinaldi, vincitrice del Premio Andersen Miglior Scrittore 2016, un paio di anni fa in occasione della festa della lettura Pezzettini (che si svolge a Roma, a Tor Pignattara).

Oggi le abbiamo chiesto di raccontarci che cos’è Un’Altra Galassia, festa di libri, festa con i lettori, festa nella città, in programma a Napoli il 4 e 5 maggio.

Fino al 2009 e per venti edizioni è stata organizzata a Napoli la festa del libro e della lettura Galassia Gutenberg. Non volendo disperdere questa esperienza vitale e preziosa per la città, nel 2011, grazie all’iniziativa di Valeria Parrella, Rossella Milone, Massimiliano Virgilio, Pier Luigi Razzano e Francesco Raiola è nata Un’Altra Galassia.

Che cosa dobbiamo aspettarci dall’edizione 2018 di Un’Altra Galassia?
Sarà il Museo Archeologico Nazionale, nelle sue sale dedicate, a ospitare venerdì 4 e sabato 5 maggio l’ottava edizione di Un’altra Galassia. Cornice particolarmente suggestiva per aprire un programma all’insegna del reading: venerdì 4 maggio alle 20 si inizia con l’Omaggio ad Anna Maria Ortese20 scrittori per vent’anni; alle 21:30 seguirà il reading di Marco Rossari al Giardino delle Camelie e Chiara Valerio rievocherà Virginia Woolf attraverso il format della seduta spiritica.
Sabato 5 maggio alle 20 Paolo Di Paolo condurrà l’incontro dal titolo Mann al Mann in collaborazione con il Goethe Institute di Napoli; alle 21 Valerio Massimo Manfredi dialogherà con Paolo Giulierini e a chiusura del festival si svolgerà la seconda e ultima seduta spiritica, un momento estremamente evocativo, un dialogo con chi non c’è ma resta.
Nelle edizioni precedenti sono stati rievocati Jean-Claude Izzo da Massimo Carlotto, William Shakespeare da Nadia Fusini e Roberto Bolaño da Nicola Lagioia. Quest’anno Stefano Bartezzaghi dialogherà con David Foster Wallace, a dieci anni dalla morte.
Ciò che mi coinvolge in prima persona è la Scuola di scrittura. Quest’anno nella quarta edizione, da novembre ad aprile, abbiamo affrontato il tema del doppio: L’ignoto doppio. Scrivere è passare attraverso lo specchio. È stata un’esperienza entusiasmante di partecipazione collettiva: io, Valeria Parrella e Massimilano Virgilio abbiamo affrontato il romanzo, Pier Luigi Razzano il reportage giornalistico, Rossella Milone il racconto. Sono state assegnate borse di studio che hanno consentito a studenti particolarmente talentuosi delle scuole superiori di frequentare il corso: lezioni incantevoli a partire dal luogo scelto, l’Archivio Storico del Banco di Napoli di via dei Tribunali; qui si respirano storia, tradizione, bellezza architettonica.

Quali sono i punti di forza di Un’Altra Galassia?
Il punto di forza principale è che i fondatori, Valeria Parrella, Rossella Milone, Massimiliano Virgilio, Pier Luigi Razzano e Francesco Raiola sono persone estremamente competenti. Valeria ha un gusto letterario finissimo, sempre aggiornata sulle ultime uscite, tutto l’anno tiene incontri presso LaterzAgorà, lo spazio culturale nato all’interno del Teatro Bellini; Razzano e Raiola sono giornalisti; Virgilio è redattore radiofonico e responsabile dell’area cultura di Fanpage.it. I creatori di Un’altra Galassia hanno uno sguardo e una sensibilità particolari che li rendono consapevoli delle trasformazioni in atto nella città come a livello nazionale e nel mondo editoriale. Un’altra Galassia non è una fiera dell’editoria in senso tradizionale, ma una fiera della cultura dove gli incontri con il libro e lo scrittore vengono costruiti tenendo conto del contesto e del senso della città.

