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Il paradiso degli animali – David James Poissant

di Elena Refraschini

il_paradiso_degli_animaliNella raccolta di racconti Il paradiso degli animali, appena pubblicata dalla milanese NN editore, il giovane esordiente David James Poissant ci parla della natura umana, di dolore, di fede, di resilienza, di redenzione. E lo fa con uno stile lineare e misurato, scevro da facili ammiccamenti, che conquista subito, grazie anche alla resa fluida ed efficace di Gioia Guerzoni.
Il titolo viene da una poesia di James L. Dickey: «Sotto l’albero / cadono / sconfitti / si rialzano / si rimettono in cammino»: il poeta immagina l’aldilà degli animali che in vita furono prede, ed è un paradiso dove continuano a dover scappare, ma non c’è dolore.
Ha spiegato l’autore: «Non credo che si riesca mai a superare certe perdite, e commettiamo alcune crudeltà per le quali speriamo di essere perdonati, ma non ci sarà mai una vera redenzione. A dispetto di queste, non abbiamo altra scelta se non l’andare avanti, rialzarci, rimetterci in cammino».

I personaggi che animano questi sedici racconti sono tutti ritratti prima, durante o dopo il momento di rottura: antieroi intrappolati nelle loro vite imperfette, nella loro incapacità di comunicare e di chiedere perdono. Le storie sono piene di padri e figli, mariti e mogli, amici, fratelli, che inconsapevolmente feriscono chi più amano. E in ciascuna fanno capolino gli animali (un coccodrillo, una mandria di bisonti, un lupo, un gatto scomparso, uno sciame di api) che, lontani dall’essere sterile metafora, danno più spessore e significato al racconto.

Una delle storie più belle è L’Uomo lucertola, che apre la raccolta. Siamo nella Florida rurale, dove Dan e Cam stanno viaggiando per tornare a casa del padre di quest’ultimo, appena deceduto. Cam deve fare i conti con tutto ciò che non ha mai detto e che non potrà più dire al padre, violento e alcolizzato; Dan, invece, non riesce a liberarsi dal rimorso dell’aver ferito il proprio figlio, scoperto a baciare un ragazzo, scaraventandolo contro la finestra del soggiorno. Le sottotrame s’inseriscono in filigrana grazie all’uso sapiente ed equilibrato del flashback, e verso la fine del racconto siamo anche noi con i due amici quando, in una sequenza di rara drammaticità, cercano di riportare un alligatore alla libertà delle paludi: un gesto forse inutile, perché la natura è mostruosa, e perché agli uomini il perdono viene concesso con parsimonia.

Insieme all’ultimo racconto, che dà il titolo alla raccolta, L’Uomo lucertola forma la coppia perfetta di fermalibri. In Il paradiso degli animali, infatti, ritroviamo lo stesso Dan, una quindicina d’anni e di rimpianti più tardi, in una disperata corsa attraverso gli Stati Uniti per salutare il figlio Jack, malato terminale di AIDS. In tutti i racconti si avverte un incredibile senso di empatia, ancora più acuto in questa coppia: perché il punto di vista è quello del padre violento, non del figlio omosessuale. «Sarebbe stato più facile scriverne dal punto di vista di Jack, ma farlo da quello di Dan era la strada più difficile, così ho capito che era la scelta giusta», ha detto l’autore.

Personaggi e grandi tematiche, dunque; ma non sono questi, almeno non all’inizio, a muovere l’autore: «Il mio ingresso in una storia è sempre grazie all’ambientazione, fin proprio a uno specifico parcheggio», ha dichiarato Poissant. «Io amo i luoghi, e cerco di essere il più fedele possibile. Quindi se i personaggi sono inventati, spesso i luoghi non lo sono: (…) vedo un certo posto nella memoria, poi vi inserisco i miei personaggi, e li seguo ovunque vogliano andare».
E se nella voce è chiara l’influenza di Carver, per il suo sense of place non si può non avvertire l’eco di grandi cantori del Sud come Flannery O’Connor e ancor più Frederick Barthelme, inarrivabile nell’uguale elevazione del brutto e del bello di questo panorama culturale.

