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Un libro di storie sospese

di Elena Refraschini

Esce oggi per Rizzoli  La libreria delle storie sospese, il primo romanzo di Cristina Di Canio, la vulcanica libraia di Il Mio Libro, in Via Sannio 18, a Milano.  

Alle 10:30 tutti alla “scatola lilla” di Cristina per festeggiare.

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Conobbi Cristina Di Canio una mattina soleggiata di qualche anno fa, spinta dalla curiosità verso quella piccola libreria vicino Porta Romana che aveva lanciato l’iniziativa di cui tutti parlavano, il “libro sospeso”.
Mi trovai davanti un piccolo vulcano, una giovane donna piena di entusiasmo e di amore genuino per i libri, con lo sguardo luminoso proprio di chi sta gestendo venti attività e ne sta già pensando altre quaranta.
Innumerevoli eventi (tra i quali anche il primo ciclo milanese di Cosa si fa con un libro?) e oltre seicento libri sospesi dopo, eccoci qui: l’entusiasmo di Cristina sembra triplicato, ora che è uscito per Rizzoli il suo primo libro, La libreria delle storie sospese.
A essere sincera, prima di iniziare la lettura non sapevo bene cosa aspettarmi. Le librerie sono invase da prodotti di bassa qualità, scritti da autori improvvisati che non sono nemmeno stati aiutati da un editing decente. Certo, fare la libraia non è come fare la cuoca o l’attore o – rullo di tamburi – lo youtuber, su questo non ci piove: ad ogni modo, lo scrittore ha un mestiere diverso.
Già con due pagine alle spalle, posso tirare un sospiro di sollievo: il libro è ben scritto, e viene naturale lasciarsi trasportare in quel magico Paese delle Meraviglie – come l’ha definita Marco Missiroli in quarta di copertina – che è la “scatola lilla” di Cristina.
La storia, per la maggior parte, è proprio quella della libraia: Nina, così si chiama, è proprietaria della libreria di quartiere, è vegana, ha una nipotina di nome Asia, non ama i numeri. Vi troviamo anche il libro sospeso: due clienti della scatola lilla iniziano a scambiarsi libri in regalo come messaggi segreti, violando per una volta la regola che prevede la totale anonimità di mittente e destinatario. Gli episodi più assurdi (la madre che abbandona il figlio di cinque anni in libreria, il pazzo che parla con Dio…) sono troppo assurdi per essere inventati, e infatti non lo sono.
libreria_coverLa libreria delle storie sospese, però, non è affatto un diario. Non solo perché la voce narrante non è quella della stessa Nina ma di Adele, un’anziana signora che ha preso la libreria come il suo “ospedale dell’anima”. Ma soprattutto perché sarebbe riduttivo parlare di questo libro come della storia di una libraia: certo, è la storia di una giovane che ha realizzato il proprio sogno, ma è anche la storia di chi c’era prima di lei, la storia dei giovani immigrati dal sud Italia, delle canzoni del fermento operaio, delle case di ringhiera; la storia di un quartiere che cambia, che poi è quella di tanti quartieri a Milano così come in tutta Italia. Chi conosce Cristina non faticherà a trovare le somiglianze tra il racconto e la vita reale, ma questa è una storia che nella sua semplicità aspira a essere universale.

Partiamo dall’inizio: com’è nata l’idea di scrivere La libreria delle storie sospese?
Non avevo assolutamente, come si dice, un libro nel cassetto. Galeotta fu una cena a cui partecipai un anno fa: in quell’occasione si chiacchierava del libro sospeso e iniziai a raccontare di questi due clienti che, per un periodo, si sono scambiati libri. La storia è piaciuta, e da quella siamo partiti. L’idea originale, poi, è cambiata: lavorando con Stefano Izzo e Benedetta Bolis, sono arrivata dove non sarei riuscita da sola. Per esempio, all’inizio era Nina a raccontare la storia, ma ci siamo resi conto che avremmo avuto l’opportunità di raccontare una storia più grande se fosse stata l’ottantenne Adele a parlare. La storia di Adele, che era davvero un’amica della libreria, è quella dei miei genitori e dei miei nonni.

