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Cosa si fa con un libro? A Roma la parola all’editore di e/o Sandro Ferri

COSA SI FA CON UN LIBRO? Seconda edizione Roma 

Secondo appuntamento della seconda edizione romana di COSA SI FA CON UN LIBRO?
Il 6 febbraio 2016, alle 17:30, alla libreria Pagina 348 (Viale Cesare Pavese 348, zona Eur-Ferratella).

Dopo il primo appuntamento con lo scrittore Sandro Bonvissuto, Cosa si fa con un libro torna in libreria il 6 febbraio con Sandro Ferri, l’editore di e/o.

Ospiti della libreria Pagina 348 di Marco Guerra, parleremo del rapporto tra editore e libraio, di come è cambiato il mestiere dell’editore negli ultimi trent’anni e delle prospettive del settore in questa fase di grandi trasformazioni, di come funziona una casa editrice, di pregi e difetti del mercato editoriale italiano e internazionale, e di molto altro.

Dalla collana praghese di Milan Kundera a Thomas Pynchon, da Muriel Barbery, autrice del best-seller L’eleganza del riccio e del nuovo Vita degli elfi, al caso editoriale Elena Ferrante, da Massimo Carlotto a Jean-Claude Izzo, alle novità di questi giorni, L’incantesimo delle civette di Andrea La Mattina e Tutti i giorni è tua vita di Lia Levi, la proposta editoriale di e/o è ricca e variegata.

Sandro Ferri è laureato in filosofia. Nel 1979, insieme a Sandra Ozzola, ha fondato e/o, che significa Est/Ovest ma anche e /oppure. Nel 2011 ha pubblicato I ferri dell’editore, breve e agile riflessione sul mondo editoriale e i suoi risvolti.

Al termine sarà offerto un aperitivo con i bignè al formaggio preparati dai nostri eccellenti gourmet Sabina e Michele.

Da non perdere!

Un libro si scrive. La parola allo scrittore Sandro Bonvissuto

COSA SI FA CON UN LIBRO? Seconda edizione Roma

COSA SI FA CON UN LIBRO? prima edizione Roma

di Emanuela D’Alessio e Rossella Gaudenzi

In un’atmosfera rilassata e calda, nonostante il vento polare che improvvisamente ha travolto Roma, sabato 16 gennaio ha preso il via la seconda edizione di Cosa si fa con un libro? con lo scrittore Sandro Bonvissuto.
C’erano una trentina di persone, tra gli altri anche Marco e Cristina, i librai di Pagina 348, nella libreria-salotto L’Altracittà con la padrona di casa Silvia Dionisi e le serpenti romane Emanuela D’Alessio, Rossella Gaudenzi e Sabina Terziani.
Bonvissuto non è uomo di poche parole ed è stato un po’ impegnativo, ma divertente, moderarne l’eloquio, con risultati comunque soddisfacenti per tutti.

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Il ruolo dei librai indipendenti. Trovandoci in una libreria non si poteva non cominciare da qui, dal libraio indipendente e dal suo ruolo. Per Bonvissuto il libraio vero, quello che legge i libri, che è in grado di dire a un cliente: «Questo libro è per te», che fa il proprio mestiere con passione e competenza, che riesce a veicolare buoni libri e sostenere realmente la lettura, è una specie in via di estinzione. «Sono pessimista, quando scompariranno i pochi veri librai indipendenti ancora in circolazione, vedo la fine». E per sottolineare di che pasta è fatto un libraio vero, Bonvissuto ha ricordato che al Punto Einaudi di Barletta, «luogo che nell’immaginario collettivo non viene di certo associato al mondo del libro o a una folla di lettori», sono state vendute circa mille copie del suo libro Dentro, mentre in una qualsiasi libreria di catena in una grande città se ne vendono due o tre decine al massimo.