Valeria Parrella

Valeria Parrella è stata particolarmente tenace nel voler raccogliere il testimone di Galassia Gutenberg (nata prima della fiera romana dell’editoria indipendente Più Libri Più Liberi), una grande festa anche dell’editoria indipendente. Non si è arresa, con pochissimi fondi e molta determinazione ha voluto rilanciare l’esperienza e non disperderne il profondo significato culturale per Napoli.

L’originale format delle “sedute spiritiche”, il fatto che gli incontri si svolgano in fasce orarie crepuscolari e notturne hanno un collegamento con lo spirito della tua città?
Un collegamento profondo. Napoli è fatta di sopra e sotto, di immanente e trascendente: basti citare il famosissimo Cimitero delle Fontanelle e la Napoli Sotterranea. Quella con il mondo dei morti è una vicinanza barocca. Tutte le operazioni che hanno avuto un riscontro turistico eccellente altro non sono che operazioni che raccontano, a chi non è della città, questa nostra vicinanza con la morte, una vicinanza molto sentita, viscerale; un’appartenenza che da un certo punto di vista è anche pagana. C’è un rapporto con la morte quasi a consumarla, non isolato, né relegato; il mondo dei morti aleggia nell’aria non appena fai una passeggiata per i Decumani e il Barocco ti viene incontro, laddove alchimia, passato e arte si fondono.

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La figlia maschio è il tuo ultimo bel libro, uscito lo scorso autunno per e/o, forte del plauso di pubblico e critica. La vicenda porta il lettore a confrontarsi con realtà storicamente scomode (il triste destino delle figlie femmine nate in Cina dopo la morte di Mao), di quelle su cui non vorremmo soffermarci a pensare. Dove tenevi custodita la storia di Na?
Riflettevo da diverso tempo sulla questione delle identità, le identità frammentate e multiple. Tutti i personaggi del libro sono vittime e carnefici: hanno identità celate e allo stesso tempo contraddittorie. La ragazza Na è il simbolo di questa assenza di identità, vittima e carnefice per eccellenza.
Una persona a me cara ha fatto un lungo viaggio in Cina e la sua guida era un’ex “bambina fantasma”, che oggi lavora come interprete grazie alle scelte ragionate della famiglia.
Un altro elemento di riflessione è stato il concetto del dogma e della regola che si trasformano in crudeltà, come è accaduto con il nazifascismo inizialmente percepito come il bene assoluto.
Il limite demografico imposto in Cina aveva l’obiettivo di contrastare miseria e fame della popolazione, soprattutto nelle campagne; poi si è trasformato in una imposizione violenta e assurda che ha provocato aborti e infanticidi. All’appello mancano milioni di donne cinesi. Si è arrivati addirittura, in certi momenti, a organizzare rapimenti al femminile nei paesi confinanti per colmare lo squilibrio numerico tra uomini e donne. Tutto ciò non può lasciare indifferenti, soprattutto non può non suscitare una riflessione sul dogma che si trasforma in crudeltà.
Ci stavo pensando da tempo perché sono impaurita da questo fenomeno, soprattutto dal fatto che a farne le spese siano i più piccoli, in particolare le bambine. La figlia maschio è stato un romanzo difficile da scrivere.

Per quale motivo hai messo in campo quattro figure, maschili e femminili, che potremmo definire mediocri, senza innocenza e senza pietà?
La figlia maschio non presenta personaggi vincenti o perdenti, così come credo accada nella vita: i vincenti sono a mio avviso sopravvalutati. Puoi mostrare il profilo migliore ma siamo composti da componenti differenti e irrisolte e questo è uno dei motivi per i quali ho bisogno di scrivere sia per ragazzi sia per adulti.
Non dobbiamo dimenticare che veniamo da un ventennio in cui la donna era dominata dal cliché estetico: quando racconto le strettissime fasciature con cui venivano imprigionati i piedi delle bambine cinesi mi chiedo se un tacco di 12 centimetri non rappresenti, analogamente, l’impedimento al movimento, alla possibilità di correre. Non dobbiamo quindi considerarci, in maniera ipocrita, immuni dal cliché.
Cosa possiamo fare per raccontare queste apocalissi cicliche che ci invadono, senza essere giudicanti pur essendo comunque coinvolti? Il coinvolgimento narrativo è per me una prova di onestà. Alcuni lettori hanno detestato Na, altri l’hanno amata e detestato Felicita; in ogni personaggio ho cercato di mettere in egual misura il buio più totale e possibili strati di identificazione. Ho cercato di lasciare al lettore il giudizio, il sentimento.