Infatti, questa non è solo la storia di Nina e della sua libreria, ma è anche quella di un intero quartiere.
Io sono nata e cresciuta qui, in una casa di ringhiera. Erano i miei genitori, venuti dal Sud, a leggere i cartelli “non si fitta ai meridionali” di cui racconta Adele nel libro, e sempre loro si sono conosciuti praticamente litigando quando erano vicini. Quella della casa di ringhiera è una vita fatta di storie: ho sempre amato le storie, sin da quando mi addormentavo sulle ginocchia di mia madre mentre chiacchierava con le amiche nell’androne. Soprattutto sono affascinata da come erano le cose una volta, com’è cambiata nel tempo qualcosa che vivi nella tua quotidianità pensando che sia sempre stata così. Penso allo scalo di Porta Romana, per esempio, ma è così per così tanti luoghi in Italia.

Nel tuo lavoro di libraia avrai conosciuto centinaia di scrittori. Ti sei ispirata a qualcuno nel tuo stile?
Non ho preso modelli particolari durante la stesura del libro, però ho cercato di giudicarlo come i libri che vendo: quelli che mi piacciono di più sono i libri che raccontano una bella storia, e che sono autentici. Ho cercato quindi di scrivere nel modo che sentivo più vicino a me, e ho fatto molta attenzione ai dialoghi, perché non risultassero finti.

Ora che sei anche un’autrice, vedi il tuo lavoro come libraia e i libri in modo diverso?
Assolutamente sì. Ho sempre amato e rispettato i libri perché sono il mio lavoro e perché dietro c’è il lavoro di tante altre persone. E sono sempre stata affascinata dal fatto che uno stesso libro, quando entra in contatto con persone diverse, diventa una storia diversa, più personale. Come Adele, che ha davvero letto Il giovane Holden mentre allattava in ospedale. Ma oggi, un libro esce ed è praticamente già un malato terminale. Deve fare il botto entro due mesi. Ma perché non posso permettere a qualcuno di scoprirlo sei mesi dopo l’uscita? Capita a volte che qualcuno entra in libreria chiedendomi dove siano le novità. Ma se tu non hai mai letto un libro, per te sarà sempre una novità! Almeno per quanto riguarda la narrativa. Questa esperienza mi ha fatto toccare con mano la fatica che sta dietro la produzione del libro, dall’autore, all’editor, alla revisione delle bozze, alla grafica di copertina. I librai hanno risposto molto positivamente, e sono felicissima e spaventata al tempo stesso.

Girerai per le librerie dei tuoi colleghi per promuovere La libreria delle storie sospese?
Sì, dal 20 maggio più o meno girerò l’Italia, e sono felice di conoscere nella vita reale tanti colleghi che conosco solo virtualmente. Sarà emozionante poter parlare di questa storia nelle loro librerie, a loro volta piene di altre storie.

Cosa si fa con un libro? Un libro si cuce. Incontro con l’editore-artigiano

COSA SI FA CON UN LIBRO? #Scatolalilla edition – Milano

COSA SI FA CON UN LIBRO? Scatola lilla edition, il 23 febbraio vi farà scoprire i segreti della legatoria assieme a ospiti davvero frizzanti: Francesca Genti che con Manuela Dago ha fondato la casa editrice di poesia Sartoria Utopia e Gabriele Dadati con Davide Corona, che di recente ha fondato il marchio Papero editore, oltre ad aver aperto un negozio di carta, che vende tanti tipi di questo materiale provenienti da tutto il mondo.

Entrambe le realtà editoriali si contraddistinguono per una scelta molto oculata di titoli, oltre che per una cura nei confronti dell’oggetto-libro, al massimo delle possibilità, dal momento che gli editori cucioni personalmente i propri libri, in edizioni limitate e deliziosamente ricercate.

L’incontro si terrà martedì 23 febbraio alle 19, sempre alla Libreria Il mio libro di Cristina Di Canio, in via Sannio 18 a Milano (metro Lodi).

Alla fine ci farà piacere offrirvi un piccolo aperitivo.
Vi aspettiamo!

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Un libro si pubblica. La parola a NN editore

COSA SI FA CON UN LIBRO? #Scatolalilla edition – Milano

di Elena Refraschini

Alberto Ibba ed Eugenia Dubini

Alberto Ibba ed Eugenia Dubini

Si è svolto il 14 gennaio il terzo incontro di Cosa si fa con un libro? #scatolalilla edition, ospitato come sempre nella libreria Il mio libro di Cristina di Canio. Questa volta abbiamo avuto il piacere di chiacchierare con l’editore milanese NN Editore, che quest’anno ha pubblicato autori importanti come Kent Haruf e ha fatto conoscere al pubblico italiano scrittori come Jenny Offill (qui la nostra recensione) e David James Poissant (qui la nostra recensione). Lasciamo quindi la parola a Eugenia Dubini e Alberto Ibba, tra i fondatori di NN.