Ero sicura che Poissant provenisse da qualche parte della Georgia, dell’Alabama, della Florida: è nato invece nello stato di New York, eppure da ogni pagina traspare il suo affetto verso questi luoghi. Ne Il paradiso degli animali c’è tutta l’America che Poissant ama, e che amo anche io, quella a cui stanno stretti i simboli per il quale è nota, e che fatica a far sentire la propria voce al di là degli stereotipi. Che la si chiami Dixie, Bible Belt, o semplicemente “il Sud”, è l’America delle villette in periferia, dei centri commerciali, delle strade sempre dritte, costellate da insegne di motel alla buona e catene di fast-food aperte tutta la notte, l’America rurale e dei piccoli paesi, dove la stella polare è il campanile bianco della più vicina chiesa battista.

David James Poissant

David James Poissant

Un’autenticità di voci e geografie culturali davvero rara, unita a un’invidiabile empatia nei confronti di personaggi con i quali non sempre vorreste trovarvi a cena: anche solo per questi motivi, fossi in voi non mi perderei questo nuovo, grande autore americano.

Nota sull’autore
David James Poissant. 
 I suoi racconti sono apparsi in diverse riviste e nella antologia Best New American Voices, e hanno vinto numerosi premi, tra cui l’Alice White Reeves della National Society of Arts & Letters. Con Il paradiso degli animali ha vinto il Florida Book Award 2014, ed è stato finalista al Los Angeles Times Book Prize e al PEN/Robert W. Bingham Prize. Docente del master in Fine Arts all’University of South Florida, nel 2015 viene nominato vincitore al New Writers Award for fiction, come in passato autori del calibro di Alice Munro e Richard Ford. Vive a Orlando (Florida) con moglie e figlie.

Il paradiso degli animali
David James Poissant,
traduzione di Gioia Guerzoni,
NN editore, 2015,
pp. 304, €17.

La cucina color zafferano – Yasmin Crowther

UNA STAGIONE DA LEGGERE Rubrica dedicata alle stagioni nei libri, perché ogni storia ha la sua stagione.

di Elena Refraschini

AUTUNNO – La cucina color zafferano –  Yasmin Crowther

Acquistati i biglietti, andammo a passeggiare in Bond Street, le vetrine tutte luci e agrifogli. Nel viavai di gente lo presi sottobraccio. “Vuoi che ti porti qualcosa?”
Lui fece un cenno di diniego, poi ci ripensò. “Un po’ di terra color zafferano?”
Stavamo là, sotto il cielo grigio di Londra, in mezzo alle torri e ai parchi. Il fiume correva verso il mare e intorno a noi le foglie d’autunno si impigliavano nel vento e volavano via volteggiando dai rami.

Londra, autunno: la serenità di Maryam è squarciata da due eventi indipendenti ma contemporanei. La sorella muore nella lontana Teheran, mentre la figlia Sarah subisce un’interruzione di gravidanza. Sono questi eventi a spingere la protagonista ad aprire la porta del passato, in un viaggio doloroso ma necessario che la porterà a Mazareh, nel piccolo paese natio sulle montagne dell’Iran, per riacciuffare i brandelli di un’esistenza segnata dal dolore. Dolore e vergogna per un peccato mai commesso, per il rigetto da parte della piccola comunità, la fuga verso una terra straniera. Un viaggio di riconciliazione dalle tinte autunnali: quelle dei parchi e delle strade londinesi, quelle dei paesaggi brulli e spietati dell’Iran rurale. Due paesaggi, due luoghi dell’anima che Maryam dovrà cercare di conciliare.

12193433_1038241006220083_2379482804753427124_nYasmin Crowther, autrice di La cucina color zafferano (Penguin, 2006; Guanda, 2006), è figlia di madre iraniana e padre inglese. È parte di entrambi i paesi, ma da nessuno dei due si sente completamente compresa. È anche per questo che ha scritto The Saffron Kitchen, il suo primo romanzo: per raccontare quanto possa essere difficile, ma allo stesso tempo fondamentale, creare un ponte tra due culture.