bonv.1Il perché della scrittura. Alla fatidica domanda sul perché della scrittura Bonvissuto in realtà non ha risposto. «Non c’è un perché. Posso parlare più di un insieme di elementi casuali, non sempre facili da ricostruire, che hanno portato a un risultato ben riuscito».  La sua la definisce una scrittura “preterintenzionale”, perché scaturita inconsapevolmente, senza l’obiettivo della pubblicazione. «Lo scrittore è colui che scrive, non quello che pubblica – ha aggiunto – e scrivo quello che mi piacerebbe leggere».
Bonvissuto, che è laureato in filosofia e fa il cameriere, ha raccontato i suoi esordi inconsapevoli di scrittura quando era al liceo e non godeva di particolare successo fra i professori. In un paio di occasioni i suoi temi vennero riconosciuti come “molto belli”, a dispetto della sua fama di pessimo studente. Ma allora non diede retta a quei segnali. Soltanto dopo si mise a scrivere seriamente e quando tornò a casa con il suo primo librino stampato (peraltro mai distribuito), sentì di avere già realizzato un sogno. Da quel librino è poi scaturito un sogno ancora più grande e nemmeno immaginato: la pubblicazione con Einaudi.

Racconto o romanzo? Alla domanda se fosse uno scrittore di racconti o di romanzi ha risposto: «Non è stata mia la scelta di esordire con il racconto. Quando sono stato contattato dalla Einaudi avevo un intero romanzo in testa, ma l’incontro con la editor ha chiarito che la richiesta era per un libro di racconti. Credo che Dentro abbia il sapore del romanzo di formazione: contiene, a ritroso, l’adulto, l’adolescente, il bambino. Io amo i racconti – ha proseguito – come non amare quelli sublimi di Raymond Carver, ad esempio? Per poter scrivere un racconto si deve conservare l’impatto della poesia, bisogna essere capaci di misurare le parole, non una in più né una in meno. Il racconto richiede una sensibilità sopraffina. Comunque l’idea di scrivere un romanzo è rimasta intatta, e magari quando lo scriverò scoprirò che mi venivano meglio i racconti».

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Carcere e letteratura. Dopo una breve lettura di Il giardino delle arance amare, il primo dei tre racconti di Dentro, con cui Bonvissuto ha esordito nel 2012 per Einaudi, si è parlato di carcere e letteratura. Il giardino delle arance amare è la storia, narrata in prima persona, di un uomo senza identità e colpa, che trascorre un tempo imprecisato in carcere. Entriamo con lui, viviamo i suoi gesti, i suoi giorni senza tempo e i suoi pensieri e alla fine usciamo con lui, certi di aver imparato qualcosa in più. «Per arrivare a questo risultato – ha spiegato Bonvissuto – mi sono documentato, ho visitato molte carceri italiane, anche penitenziari di massima sicurezza, ho incontrato detenuti di ogni tipo, anche camorristi, ho letto tutta la letteratura sul carcere e la detenzione, lettere e corrispondenze. Il racconto ha una forte componente di verismo».

In carcere ci sono libri? «Dipende dalle situazioni. Esistono carceri modello dove sono previsti percorsi di lettura e altri penitenziari dove il concetto di detenzione è fermo a qualche secolo fa. Le associazioni, non di rado quelle di natura religiosa, riescono talvolta a smuovere le acque, a concretizzare qualcosa. Il panorama è dunque estremamente complesso. Insomma anche in questo caso il tema libro si conferma problematico».

Esordire con un grande editore. «Non è cosa da poco – ha ammesso – essere in collana con Philip Roth. Per sopportare il peso di una casa editrice di questa portata, con il migliore catalogo disponibile, occorre una solidità psicologica non indifferente. L’ambiente è complicato e volendo fare un paragone con il mondo dello sport, sarebbe il caso di dire che qui se sbagli una partita non giochi più. E pensare che Einaudi era l’unica casa editrice cui non avevo inviato il mio manoscritto».