VdS – Cominciamo dall’inizio della vostra storia: com’è iniziata NN editore?

Eugenia Dubini – Io e Alberto ci conosciamo da tantissimi anni, e diverse volte abbiamo pensato di creare una casa editrice insieme. Ci siamo conosciuti negli anni Novanta, quando lavoravamo alla Rivisteria di Bea Marin, mensile dedicato all’editoria e ai libri. C’era anche Edoardo Caizzi, che si occupa con noi oggi della produzione. Nella nostra squadra c’è anche Gaia Mazzolini, che aveva lavorato con me al Sole24Ore e con Alberto nell’agenzia letteraria che aveva creato dopo l’esperienza di Verdenero.

Alberto Ibba – Io venivo dall’esperienza di Verdenero, che per un periodo pensammo di trasformare in casa editrice. Poi ho creato un’agenzia letteraria (non mi sono fatto mancare nulla, insomma). Nel settembre 2013 però ci è sembrato ci fossero le condizioni giuste per creare la nostra casa editrice: i momenti di crisi offrono sempre nuove possibilità a chi ha delle idee, perché gli scenari cambiano. Siamo partiti ufficialmente nel 2014, e i primi libri sono usciti nel 2015. Non abbiamo fatto le cose di fretta, anzi, per un anno abbiamo letto e ci siamo confrontati tanto.

VdS – Siete una delle case editrici più attive online e offline, tra le più attente a una corretta e proficua gestione del rapporto con i vostri lettori. Potete dirci qualcosa in più a riguardo?

Alberto Ibba – Quello a cui abbiamo sempre tenuto è il rapporto con il lettore: un rapporto di trasparenza e accoglienza che mi ricorda quello delle cucine nei ristoranti: una volta erano un luogo da tenere nascosto, oggi invece si apprezza una cucina “a vista”, dove il cliente può ammirare il processo della creazione delle pietanze. Sia il nostro sito sia la nostra comunicazione online sono costruiti con quest’ottica. Vogliamo far sentire il lettore partecipe, senza mai prenderlo in giro. Per esempio, alla fiera di Torino abbiamo promosso il libro di Claire North incoraggiando i lettori a lasciare dei bigliettini per i sé stessi del futuro, premiando poi il più originale. Questo ovviamente ha portato più visite sia al sito sia ai canali social, oggi curati da Luca Pantarotto. Stesso discorso per il diario di Auro Ponchielli scritto da Alessandro Pozzetti, o la storia di Gemma, portata avanti dalla sua autrice Stefania Divertito.

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Eugenia Dubini – Ci succedono cose, lavorando coi libri, che contribuiscono alla vitalità degli stessi: per questo abbiamo scelto di pubblicare, per ogni titolo, anche il carteggio avvenuto tra me e il traduttore, o tra noi e l’autore, o il revisore. Anche l’idea del songbook fornisce un accesso in più al contenuto del libro, in un’ottica di assonanza tra consumi culturali. Nella stessa direzione vanno i nostri “bugiardini”, come li ha soprannominati una nota agente letteraria, una sorta di indicazione di lettore-tipo che pubblichiamo in quarta di copertina: “questo libro è per chi…”.

Anna Castellari

Anna Castellari

VdS – I vostri primi due titoli sono stati Benedizione di Kent Haruf e Sembrava una felicità di Jenny Offill. Come avete deciso che erano proprio questi i libri perfetti con cui iniziare quest’avventura editoriale?