La cucina color zafferano
Yasmin Crowther
Guanda, 2006
pp. 256, €14.50

 

Foto: Simon Cocks

I consigli per l’estate dei Serpenti (3):
I racconti di San Francisco

di Elena Refraschini

raccontidisfI racconti di San Francisco, Armistead Maupin (trad.  di V. Guani, E. Humouda), BUR, 2004.

I racconti di San Francisco è il primo romanzo di una serie che, in lingua originale, è composta da nove titoli, pubblicati negli Stati Uniti da Harper Collins.
Stavo girovagando nella bella Libreria del Corso a Milano in questi giorni di caldo afoso, quando ho scoperto questa bella nuova edizione di uno dei miei libri preferiti; lo ammetto: custodisco gelosamente tutte le mie copie originali, comprate in diverse librerie indipendenti o mercatini dell’usato negli Stati Uniti. Non ero quindi aggiornata sull’edizione italiana, che mi ha sorpresa con una bella copertina raffigurante il Golden Gate (che no, non è dorato).
Questa serie è uno degli esempi più riusciti di comfort reading: È qualcosa a cui torno ciclicamente, almeno una volta all’anno, e non mi annoia mai. Nonostante ormai conosca a memoria personaggi e situazioni, rimango sempre stupita dalla capacità di Maupin di far vivere le parole sulla pagina, di far sì che il lettore si senta proprio lì, insieme a Mary Ann, Mouse, Mona, ma soprattutto insieme ad Anna Madrigal, uno dei personaggi più amati della letteratura popolare americana e portata sul piccolo schermo da un’impeccabile Olympia Dukakis nel 1993.
Un’abilità tecnica nell’inanellare dialoghi vivaci, lievi ma allo stesso tempo mordaci, unita a un evidente affetto nel dipingere lo scenario della San Francisco negli anni Settanta, post-età dell’amore, rendono questa una lettura piacevole ma mai banale.
Nella versione originale della serie conosciamo i personaggi quando sono poco più che ventenni, alle prese con i primi lavori e le prime delusioni amorose, alla ricerca del proprio posto nel mondo; alla fine li ritroviamo ai giorni nostri ormai sessantenni (Anna Madrigal, la “madre” di tutti loro, ha 92 anni quando partecipa, celebrata e amata da tutti i presenti, al Burning Man), con alle spalle malattie, matrimoni, figli.
Riuniti in una San Francisco stravolta dalla rivoluzione dell’industria tech, vittima di una dilagante gentrificazione, che però non le ha ancora fatto perdere quello spirito da ultimo avamposto, da fine dell’arcobaleno, da “no more land!”, come urlava Neal Cassidy quando, insieme a Jack Kerouac, raggiunse la City by the Bay.

Luca Leone, Infinito Edizioni: i nostri libri un modo di essere cittadini attivi e critici

FUORI STRADA – Rubrica di approfondimento della piccola e media editoria “extra-capitolina”

di Elena Refraschini

Infinito edizioni è una casa editrice indipendente fondata nel 2004 da Luca Leone e Maria Cecilia Castagna e si occupa prevalentemente di saggistica e reportage giornalistici. Un’attenzione particolare è dedicata alla storia della Bosnia e dei Balcani.

Conobbi questo editore modenese quasi per caso: stavo organizzando un viaggio in Iran tre anni fa e, come per ogni viaggio, ero in cerca di libri sia di narrativa sia di saggistica su questo affascinante Paese; fu così che conobbi Antonello Sacchetti, che si occupa di Iran da diversi anni (per chi fosse interessato, ecco il suo blog) e ha pubblicato proprio con la casa editrice di Leone quattro titoli. Quando ci fu l’occasione, io e Sacchetti ci incontrammo a Milano per presentare il suo ultimo libro Trans-Iran alla bellissima libreria di viaggi e culture Azalai.

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Ho avuto poi occasione di conoscere Leone alla fiera dell’editoria indipendente Book Pride, ai Frigoriferi Milanesi a marzo. L’incontro ha confermato l’immagine che mi ero fatta di lui: un editore combattivo, tenace, di progetto. Gli abbiamo rivolto qualche domanda per conoscere meglio la missione di Infinito editore.