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La conversazione sarebbe proseguita ancora a lungo se il tempo a disposizione non fosse scaduto. Riprenderemo il discorso in un’altra occasione, magari a cena nella trattoria dove Sandro Bonvissuto quando non fa lo scrittore indossa le vesti del cameriere.

Cosa si fa con un libro, seconda edizione romana in libreria, prosegue il 6 febbraio alla libreria Pagina 348 con Sandro Ferri, editore di e/o.

Cosa si fa con un libro? A Roma, la parola alla scrittore Sandro Bonvissuto

COSA SI FA CON UN LIBRO? Seconda edizione Roma

Primo appuntamento della seconda edizione romana di COSA SI FA CON UN LIBRO?
Il 16 gennaio 2016, 17:30, alla libreria L’Altracittà (Via Pavia, 106, zona Piazza Bologna).

Cosa si fa con un libro raddoppia e torna a Roma, mentre a Milano si è appena svolto il terzo incontro dell’edizione #scatolalilla, nella libreria Il Mio Libro di Cristina Di Canio.

A Milano si è parlato di promozione culturale con Oliviero Ponte di Pino, di scrittura con Francesca Scotti e di editoria con l’editore NN.

A Roma cominciamo il 16 gennaio e parleremo di “Un libro si scrive” con lo scrittore Sandro Bonvissuto, che ha esordito nel 2012 con Dentro (Einaudi), tre racconti narrati in prima persona, tappe di vita a ritroso, dall’età adulta alla prima infanzia.
Bonvissuto è laureato in filosofa e fa il cameriere. Gli chiederemo, tra le altre cose, il perché della sua scrittura, qual è il rapporto con l’editore e con i lettori, qual è o dovrebbe essere il ruolo del libraio.

Ospiti della libreria L’Altracittà, interverrà anche la padrona di casa Silvia Dionisi, con cui proveremo a fare una riflessione sulla condizione dei librai indipendenti oggi, sulle loro necessità, sulle difficoltà di fare rete.

E dopo le chiacchiere un aperitivo, offerto dalle serpenti romane Emanuela e Rossella.

Vi aspettiamo!

Dentro – Sandro Bonvissuto

UNA STAGIONE DA LEGGERE Rubrica dedicata alle stagioni nei libri, perché ogni storia ha la sua stagione.

di Emanuela D’Alessio

INVERNO – Dentro di Sandro Bonvissuto

(Dal racconto Il giorno in cui mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta)

Non succede mai niente d’interessante d’inverno. O forse succede anche qualcosa, ma è qualcosa che poi uno si dimentica. Perciò lo detesto, l’inverno. Tanto però torna sempre; dicono che sia a causa del meccanismo universale, il nome che hanno dato all’inesorabile alternarsi delle stagioni. E così tutte le persone a cui chiedi finiscono per sostenere che l’inverno sia assolutamente indispensabile. Ma io non ne sono affatto convinto. Credo si tratti della malsana abitudine che hanno a volte gli uomini di motivare l’esistenza di una cosa brutta ricorrendo a teorie inattaccabili, arcane superstizioni, assunti indimostrabili, e a un infinito numero di assiomi e postulati.

Insomma, l’inverno è e resta un problema. Collettivo e periodico. Al quale non si è mai riusciti a porre rimedio. Per me è come una piaga ciclica, una disgrazia annunciata, che andrebbe almeno intellettualmente rifiutata. Perché mortifica la vita. La intimidisce nelle sue manifestazioni. La ricaccia dentro non appena esce da qualcosa. Perché in genere la vita esce da qualcosa. E poi, quel poco che ci accade mentre fa freddo sembra non avere la forza per imprimersi nella nostra memoria definitiva, ed è condannato a una sorta di oblio a priori, per il solo fatto di essere successo in quel momento. Per questo ogni inverno della mia vita passata è oggi come un buco nero.

Non si poteva non citare questo incipit dedicato all’inverno, anche se il resto di Il giorno in cui mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta, il terzo racconto che compone la raccolta Dentro di Sandro Bonvissuto, si svolge in estate.