Eugenia Dubini – Ho sempre letto i libri selezionati nei premi, e Benedizione era stato selezionato nella cinquina al Folio prize, che premia di solito libri molto belli. Ho subito contattato l’agente prima di partire per la fiera di Londra. Cercavamo testi sulla ricerca di identità nel contemporaneo, con una prima declinazione sui ruoli della vita quotidiana, su come le persone vestono con un po’ di fatica questi ruoli; testi che parlassero di identità, di senso di comunità: insomma, tutto questo e molto altro c’è in Haruf. A Londra, e chiunque ci sia stato sa di cosa parlo, siamo stati inondati di parole, un livello sonoro incredibile: ma leggevo Haruf prima di addormentarmi e attorno a me scompariva tutto il resto, e tornava il silenzio. Ci ha convinti subito. Abbiamo poi discusso anche con l’autore, recentemente scomparso, su come farlo uscire, perché in Italia era già uscito il primo di questa trilogia “slegata”, Benedizione era il terzo volume, che però abbiamo pubblicato per primo [il secondo, Canto della pianura, è uscito a novembre, mentre Crepuscolo uscirà a metà 2016].
Con la Offill è stato più semplice perché era recensita benissimo, Sembrava una felicità era stato eletto libro dell’anno in tanti Paesi e si inseriva perfettamente nel discorso che stavamo mettendo in piedi, trattando in modo originali temi quali l’identità femminile, le relazioni, la maternità. È costruito come un mosaico, come un puzzle che ti si compone davanti agli occhi. Abbiamo ricevuto una lettura bellissima di Gioia Guerzoni, traduttrice che lavorava con Teju Cole e che ci ha scritto una scheda di lettura meravigliosa con immagini, musiche e un voto che lasciava pochi dubbi: 10, un romanzo straordinario.

VdS – Il progetto della serie ViceVersa si è rivelato vincente presso critica e pubblico, visto il successo di libri come La resistenza del maschio di Elisabetta Bucciarelli e Panorama di Tommaso Pincio, che ha portato a casa il premio Sinbad. Potete raccontarci qualcosa in più?

Alberto Ibba – Già all’epoca di Verdenero c’era il progetto di chiamare a raccolta degli autori perché ragionassero su tematiche legate all’ecomafia in chiave narrativa. Quando abbiamo messo in piedi NN il concetto è stato simile, ma l’idea si è evoluta: si è deciso di mettere al centro il ruolo dello scrittore. Avendo favorito l’orizzontalità di relazioni e commistione di ruoli, non volevamo dare loro un compitino da svolgere, ma volevamo coinvolgere attivamente gli autori in una nostra riflessione. La serie è nata chiacchierando su cosa potesse interessarci in un dibattito legato alla contemporaneità e all’identità. La scelta è caduta sul tema dei vizi e delle virtù, perché quando c’è confusione i classici punti di riferimento bene/male cambiano. Tutto questo però non viene sviluppato in chiave didascalica, infatti leggendo i romanzi della serie ViceVersa non ci si accorge necessariamente che si parla di vizi e virtù. Abbiamo individuato Gian Luca Favetto come interlocutore ideale, e insieme abbiamo pensato agli scrittori da coinvolgere.

Elena Refraschini

Elena Refraschini

VdS – Questa volontà di trasparenza e di rapporto diretto con i lettori si traduce anche in un proficuo rapporto con le librerie. In questo anno di attività avete portato avanti diverse iniziative in questo senso, penso per esempio al tuo viaggio che ha toccato diverse librerie indipendenti lungo la penisola.

Alberto Ibba – Secondo me la crisi ha creato un soggetto libraio diverso, e ho voluto toccare questa cosa con mano andando di persona a conoscere i librai indipendenti dopo la nascita di NN. I librai che stanno aprendo queste librerie sono proprio il lettore a cui pensavamo: sono persone di cultura che non solo leggono, ma sono aggiornati sui serial, sanno cosa c’è a teatro, o danno consigli musicali. Questo è un ruolo che sta facendo crescere la cultura in Italia.

Eugenia Dubini – Tante volte andiamo nei gruppi di lettura. Elisabetta Bucciarelli è presentissima sui social ed è sempre felice di portare in giro, come lo chiama lei, “il suo maschio” (La resistenza del maschio). Durante una bellissima presentazione organizzata di recente alla libreria Verso, le persone erano fisicamente lì ma poi le domande e il dibattito si sono allargati in luoghi virtuali come facebook, twitter e periscope. È sempre presenza, che sia reale o virtuale importa poco.

VdS – Un’ultima domanda: potete darci qualche anticipazione sulle prossime uscite?