Eserciti la professione di giornalista, e avevi scritto alcuni libri prima di fondare la tua casa editrice nel 2004. Da cosa è nata l’esigenza di creare Infinito edizioni?
Da un sogno: poter vivere del mio lavoro facendo cultura e informazione in modo libero e indipendente. Un sogno, appunto. Almeno in Italia, dove il settore è in profonda crisi: nonostante questo noi non molliamo e continuiamo a mettercela tutta per fare informazione libera e indipendente.

Ad oggi, dieci anni dalla fondazione, la vostra produzione vanta diverse centinaia di titoli suddivisi in dieci collane. Un risultato ammirevole, per una casa editrice indipendente. Chi ti affianca nel lavoro quotidiano?
I titoli sono poco più di duecento, a cui si aggiungono diversi e-book inediti. Per una piccola casa editrice non a pagamento e indipendente ventidue libri l’anno di media sono veramente molti. Pensa che siamo partiti, il primo anno, con sette titoli, tre dei quali subito ristampati, uno più volte. Nel 2015 pubblicheremo trentuno titoli inediti sia in formato cartaceo sia in e-book, più quattro o cinque e-book inediti. Uno sforzo enorme, soprattutto in tempi durissimi di crisi come quelli che stiamo vivendo in Italia almeno dal 2012. Nel 2016 è probabile che ci assesteremo tra i ventotto e i trentadue titoli.

In casa editrice lavorano fisse tre persone, più alcuni collaboratori, per ora. I costi crescono e complessivamente le copie vendute diminuiscono, in questo 2015 da vivere in trincea.
Arriverà forse il momento in cui dovremo rivedere quei numeri. Speriamo di no. E in ogni caso, se non si possono pagare gli stipendi, i primi a non essere pagati sono del pazzo che ha buttato giù piano editoriale e piano industriale di questa avventura, ovvero il sottoscritto.

Nessuno tra chi gestisce il Paese sembra rendersene conto, ma nel settore da anni è in corso un’emorragia di professionalità, che molto spesso non riesce a ritrovare collocazione. È uno spreco immenso in termini oggettivi, e una tragedia per molte persone e famiglie in termini soggettivi. Però nessuno fa nulla e il ministero preposto all’uopo naviga per ora nel buio.

Luca Leone

Luca Leone

Quali sono le difficoltà maggiori che vi trovate ad affrontare come editori indipendenti, e quali le maggiori soddisfazioni?
Il nostro è un lavoro difficile anche perché non ci sono politiche a favore della cultura, in questo nostro Paese. Il governo è completamente disinteressato al mondo dei libri e i grandi editori sono riusciti a sprecare la grande occasione che arrivava dalla crisi, per poter finalmente rinnovare un po’ un ambiente stantio e ammuffito, in molti aspetti fermo agli anni Settanta del Novecento. Invece la crisi finirà – se e quando finirà, almeno in editoria – con una concentrazione oligopolistica che mette seriamente in crisi la bibliodiversità e con una serie infinita di editori falliti o sull’orlo del baratro.

Inoltre, la filiera dovrebbe essere completamente ristrutturata e invece nulla va in questa direzione. Anzi, i costi per gli editori crescono e ormai le percentuali che lasciamo a librerie e distributori sono così alte – probabilmente le più alte in Europa – che sarà sempre più difficile saltarci fuori. Mancano politiche intelligenti di riforma del settore: fin qui abbiamo solo avuto la riduzione dell’IVA sugli e-book, che rappresentano una percentuale infima del fatturato complessivo (siamo intorno al 3 per cento) e che si trova sub judice in sede di Commissione europea. Nulla di più. Solo concentrazione editoriale, mentre i distributori sono in difficoltà coi pagamenti e gli stessi grandi gruppi che stanno concentrandosi spesso sono in drammatico ritardo coi pagamenti delle fatture.