A prescindere dalle stagioni, la vera coincidenza importante è che l’autore inaugurerà la seconda edizione romana di Cosa si fa con un libro? e avremo modo così di scoprire se detesta veramente l’inverno!

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L’appuntamento è il 16 gennaio alle 17:30, alla libreria L’Altracittà (Via Pavia 106, zona PIazza Bologna).

Sandro Bonvissuto è nato a Roma nel 1970, è laureato in filosofia e lavora come cameriere. Dentro è il suo esordio letterario, nel 2012 con Einaudi.

Dentro
Sandro Bonvissuto
Einaudi, 2012
pp. 170, €17,50

Cosa si fa con un libro? Seconda edizione a Roma, in libreria

COSA SI FA CON UN LIBRO? Seconda edizione Roma

Cosa si fa con un libro, dopo la prima edizione romana a Garbatella in collaborazione con Altrevie e la #scatolalilla edition in corso a Milano, torna a Roma in versione itinerante in quattro librerie della città.

Da gennaio a maggio 2016, una volta al mese, le librerie L’Altracittà, Pagina 348, Risvolti e Scripta Manent, tutte librerie indipendenti da nord a sud della capitale, ospiteranno  autori, editori, editor, illustratori e traduttori per parlare  con i protagonisti della filiera libro, moderati dalle serpenti romane Emanuela e Rossella.

Il programma:
16 gennaio – Un libro si scrive. La parola allo scrittore Sandro Bonvissuto – Libreria L’Altracittà
6 febbraio – Un libro si pubblica. La parola all’editore Sandro Ferri di e/o – Libreria Pagina 348
12 marzo – Un libro si pubblica . La parola all’editor Massimiliano Borelli – Libreria Risvolti
Aprile – Un libro si illustra. La parola all’illustratore Simone Rea – Libreria Scripta Manent
Maggio – Un libro si traduce. La parola al traduttore Riccardo Duranti – Libreria Pagina 348

L’ingresso è gratuito con aperitivo.

Vi aspettiamo il 16 gennaio alla libreria L’Altracittà di Silvia Dionisi con lo scrittore Sandro Bonvissuto.

Qui gli incontri della prima edizione romana.

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Un libro si scrive. La parola allo scrittore Paolo Di Paolo (2)

COSA SI FA CON UN LIBRO? Prima edizione Roma

di Lorena Bruno

Il ciclo di incontri Cosa si fa con un libro? dedicato ai protagonisti della filiera libro, si è concluso il 7 maggio con lo scrittore Paolo Di Paolo.

Prima di lui abbiamo incontrato il libraio Marco Guerra di Pagina 348, l’artigiano dell’editoria Leonardo Luccone di Oblique, l’art director e graphic designer Maurizio Ceccato di Ifix, lo scrittore Davide Orecchio e l’editrice di Ponte33 Bianca Maria Filippini.

Li ringraziamo tutti per avere accettato con entusiasmo di partecipare. Un grazie lo rivolgiamo anche a Claudio Bocci, presidente di Altrevie, che ha voluto inserire la nostra iniziativa nel fitto programma dell’associazione, mettendo a disposizione la propria sede di Via Caffaro 10. E ringraziamo in particolare il pubblico di assidui e attenti ascoltatori che si è avvicendato da un incontro all’altro.

Paolo Di Paolo, prezioso interlocutore della serata, è un giovane autore poliedrico. Ha esordito nel 2004 a soli vent’anni con la raccolta di racconti Nuovi cieli, nuove carte (Empirìa), ha curato libri di interviste come Un piccolo grande Novecento (Manni) con Antonio Debenedetti, ha scritto romanzi come Mandami tanta vita (Feltrinelli), finalista al Premio Strega 2013, ha scritto per il teatro e la televisione e collabora come critico letterario con note testate italiane. Con lui abbiamo indagato il tema della scrittura, l’importanza della lettura e della sua promozione,  il ruolo del Premio Strega, il rapporto con gli editori.