Eugenia Dubini – Il 18 febbraio uscirà I gatti non hanno nome di Rita Indiana, tradotto dalla storica traduttrice di letteratura ispanoamericana Vittoria Martinetto. Lo stesso giorno troverete in libreria anche Maestro Utrecht di Davide Longo, penultimo libro della serie ViceVersa. In futuro, uscirà Giacomo Sartori con Sagittarius A, e pubblicheremo i racconti inediti di Antonio Franchini. Verso la fine dell’anno verrà pubblicato anche l’ultimo di Kent Haruf, Le nostre anime di notte, una storia d’amore tra un uomo e una donna di settant’anni. Ne verrà tratto un film prodotto da Netflix e Robert Redford, che reciterà accanto a Jane Fonda.

Si conclude così la nostra serata dedicata a NN. Ringraziamo Eugenia e Alberto, il pubblico che ha partecipato con domande interessanti e, come sempre, Cristina Di Canio per l’ospitalità e per le belle foto. Alla prossima!

libreria

Un libro si promuove. La parola a Oliviero Ponte Di Pino

COSA SI FA CON UN LIBRO? #Scatolalilla edition – Milano

Per chi se lo fosse perso, abbiamo deciso di offrirvi l’intero incontro (o quasi) con il frizzante Oliviero Ponte Di Pino, grazie all’eroico lavoro di sbobinatura della serpente Elena, che ha anche moderato l’incontro assieme ad Anna. Lo abbiamo fatto perché è un incontro molto speciale, e perché di stretta attualità:  conoscerete il dietro le quinte di BookCity Milano, palinsesto letterario che si terrà dal 22 al 25 ottobre prossimi.

Si è aperto martedì scorso il ciclo di incontri “Cosa si fa con un libro?”#scatolalilla edition, frutto della collaborazione tra Via dei Serpenti e la libreria Il mio libro di Cristina di Canio. Ospite della serata, dedicata alla promozione del libro, è stato Oliviero Ponte di Pino, ex direttore editoriale Garzanti e oggi responsabile del palinsesto Bookcity, oltre che suo grande sostenitore sin dagli esordi: “Il più grande festival letterario della Lombardia! Ma che dico… d’Italia! Anzi, del mondo!”, afferma con l’usuale verve Oliviero, che sa come intrattenere il suo pubblico. A moderare, le serpentine milanesi Anna Castellari ed Elena Refraschini. Il pubblico, attentissimo e molto partecipativo, è anche intervenuto con domande e punti di vista.

foto 4L’atmosfera nella #scatolalilla di Cristina è, come sempre, molto informale: sembra di stare a casa di amici. Siamo una ventina in libreria, qui per parlare di libri, di lettura, di festival letterari… e per assaggiare buon cibo (sì, anche vegano) e buon vino. Ma partiamo dall’inizio.

Questa quarta edizione di Bookcity prevede quasi 900 eventi. Come funziona l’organizzazione e il coordinamento di questo impressionante numero di incontri?
A Milano, sede del settore editoriale italiano, mancava un grande festival dedicato alla lettura e ai libri. C’è stato uno sforzo da parte di diversi enti, che oggi si occupano principalmente di formazione, ma anche conservazione e promozione della cultura editoriale: Fondazione Rizzoli Corriere della Sera, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori e Fondazione Umberto e Elisabetta Mauri. Con il supporto e la promozione, naturalmente, del Comune di Milano, che quest’anno ha messo a disposizione ancora più spazi rispetto alle precedenti edizioni.

La parola chiave che sta dietro all’organizzazione di Bookcity è “inclusività”: non è un classico festival con una direzione artistica che decide cosa fare; sono gli editori stessi, le associazioni, le librerie, che ci propongono le attività che vogliono far conoscere alla città. Dalla prima edizione non sapevamo cosa aspettarci, ma gli editori in appena una decina di giorni ci hanno mandato 400-500 proposte di eventi. Lavorando venti ore al giorno, io ed Elena Puccinelli (archivista di formazione, una “pazza” come me) abbiamo creato, maghi dell’incastro, il primo programma di Bookcity. C’era chi mi diceva che era una cosa da matti, che non avrebbe mai potuto funzionare con quella formula: ma già la prima edizione ha attirato decine di migliaia di persone, segno che di una manifestazione di questo tipo si sentiva il bisogno, a Milano.

Ci sono poche regole, ma chiare: lo spunto per un evento deve sempre provenire da un libro, ma è vietato usare la parola “presentazione”, e non si può usare il titolo del libro in quello dell’evento: questo stimola la creatività e la capacità di comunicare degli organizzatori.