Questa nostra intervista ha seguito un percorso che ha preso le mosse da Napoli, con Un’Altra Galassia, e si chiude a Napoli, con la storia di Na. Perché per Patrizia Rinaldi la sua città è il luogo della rinascita?
Nelle mie intenzioni la storia non si sarebbe dovuta concludere a Napoli ma a Roma, tanto che questa conclusione non era presente nella sinossi; avrei voluto parlare di Roma, la città che in questi anni frequento di più per motivi editoriali, nella quale amo girovagare con il naso in su e non finisce mai di stupirmi con il suo cielo meraviglioso. Di Napoli non volevo parlare ma si è imposta violentemente. Na nasce a nuova vita a Napoli perché ritengo che, nonostante le difficoltà in cui è immersa, sia una città profondamente bastarda tra dominazioni e mancanza di centralità (del Regno delle due Sicilie non dimentichiamo l’importanza di Palermo). Ritengo questo un dato positivo: a Napoli ci si sente tutti stranieri, data la molteplicità e la diversità di luoghi e storie. Io stessa mi ci sento se giro, ad esempio,  per il Rione Sanità. Questo sentimento di estraneità aiuta a farci sentire più benevoli. La profonda e radicata sensazione di essere figli di tante dominazioni, la grande promiscuità in cui si vive a Napoli dovrebbe essere di aiuto per il processo di integrazione.
Quando Na arriva a Napoli, un marinaio la interpella: «“Capisce l’italiano?” sillabò. “Sono nata a Roma”, mentii. “Allora non è straniera. Qua lo sarebbe comunque”».

A quale storia ti stai dedicando in questo momento?
Sto scrivendo ancora di Blanca, la protagonista dei miei romanzi noir editi da e/o e poi tornerò a scrivere per ragazzi, senza ombra di dubbio.

Come ogni intervista di Via dei Serpenti che si rispetti torniamo a chiederti: quali libri ci sono sul tuo comodino?
Ho appena finito Mariti di Ángeles Mastretta (Giunti, 2013) di cui mi piace riportare questa frase: «Grammatica. La chiamò Sillabaria e la amò per tre giorni e tre notti, come l’orizzonte. Poi la dimenticò in tre ore, come un abisso. Ma finché rimase con lei la chiamò Sillabaria. Bel nome per un’innamorata dell’ozio e delle parole».
Ho finito di leggere da poco anche La bastarda della Carolina di Dorothy Allison (minimum fax, 2018), magistralmente tradotto da Sara Bilotti, uno dei libri più belli letti negli ultimi anni.
In questo momento della vita sto rileggendo poesie, mi sto rieducando alla poesia: Jorge Luis Borges, Le giovani parole di Mariangela Gualtieri (Einaudi, 2015) e la mia ossessione, Sor Juana Inez de la Cruz. Studio di una personalità del barocco messicano di Dario Puccini (Edizioni dell’Ateneo, 1963), libro ahimè introvabile: una suora di clausura che parla d’amore con una contemporaneità sconcertante.
Leggo senza sosta libri per bambini e ragazzi, i più recenti sono Micromamma  di Piret Raud (Sinnos, 2018), che ho amato molto e Buonanotte a tutti di Chris Haughton (Lapis, 2016). E Storie della preistoria di Alberto Moravia: amo l’operazione che fanno gli scrittori che scrivono per adulti quando scrivono per bambini.