Altra difficoltà non indifferente è data dalla percezione del libro che si ha in questo Paese. Gli italiani non leggono, gli uomini in particolare. Ed è inquietante sentire persone di quaranta o cinquant’anni di sesso maschile vantarsi del fatto che non leggono, che non sono interessate, che “la vita è già abbastanza difficile così, se mi metto pure a leggere…”. Questa auto-esaltazione del “sono ignorante e ne sono fiero” è figlia delle scelte politiche degli ultimi decenni, di una scuola in cui troppo spesso tanti insegnanti interpretano la loro missione come semplicemente orientata al giorno di “San Paganino”, ma anche di molte scelte sbagliate di noi editori, di ogni grandezza.

L’editoria italiana sta vivendo una crisi strutturale, e per uscirne è necessario uno sforzo condiviso da parte di noi editori, del governo, del mondo della scuola, che deve insegnare ai ragazzi che i libri sono amici per la vita, e dei librai, che devono coltivare l’amore per la lettura dei propri clienti.

All’estero si parla ciclicamente della morte della saggistica. Sicura che eviterai termini tanto catastrofici, puoi darci il tuo punto di vista riguardo la lettura di saggistica in Italia?
I dati della saggistica in Italia sono in calo, ma lo stesso vale anche per gli altri generi. In Italia le lettrici per antonomasia, e cioè le donne, continuano a leggere saggistica e a voler essere aggiornate. Sono gli uomini il dato drammatico del Paese. Non direi che la saggistica stia morendo. Giustamente i lettori vogliono ottima saggistica e ottimi reportage giornalistici, e hanno ragione. Noi lavoriamo costantemente per questo e i risultati non sono così sconfortanti, nonostante il fisiologico calo delle vendite indotto dalla crisi economica, civile e sociale del Paese.

Nella produzione di Infinito edizioni, un’attenzione privilegiata è dedicata ai Balcani, in particolare alla Bosnia. Prima di partire per un viaggio in quelle zone avevo letto, tra gli altri, Sarajevo mon amour di Jovan Divjak, ex militare serbo che ha dedicato la vita ad aiutare gli orfani di guerra. Si tratta di una lettura illuminante per capire la situazione del Paese. Puoi raccontarci da cosa è nato questo interesse?
La Bosnia Erzegovina è un Paese stupendo, abitato da persone speciali, distrutto da una guerra voluta da poteri nazionalisti e mafiosi con la connivenza europea e di altri Paesi extraeuropei. La Bosnia è stata un laboratorio dell’orrore tra i più spaventosi, a due passi da casa nostra, e continua a essere un luogo di dolore, d’incomprensione e di conflitto perché chi avrebbe potuto e dovuto farlo non ha voluto risolvere i problemi che hanno provocato il conflitto e anzi li ha lasciati solidificare, come nella pietra. Oggi il Paese è in mano a cosche nazionaliste tra le più agguerrite e cattive e deve essere raccontato. Se non altro perché la Bosnia è lo specchio del nostro Paese e dalla Bosnia potremmo imparare molto di noi, se lo volessimo, per essere se non migliori, almeno un po’ meno peggio di quanto siamo.

Proprio in questi giorni si sta ricordando il genocidio di Srebrenica, avvenuto vent’anni fa davanti agli occhi della comunità internazionale quasi inerme. Uno dei long-seller di Infinito edizioni è proprio il tuo Srebrenica. La giustizia negata, che stai presentando di nuovo in questi giorni. Vuoi raccontarci la genesi di questo importante libro?
Srebrenica. I giorni della vergogna è stato il primo libro pubblicato dalla nostra casa editrice. Avrei dovuto farlo uscire con un’altra casa editrice ma ne ritardai l’uscita perché avvertivo l’esigenza di mettermi in gioco completamente, diventando io stesso editore e pubblicandolo con Infinito. La scelta è stata giusta. A oggi ne abbiamo vendute oltre diecimila copie ed è considerato in termini assoluti un punto di riferimento sull’argomento. Il che è molto importante, perché nel corso degli anni in Italia è uscita la traduzione di un paio di libri negazionisti, offensivi e vergognosi che danno agli italiani informazioni del tutto fuorvianti, come peraltro si è affrettata a fare certa stampa anche in questo luglio del 2015, purtroppo. Il libro è uscito per il decennale del genocidio e ancora oggi rappresenta un punto di riferimento imprescindibile per chiunque si interessi a questo argomento.