Quest’anno ci sono parecchie novità, tra cui alcuni nuovi e suggestivi luoghi del libro: la sede del Touring Club in Corso Italia, dove si terranno gli eventi dedicati al viaggio, e il Laboratorio Formentini, dove si discuterà delle professionalità legate al libro.

foto 2Una delle novità di questa edizione è una serie di eventi pensata per i più giovani, Bookcity Young – da cosa è scaturita questa scelta?
In Italia abbiamo grandi problemi culturali e politici perché si legge poco. Un’indagine di De Mauro, il massimo linguista italiano, dice che solo il 30% degli italiani comprende, leggendola, la frase “il gatto miagola perché ha sete”. Questo significa che ogni libreria ha un target massimo che è pari al 30% degli italiani. Per riuscire ad avere lettori domani, devi avere bambini che cominciano a leggere. Bookcity ha sempre avuto tanti eventi dedicati ai bambini, e come sapete a Milano tutte le attività a loro dedicate hanno un grande successo. I sistemi bibliotecari milanesi e limitrofi si sono dunque impegnati per dare maggiore rilievo alle loro attività quest’anno. Quelle per i più piccoli si concentrano sullo “storytelling” (fiabe lette ad alta voce, eccetera), per i più grandi (12-15 anni in su) invece il fulcro è quello della musica. D’altronde, siamo abituati a pensare che la lettura sia un’attività silenziosa, ma è così solo dalla Milano di Sant’Ambrogio e Sant’Agostino: prima la lettura era solo ad alta voce, i ricchi prendevano uno schiavo – magari proveniente dalla Grecia – e si facevano leggere i libri. Ogni anno cerchiamo dunque di trovare delle forme di promozione innovative, partecipative: certo possono perdersi in questo contenitore gigantesco, ma se funzionano, si ripetono. È importante trovare nuovi modi per declinare la lettura.

Ma i libri, a Bookcity, si vendono?
Questa è una domanda complicata. È difficile valutare se a questi eventi, come a Mantova o a Torino, i libri si vendano. La libreria gestita dalla LIM (Librerie Indipendenti Milano) l’anno scorso aveva guadagnato, ma a un evento è normale che tanti di quelli che vanno, il libro l’hanno già comprato e non lo comprano una seconda volta. Direi che la funzione di Bookcity è diversa: dice che la lettura è un fatto bello, importante e divertente. Intercetta le persone che non sono quelle che già leggono, ma che magari amano il tennis, o il calcio, e scoprono qualcuno a un evento che può dir loro qualcosa di interessante.

Il primo anno i libri relativi all’evento erano venduti direttamente dagli editori, per non danneggiare le librerie; era una scelta però complicata dal punto di vista pratico. Dal secondo anno la LIM ha cominciato a gestire la parte della vendita, e dallo scorso anno c’è una libreria dentro al Castello Sforzesco nata dalla collaborazione di diverse librerie milanesi.

Qual è il ruolo degli attori indipendenti (piccoli editori, librai indie) in questo Bookcity?

Noi vogliamo dare la parola a tutti quelli che vogliono parlare. Scegliamo solo chi mettere dove, la nostra abilità sta nel prevedere il richiamo di ciascun evento per poterlo inserire nello spazio della giusta grandezza, cercando allo stesso tempo di rispettare i poli tematici. Detto questo, la forza di Bookcity secondo me non sta nei 100 eventi di grandissimo richiamo, ma negli altri 750. È facile attirare centinaia di persone con Yehoshua (domenica alle 11 al teatro Franco Parenti, ndr). Più difficile è trasmettere la poesia in romagnolo di Lello Baldini, uno dei più grandi poeti italiani della seconda metà del Novecemnto, assolutamente straordinario. Comunque, l’obiettivo è dare voce a tutti, non solo agli indipendenti.

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Qualche evento di cui vuoi parlare in particolare?
Un evento un po’ folle, che quindi a me piace tantissimo, partirà da mezzanotte di venerdì 23 ottobre dal Teatro della Cooperativa in via Hermada e terminerà 24 ore e 42 km dopo, a mezzanotte: una maratona per le periferie di Milano in compagnia di Biondillo e altri. Questa è una delle tante iniziative matte e bellissime di Bookcity.