 

Un libro si scrive. La parola a Rossella Milone

COSA SI FA CON UN LIBRO? Seconda edizione Roma

COSA SI FA CON UN LIBRO? prima edizione Roma

di Emanuela D’Alessio e Rossella Gaudenzi

milone_5Prima di dare la parola alla scrittrice Rossella Milone, protagonista il 12 aprile del quarto appuntamento di Cosa si fa con un libro? alla libreria Scripta Manent, abbiamo chiesto a Lina Monaco, proprietaria con Maurizio Ceccato della libreria, di che cosa hanno bisogno le librerie indipendenti a Roma e perché stentano a decollare concrete forme di associazionismo tra librai.

Io speriamo che me la cavo
«Oggi ci si arrangia a cavarsela, il nuovo motto sembra essere diventato “Io speriamo che me la cavo” – sorride Lina Monaco, richiamando il fortunato libro che rese celebre il maestro elementare Marco D’Orta nel 1990.
«Di cosa abbiamo bisogno? Di regole che valgano per tutti, a cominciare dal prezzo di vendita dei libri e non è vero che sia impossibile per le librerie indipendenti creare un fronte comune. Penso all’ALI (Associazione Librai Italiani) che è una realtà ben presente. Penso ai tentativi che molti di noi, librai indipendenti, hanno fatto per costruire qualcosa di comune, ma le buone intenzioni non sono spesso seguite da azioni concrete».
In ogni caso le librerie indipendenti aprono di continuo (e chiudono). «Noi siamo stati fortunati – prosegue Lina –  le mura sono di proprietà e la professionalità di Maurizio Ceccato ha fatto sì che fin dall’inizio ricevessimo i libri direttamente dalle case editrici in conto vendita. Il nostro è stato senza dubbio un esordio felice».
Un consiglio per gli aspiranti librai? Lina non ha dubbi. «Trovare subito l’accordo con gli editori per creare un rapporto diretto, in quella che si può definire la filiera minima libraio-editore, e avere la possibilità di pagare solo il venduto. Per il resto bisogna arrangiarsi, appunto, e io speriamo che me la cavo».

Perché scrivo? Perché no?
Rossella Milone, nata a Pompei nel 1979, ha esordito con la raccolta di racconti Prendetevi cura delle bambine (Avagliano, 2007). Alla domanda sul perché della sua scrittura risponde con una battuta «e perché no?», ma subito dopo, ricordando che molti libri hanno preso vita proprio da questa domanda, come Una storia della lettura di Alberto Manguel, aggiunge: «Scrivo da sempre, ho iniziato da bambina con brevi racconti surreali da mettere in scena. Forse la scrittura mi restituisce le cose; rivivo episodi vissuti e perduti, forse non vissuti da me ma da altri, o magari non vissuti affatto, semplicemente immaginati. Scrivo perché attraverso l’affabulazione divento altro da me, quindi scrivo per capire l’essere umano. Scrivo, forse, per soddisfare una forte curiosità».

milone_4È una questione di sguardo
Rossella Milone, che ama Anna Maria Ortese, Beppe Fenoglio e Fabrizia Ramondino, ha scritto prevalentemente racconti. La sua prima raccolta Prendetevi cura delle bambine ha ricevuto una menzione di merito al Premio Calvino, poi ha pubblicato per Einaudi i tre racconti lunghi La memoria dei vivi (2008), per Laterza Nella pancia, sulla schiena, tra le mani (2011) e per minimum fax Il silenzio del lottatore (2015). L’unico romanzo, Poche parole, moltissime cose (Einaudi, 2013) si inserisce tra un racconto e l’altro.
«Il racconto si addice al mio modo di essere, amo parlare poco e ascoltare molto; quando scrivo lavoro per sottrazione e sono solita delegare ad altri il racconto degli eventi. Mi viene spontaneo il confronto tra fotografo e cineasta: è una questione di come è allenato lo sguardo. Il mio sguardo è predisposto a catturare ciò che può essere narrato nella forma racconto, riesce a cogliere questo tipo di storie».