Perché si scrive? «È una delle domande più preoccupanti, cui comunque si è tenuti a rispondere. Bisogna essere consapevoli del perché si scrive. Io lo faccio perché sin da piccolo scrivere era l’attività in cui mi sentivo più a mio agio. Certo, il fatto che venga istintivo scrivere non vuol dire essere scrittori. Si può scrivere solo per sé stessi – la scrittura ha un ruolo terapeutico – ma io non ho mai scritto solo per me. Da piccolo scrivevo per far ridere la mia maestra, ad esempio; avevo uno stile divertente che poi è scivolato verso uno più pensoso. Aspetto una reazione da chi mi legge, cerco di immaginare le persone che spenderanno giorni o qualche ora per leggermi. La mia scrittura è interlocuzione, se non ci fosse un ritorno non scriverei. E poi attraverso la scrittura cerco delle risposte o pongo delle domande che possono restano aperte. Tutto comincia da una domanda, prima ancora di iniziare a scrivere. Ammiro chi sa creare storie, io sono sempre partito da un’esperienza vissuta in prima persona».

Racconti, sceneggiature, romanzi: la motivazione è sempre stata la stessa? «C’è anche una motivazione “alimentare”, non si può vivere di narrativa. Non ho un secondo lavoro, ed è una cosa importante, ma non mi scalda scrivere per la televisione o per i giornali. Se scrivo un articolo posso farlo in treno, in mezzo alla gente, ma se devo scrivere narrativa ho bisogno di un grande silenzio. Ho sempre scritto in seguito a un input, che fosse un tema, una commissione o una domanda… Faccio molta fatica a rileggere quello che ho scritto, ci sarebbero troppe cose da cambiare, correggere o censurare.  Mi viene in mente una frase di Rilke: «Bisognerebbe scrivere un libro solo, alla fine della vita».

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Quali sono le domande all’origine dei tuoi libri? «Per esempio quale rapporto c’è tra la nostra vita privata e quella pubblica, cioè tra quello che siamo intimamente e il periodo in cui viviamo. Quanto può influire su di noi un determinato momento storico? Ognuno è il risultato di questo rapporto, di cui però è difficile individuare che cosa abbia inciso in particolare. Sono queste le domande all’origine di Mandami tanta vita, che parla di Piero Gobetti. La sua è stata certamente un’esperienza intellettuale senza precedenti, se pensiamo che tra i 17 e i 24 anni, tra la fine della Prima guerra mondiale e l’avvento del fascismo fondò e diresse tre riviste che diedero un apporto culturale importantissimo per quegli anni».

L’editoria è in crisi, ma non sembra esserci una crisi dello scrittore. Quali possono essere le motivazioni di chi sceglie il self publishing ? «Bisogna comprendere l’esigenza di scrivere e il suo valore terapeutico, senza liquidare queste cose con disprezzo. In questo periodo c’è uno scollamento tra la lettura e la scrittura. Tutti pensano di saper scrivere, ma quella senza lettura è una scrittura cieca, vacua. Lo scrittore consapevole è l’unico che può sopravvivere al tempo e che può diventare insostituibile. Tra l’altro per chi scrive e si autopubblica si alimenta un meccanismo d’illusione: si evita la mediazione della casa editrice, ma a fare così si diventa presto una goccia nel mare. Ciò che resta è la riconoscibilità dello stile di un autore e per raggiungere questo obiettivo bisogna avere consapevolezza, che deriva solo dalla lettura. Subissato dalle proposte, succede anche che l’editore monitori la rete per vedere se c’è un libro che abbia già attirato attenzione, si monitora una reazione che è di per sé una prova importante».