Appena arrivata a Milano qualche anno fa, fui contentissima di scoprire due amici poeti pubblicati nei libricini dell’iniziativa Subway Letteratura, che si trovavano nelle stazioni della metropolitana. Com’è nata questa iniziativa e perché non si fa più?
Quell’iniziativa è nata dopo “Subway, le arti in metropolitana”, a metà anni Novanta. L’idea era quella di creare dei juke box letterari che contenessero giovani autori magari già pubblicati ma ancora sconosciuti al grande pubblico, come Aldo Nove o Giuseppe Culicchia. Le regole erano semplici: dovevano scrivere un racconto specificando titolo, genere e numero di fermate di metropolitana necessarie per leggerlo. Questo serviva da una parte a mettere in testa agli scrittori che stavano scrivendo per qualcuno, dall’altra per far leggere le persone nel momento di “vuoto” del viaggio in metropolitana. Dopo un po’ di anni, con l’amico Davide Franzini ripartiamo con Subway, pubblicando solo autori under 35 e inediti. Eravamo di fatto una piccola casa editrice, stampavamo 12 libriccini all’anno in quattro milioni di copie. Era un modo per selezionare giovani talenti, aiutarli a crescere, a conoscere le pratiche dell’editoria. Ancora non c’era il mito del giovane autore inedito, per capirci era l’epoca pre-Giordano. Erano una sonda formidabile dei grandi temi giovanili, le relazioni, il lavoro (all’epoca stava finendo il posto fisso, iniziava l’epoca della precarietà). Questa esperienza ha esaurito il suo corso, ma hanno contribuito il cambiamento delle abitudini dei pendolari, che spendono il loro tempo tra free press e cellulari.

Sul suo sito c’è una sezione chiamata Alcune cose che si possono fare con un libro nel XXI secolo. Può dirci qualcosa in merito? Vi si menzionano tante nuove professionalità del mondo del libro tra cui il Personal Event Writer, il cronista che segue il tuo matrimonio, ma anche Wonderbook, il software di realtà aumentata per PS3…
La narrazione oggi prende vie sempre nuove, e in un momento di transizione come questo i sintomi del cambiamento vengono dalle piccole notizie. Per questo tengo dei quadernetti dove ritaglio e incollo tutte le piccole notizie sul mondo del libro. Per esempio, ieri sul Corriere si parlava di questo libro inesistente che aveva scalato le classifiche grazie a recensioni fasulle pagate 100 euro. Tutti sappiamo la grande storia di successo di Amazon, ma ci sono tante piccole notizie di insuccesso. Queste notiziole sono molto interessanti anche per capire perché certe cose non hanno funzionato, come i tanti predecessori del Kindle.

Sono tutti spunti utili a comprendere meglio che cosa sta accadendo, non si tratta soltanto di aneddotica ma di strumenti per sondare dove l’editoria – e il mondo – stanno andando.

Foto di copertina: Yuma Martellanz, BookCity 2014

Cosa si fa con un libro a Milano! Scatola lilla edition

COSA SI FA CON UN LIBRO? #Scatolalilla edition – Milano

Cosa si fa con un libro, dopo un’effervescente prima edizione romana, arriva a Milano!

Dal 13 ottobre 2015 a marzo 2016, suppergiù una volta al mese, la famigerata #scatolalilla di Cristina Di Canio, impenitente libraia indie rock della capitale dell’editoria, ospiterà autori, editori, protagonisti del mondo del libro, moderati dalle serpenti milanesi Anna ed Elena.

Un occhio particolare sarà riservato alla piccola e media editoria della città meneghina, in perfetto stile Via dei Serpenti.

Primo protagonista delle serate sarà il 13 ottobre, alle 19 in via Sannio 18, Oliviero Ponte Di Pino che, nell’appuntamento dedicato a “Un libro si promuove”, parlerà dell’imminente festival BookCity (22-25 ottobre 2015) e di eventi culturali come motore propulsivo alla diffusione della cultura editoriale.

A seguire, gli altri appuntamenti mensili saranno:

Un libro si scrive. La parola allo scrittore
Un libro si pubblica. La parola all’editor/redattore
Un libro si cuce. La parola all’editore artigiano
Un libro si vende. La parola al libraio

Vi aspettiamo il 13 ottobre da Cristina!

Le Serpenti milanesi