Per il ventennale del genocidio ho proposto al mio amico Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, di scrivere un nuovo testo, diverso in tutto: contenuti, taglio, stile. È nato così Srebrenica. La giustizia negata, che sta andando molto bene e che dal 29 aprile stiamo presentando in tutta Italia, con date già fissate fino a dicembre. È un omaggio in più a un popolo che ha bisogno di essere sostenuto e di non essere dimenticato, è un lavoro che vuole continuare a fare memoria in modo corretto ed è anche un libro scaturito dal bisogno profondo di non rischiare di essere cittadini passivi, ma di voler essere a tutti i costi e sempre cittadini attivi e critici. Perché la strada, l’unica, per un futuro e un Paese migliori è questa, soprattutto in momenti difficili come quello che stiamo vivendo.

In occasione della fiera milanese dedicata all’editoria indipendente Book Pride ho conosciuto il tuo I bastardi di Sarajevo: ti sei cimentato in un’opera di narrativa “in presa diretta”, raccontando un affresco di Sarajevo grazie alle voci dei tanti personaggi che la vivono. In quali casi e in che modo, secondo te, può la narrativa offrire uno spaccato di un Paese che arriva talvolta più in profondo rispetto alla saggistica?
Noi da anni diamo spazio al romanzo storico che, se ben scritto, può dare al lettore due grandi valori: un’informazione storica corretta e approfondita e la possibilità di sognare.

Io credo molto nel mio I bastardi di Sarajevo e sogno un giorno di poterlo vedere trasposto in teatro. Ho avuto ottimi riscontri, non solo di vendite ma anche di critica. È stato un libro che mi è costato oltre tre anni di lavoro e che mi ha fatto mettere in gioco come non mai. Scrivendolo, poi, ho potuto sperimentare la libertà espressiva della narrativa, nel mio caso il noir storico contemporaneo, rispetto alla saggistica e al reportage. La narrativa sa darti molta più libertà, in particolare nel linguaggio. È quello che ho provato a fare io, a cominciare dallo stile che ho deciso di usare: presa diretta, nessun narratore, dialoghi senza alcuna censura. Ho in mente da tempo un altro romanzo, sempre ambientato in Bosnia, e magari tra qualche mese troverò il coraggio di cominciare a metterlo su carta. Per ora i personaggi vivono nella mia testa e i dialoghi, giorno dopo giorno, si fanno sempre più netti.

copertina+I+bastardi+di+Sarajevo

Fare narrativa in Italia è un rischio, soprattutto per gli esordienti. E comunque, che nessuno pensi di poter vivere facendo lo scrittore: scrivere oggi non deve essere un modo per fare soldi, ma una strada, forse la principale, per esprimersi, raccontarsi, fare positivamente politica attiva. La scrittura ha da sempre un ruolo sociale e politico. Bisogna battersi affinché tutto questo non venga distrutto, insieme all’intera filiera.

Nell’immagine di copertina: Potočari: 600 bare contententi le vittime del massacro Srebrenica, che attendono una sepoltura. Tarik Samarah/War Photo Limited. In mostra a Dubrovnik, Srebrenica – genocide 11/07/95

FUORI STRADA – Jenny Offill – Sembrava una felicità (NN editore)

FUORI STRADA – Rubrica di approfondimento della piccola e media editoria “extra-capitolina”

di Elena Refraschini

Sembrava_una_felicitàUna premessa: il romanzo di Jenny Offill Sembrava una felicità, prima uscita di NN editore, mi sta tenendo compagnia da diverse settimane. È un libro brevissimo che, se necessario, si potrebbe leggere in un paio d’ore; 150 pagine, e con moltissimi spazi vuoti.
Il problema – se così si può chiamarlo – è che questo romanzo, più di altri, conserva una parte di sé solo per le letture successive alla prima. Ed è così che mi sono ritrovata, all’incirca alla quarta rilettura, a scoprire piccole gemme disseminate qua e là nella frammentata narrazione di Offill. Non c’è romanzo migliore di quello che non si svela mai del tutto.