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La lettura è in crisi quindi bisogna promuovere la lettura? «Non si leggono molti libri, ma è anche vero che non se ne sono mai letti tanti. L’accesso alla cultura è maggiore rispetto a trent’anni fa, ma bisogna cambiare la promozione della lettura. Ho partecipato a #ioleggoperché, non volevo sottrarmi a un’iniziativa che promuovesse la lettura, ma credo sia importante cosa si legge, non il perché. È più coinvolgente parlare dei testi che ci appassionano, come ho avuto modo di sperimentare andando a parlare di libri nelle scuole, che parlare di quanto sia bello leggere in astratto».

Cosa si può fare per risolvere il problema e incentivare la lettura nel modo giusto? «Bisognerebbe capire perché molti non leggono e se questo sia un problema. A mio avviso sì, come anche ritenere che il romanzo sia l’unica lettura possibile. Bisogna tutelare la bibliodiversità: leggere romanzi è importante, ma anche leggere la saggistica lo è. Foster Wallace diceva: «È bello mangiare caramelle, ma se mangi solo quelle finirai per morire». La lettura coincide con l’informazione e con l’esercizio della propria lingua. A volte a chi non legge mancano le parole per far valere le proprie idee. In una classe mi è capitato di parlarne e i ragazzi erano sostanzialmente d’accordo sul fatto che a volte non riuscissero ad affermare la propria opinione perché non sapevano come esprimerla al meglio. Allora ho detto: «Non riuscirete a far valere il vostro pensiero senza la lettura». Ho molto rispetto per il mestiere degli insegnanti, non sopporto che gli si attribuisca tutta la colpa delle lacune del sistema scolastico, ma credo che molti di loro abbiano bisogno di un contatto più fresco con la letteratura contemporanea, a volte sembra che tutto si sia fermato a Calvino.

Da quali narrazioni nasce il tuo amore per la narrazione? «In un libro cerco la forza del racconto e una lingua che sia unica, che sia propria solo di quell’autore. Mi hanno sicuramente influenzato i testi di Giacomo Leopardi prosatore, in particolare gli appunti su alcuni argomenti di cui avrebbe voluto scrivere, in una lingua lirica ed evocativa e una vaghezza tutta leopardiana. Anche Antonio Tabucchi, a cominciare dal suo Sostiene Pereira, mi ha influenzato molto. È stato importantissimo lavorare con lui».

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Premio Strega: dalla tua esperienza di finalista nel 2013 a oggi, con la candidatura molto discussa di Elena Ferrante, c’è stata un’evoluzione? «Su Elena Ferrante ho detto abbastanza, non amo la sua tetralogia, preferisco i suoi primi romanzi come I giorni dell’abbandono. Rispetto chi la stima come autrice, ma non sono d’accordo sulla sua invisibilità, mi sembra un’operazione di marketing. Quanto al premio Strega, ho detto più volte che il fatto di aver pubblicato con Feltrinelli mi ha permesso di essere finalista. Quando nacque il Premio con Maria Bellonci e Guido Alberti nel 1947, le intenzioni erano pure, disinteressate. Dagli anni ’90 in poi è cambiato tutto radicalmente. Bisogna comunque riconoscere che Tullio De Mauro ha reso il sistema di votazione più trasparente. Poi non c’è dubbio: lo Strega serve a vendere e a dare visibilità anche ad autori che altrimenti non ne avrebbero così tanta».

Hai pubblicato con piccoli editori (Empirìa, Perrone) e grandi (Feltrinelli, Bompiani). Com’è il tuo rapporto con gli editori? «Le case editrici minori garantiscono un rapporto più diretto con l’autore, elastico, mentre quelle maggiori hanno un rapporto più rigido, a tratti algido. Per me è fondamentale avere un rapporto umano con l’editor. Lavoro molto bene con Alberto Rollo, direttore letterario di Feltrinelli. È una persona straordinaria. Non ha mai cambiato una singola riga, ma mi dà sempre suggerimenti e spunti di riflessione importantissimi. L’editor deve rispettare la creatività sapendo come guidarla nel modo giusto, deve saper porre questioni senza risolverle in prima persona».