L’osservatorio del racconto Cattedrale
La sua passione per questa forma narrativa l’ha spinta a creare un osservatorio che intende monitorare, promuovere e sostenere il racconto.
«Il progetto Cattedrale nasce un anno e mezzo fa con l’intento di far conoscere questa forma narrativa che in Italia non gode di particolare successo, nonostante una solida tradizione. Monitoriamo il genere, raccogliamo racconti italiani e stranieri, li facciamo conoscere, commentiamo e diamo suggerimenti. C’è un problema di visibilità. Per cercare di allargare il pubblico abbiamo organizzato un reading di racconti. È andata molto bene, sono venuti in tanti».

I perché della crisi del racconto
In Italia esiste una concreta difficoltà. «Il racconto non si vende, gli editori non investono e i lettori si diseducano. È un circolo vizioso che può essere spezzato solo con uno sforzo enorme di educazione che dovrebbe partire dalla scuola, dove si leggono ad esempio le Novelle di Luigi Pirandello ma non i racconti di Dino Buzzati o Ennio Flaiano».
«Il racconto richiede un’elevata partecipazione – prosegue Rossella Milone – ma questa sfida non viene raccolta dal lettore medio italiano. Uno dei motivi, lamentato dai lettori, è il fatto che in un racconto si ha poco tempo per affezionarsi ai personaggi, a differenza del romanzo dove tutto avviene più lentamente. Ma una parte di responsabilità è da attribuire agli stessi scrittori, che usano i racconti come intermezzo tra un romanzo e l’altro, per non far calare l’attenzione su di loro, ma senza avere un progetto. E il lettore se ne accorge e se ne va. Il racconto, infatti, come diceva Julio Cortàzar, vince per knock-out mentre il romanzo vince ai punti, insomma deve stordire il lettore in poco tempo».
Un racconto, per riuscire a vincere la diffidenza del lettore, deve tenere alta la tensione, esprimere intensità e lasciare molto spazio al non detto. Nei racconti, ancor più che nei romanzi, deve vigere la famosa regola dell’iceberg di Ernest Hemingway, bisogna lasciare affiorare solo la punta del discorso narrativo. Sotto va lasciato tutto il resto, ma se questa operazione di nascondimento non è compiuta correttamente, il risultato è scadente.

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Il successo dipende anche dall’editore
Rossella Milone ha comunque trovato la chiave vincente della sua scrittura proprio nei racconti, e il suo ultimo sforzo narrativo conferma il successo. Il silenzio del lottatore (minimum fax, 2015), infatti, ha avuto buoni riscontri di pubblico. «È il risultato di un progetto, composto da sei racconti più uno incentrati su sei donne e un periodo differente della loro vita. Sono autonomi tra loro, ma messi insieme seguono un percorso e costituiscono un corpo unico».
Resta indubbio che la fortuna di un libro, oltre che dalla bravura dell’autore, dipenda anche dal suo editore. E la Milone si dice fortunata, perché ha incontrato editori che l’hanno incoraggiata e supportata. Prima Einaudi, che ha pubblicato i racconti La memoria dei vivi e il romanzo Poche parole, moltissime cose. Poi Laterza con Nella pancia, sulla schiena, tra le mani nella collana Contromano. Quindi minimum fax, che ha sempre rivolto una grande attenzione ai racconti.

Premio Strega e self-publishing
L’attuale edizione del Premio Strega ha visto tra i candidati, per la prima volta, un libro di Amazon publishing, la casa editrice del colosso dell’e-commerce. L’autore Riccardo Bruni si è autopubblicato, il libro non è disponibile nelle librerie fisiche. Si tratta di una candidatura provocatoria o di un primo reale segnale di allarme che il self-publishing possa scalzare l’editoria tradizionale?
Milone non ha dubbi. «Non è vero che il self-publishing non intacca il mercato; all’estero va a gonfie vele e anche in Italia le case editrici attingono alla rete per scovare nuovi autori. L’argomento è serio, perché la letteratura è una cosa seria e difficile e il fenomeno dell’autopubblicazione mette in evidenza la deprimente estensione della mediocrità. Perché non tutti possono fare tutto. Lo scrittore ha bisogno del proprio editor, io ho bisogno del mio editor. Scrivere è un’attività egocentrica, tra lo scrittore e la pagina. Per questo è necessario l’intervento dell’editor, altrimenti il lettore verrà lasciato sempre più solo».