La storia è piuttosto semplice, quasi banale: una donna – mai chiamata per nome, come i pochi altri personaggi – vuole diventare un mostro di scrittura; giura che non si sposerà mai: «Per anni ho tenuto un post-it sopra la mia scrivania. “Pensa al lavoro non all’amore!”. Sembrava una felicità più consistente.».
Scrive un libro, ma poi si sposa, ha una figlia, nel frattempo insegna e ha difficoltà a conciliare le sue esigenze con le aspettative di chi la circonda, che sia avere un secondo figlio o scrivere il secondo libro, poi attraversa una crisi detonata dal tradimento del marito, ne esce. Una storia raccontata già migliaia di volte, in diversi luoghi e diverse epoche.

Ciò che rende speciale Sembrava una felicità è il modo in cui la storia è narrata: piccoli frammenti come quello riportato sopra reggono l’intera architettura del romanzo, che costringe il lettore a saltare di scena in scena alla ricerca di un senso che tenga legata tutta l’opera. «Se il solito libro è un corpo – ha affermato l’agente Sally Wofford-Girand vendendo i diritti del romanzo a Knopf nel 2013 – questo è una lastra a raggi X».

Questa scrittura, evidente anche a livello tipografico perché fatta da brevi paragrafi separati l’uno dall’altro da spazi bianchi, è il risultato di un possente lavoro di sottrazione (“passo molto tempo a studiare come dire il più possibile con il meno possibile”). L’autrice stessa – che non a caso insegna scrittura creativa alla Columbia – all’inizio aveva pensato a un romanzo incentrato su un secondo matrimonio, narrato dal punto di vista della figlia e della seconda moglie; la struttura, però, e la scrittura, erano ancora “tradizionali”.
Il punto di svolta è arrivato quando ha cominciato a scrivere appunti e abbozzi su piccole schede sparse: così ha pensato che si potesse scrivere una storia raccontando, in frammenti, le minuzie, i drammi, le conquiste della vita domestica, emotiva e professionale, lasciando al lettore il compito di ricomporre il puzzle. Una deliberata discontinuità, dunque, impreziosita da citazioni letterarie (Coleridge, Esiodo, Keats, Frost, Eliot), riferimenti alla cultura popolare (ninne nanne, Sweet Home Alabama) e parecchi riferimenti al mondo delle scienze e della filosofia, per arrivare a una sorta di nuovo “romanzo delle idee”. Una vicenda intima che diventa, di sottecchi, universale.

A dispetto del suo carattere sperimentale, il romanzo è limpido e a tratti persino divertente, come succede in questo passaggio in cui la coppia cerca di ritrovare un equilibrio dopo il tradimento di lui: «Di notte, stanno distesi a letto tenendosi per mano. A volte, mentre sono così, la moglie riesce a fare il dito medio al marito senza che lui se ne accorga.». Questa seconda citazione ci consente di osservare la gestione da parte dell’autrice del punto di vista.

Jenny Offill

Jenny Offill

All’inizio della relazione, quando la scrittrice incontra l’autore del programma radiofonico che manda in onda suoni, i pronomi sono quelli delle relazioni intime, “io”, “tu”: «Avevo imparato che non temevi il maltempo. Volevi sempre andare in giro per la città a registrare, con la pioggia, la nebbia o la neve. Mi ero comprata un cappotto più caldo. Con tante tasche comode in cui tu infilavi sempre le mani.».
Quando i due si sposano e assumono ruoli più convenzionali, si passa ai “io”, e “lui”, “mio marito”. «Mio marito le legge il libro ogni sera, compresa tutta la pagina del colophon molto, molto lentamente.».
Quando la coppia si sgretola e si perde la sicurezza dell’amore e delle convenzioni, il narratore osserva ciò che succede dall’alto, e gli attori diventano “la moglie”, “il marito”, “la figlia” (è curioso notare, tra l’altro, che la scena in cui la moglie incontra l’amante del marito è l’unica che non procede per frammenti, ma narrata come se fosse il compito di uno degli studenti del suo corso di scrittura): «Alla moglie viene consigliato un libro sull’adulterio. Fa tre isolati di metropolitana per andare a comprarlo. Il titolo è tremendo e la sola idea di leggerlo la fa sentire in imbarazzo. Così, lo nasconde in giro per la casa con lo stesso fervore con cui si nasconderebbe una pistola o un chilo di eroina. Nel libro, lui viene chiamato il partner traditore e lei il partner tradito.
Tra le tante altre cose, ce n’è una in particolare che la fa morire dal ridere. È una nota a piè di pagina su come le diverse culture cercano di ricucire il matrimonio dopo un tradimento. In America il partner traditore passa una media di 1000 ore a elaborare il fatto con il partner tradito. È il tempo necessario. Quando lo legge, si sente molto dispiaciuta per suo marito. Che è solo a «515 ore.».
Il narratore torna a un più intimo “noi” solo quando, lontana dall’ambiente urbano di New York, la coppia proverà a curarsi le ferite.