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Lo scrittore sociale
Tutta la filiera del libro vive del libro tranne l’autore, sosteneva Jonathan Littel. Lo scrittore resta un artigiano, deve autopromuoversi, accompagnare l’uscita dei suoi libri. Il sociologo francese Frederic Martel, ha lanciato una sfida con il rapporto Lo scrittore sociale, il futuro degli scrittori nell’era digitale. Lo scrittore può vivere del suo lavoro solo se diventa sociale, cioè si occupa della sua opera anche dopo averla scritta, con interventi, conferenze, presenze sui social, corsi di scrittura, presentazioni. Sono queste le condizioni da rispettare nel futuro degli scrittori?
«Purtroppo attualmente è così – risponde Milone – gli scrittori devono diventare personaggi, piccole star. Ritengo comunque che lo scrittore debba essere anche bravo, in grado di raggiungere un pubblico di lettori il più possibile variegato. Penso ad esempio ai racconti di Alice Munro che possono essere letti e apprezzati a vari livelli, per la trama, la tecnica, la costruzione narrativa, l’introspezione psicologica.
La mia pigrizia, comunque, mi impedisce di curare l’aspetto social. In questo minimun fax svolge un ottimo lavoro, cura molto bene la promozione del libro, anche se non sono stata in grado di seguire tutte le iniziative in giro per l’Italia anche per la nascita di mia figlia. Eppure mi chiedo: ma il libro da solo non basta? Non può funzionare un meccanismo che preveda l’acquisto del libro solo se si conosce di persona l’autore».

Per concludere la consueta domanda. Che cosa sta leggendo Rossella Milone?
La donna che scriveva racconti di Lucia Berlin e Una cosa piena di mistero, saggi sulla scrittura di Eudora Welty.

Ringraziamo Rossella Milone e Lina Monaco, ricordando il prossimo e ultimo appuntamento di Cosa si fa con un libro? con il traduttore Riccardo Duranti, il 6 maggio alla libreria Pagina 348.

Cosa si fa con un libro? A Roma la parola alla scrittrice
Rossella Milone

COSA SI FA CON UN LIBRO? Seconda edizione Roma 

Quarto appuntamento di COSA SI FA CON UN LIBRO?, seconda edizione a Roma.
Il 12 aprile 2016 alle 19, alla libreria Scripta Manent (Via Pietro Fedele, 54 – zona Appio-Latino). 

Prosegue il 12 aprile Cosa si fa con un libro? con la scrittrice Rossella Milone, dopo gli incontri con lo scrittore Sandro Bonvissuto, l’editore Sandro Ferri e il redattore Massimiliano Borelli.

Ospiti della libreria Scripta Manent di Lina Monaco e Maurizio Ceccato, torneremo sul tema della scrittura e dei suoi perché, soffermandoci sulle differenze fra racconto e romanzo, sul perché in Italia i racconti si leggono meno.

Rossella Milone, nata a Pompei nel 1979, è scrittrice, giornalista e blogger. Le piacciono Alice Munro, le montagne e le meduse. Ha esordito nel 2007 con i racconti Prendetevi cura delle bambine (Avagliano) e non ha più smesso di scrivere. Ha pubblicato per Einaudi La memoria dei vivi e Poche parole, moltissime cose. Con Laterza Nella pancia, sulla schiena, tra le mani e con minimum fax, nel 2015 Il silenzio del lottatore.

Coordina Cattedrale, un osservatorio online sul racconto. Fa parte della squadra dei Piccoli Maestri, il progetto che promuove la lettura nelle scuole. Collabora attualmente con Il Fatto Quotidiano e cura un blog.

Al termine sarà offerto il consueto aperitivo a sorpresa preparato dai nostri eccellenti gourmet Sabina e Michele.

Vi aspettiamo!