Sembrava una felicità è stato nominato da diversi quotidiani statunitensi tra i migliori libri del 2014 (tra questi, il «New York Times Book Review») ed è entrato nella shortlist per il Folio Prize quest’anno. Nonostante il suo carattere sperimentale, infatti, i diritti sono stati vinti da Knopf a seguito di un’asta a cui hanno partecipato altri sette editori: Jenny Offill ha ottenuto, secondo il «New York Times», un contratto per due libri dal valore di 500.000 dollari.

Coerentemente con la sua filosofia di voler portare in Italia opere rimaste “orfane”, NN editore presenta Sembrava una felicità in una veste editoriale molto elegante e curata, arricchita inoltre da diversi paratesti, sia cartacei sia online: da una parte, una interessante Nota del traduttore a cura di Francesca Novajra, che ci lascia intravedere il lavoro di precisione dietro a una traduzione riuscita; dall’altra, visitando la pagina dedicata al romanzo nel sito di NN editore, si trovano informazioni dal “dietro le quinte” della pubblicazione, insieme a qualche suggerimento sulla musica da ascoltare durante (o dopo) la lettura.
Uno storytelling, come va di moda dire ora, legato non solo al romanzo ma anche alla sua gestazione, che crediamo otterrà il favore di tanti lettori alla ricerca di approcci nuovi alla lettura.
Sembrava una felicità ha trovato una famiglia anche qui, e non possiamo che esserne felici.

Nota sull’autore
Jenny Offill, nata nel Massachussetts nel 1968, insegna alla Columbia. Il suo primo romanzo, Last Things (1999) è stato pubblicato da Farrar, Straus and Giroux ed è stato un New York Times Notable Book. È autrice anche di diversi libri per bambini. I diritti del suo secondo romanzo Sembrava una felicità sono stati venduti, oltre che in Italia, anche nel Regno Unito (Granta/Portobello), in Francia (Calmann Lévy), in Germania (DVA), in Olanda (De Geus), in Brasile (Novo Conceito) e in Turchia (Domingo). Vive a New York con il marito e la figlia Theodora.

Sembrava una felicità di Jenny Offill
Traduzione dall’inglese di Francesca Novajra
NN Editore, 2015
pp. 262, 16€.

FUORI STRADA – NN editore, la nuova realtà editoriale milanese

FUORI STRADA – Rubrica di approfondimento della piccola e media editoria “extra-capitolina”

di Elena Refraschini

Dalla settimana scorsa sono in libreria le prime due uscite di NN editore, nuova realtà editoriale milanese.
NN sta per nescio nomen, espressione che in passato serviva a identificare gli orfani. Nessun riferimento, però, a una società senza padri e senza valori: quella di NN è un’affermazione di libertà – libertà di percorrere nuove strade, di trovare nuovi punti di riferimento. Una volontà che si riscontra sia nella scelta degli autori da pubblicare, sia nella pratica editoriale.

In attesa di parlarvi dei loro libri, chiacchieriamo di quest’avventura con alcuni dei protagonisti: Eugenia Dubini, editore, e Alberto Ibba, amministratore.

Eugenia Dubini

Eugenia Dubini

In tempi di metamorfosi digitale per l’editoria, di self-publishing, di rivoluzione e crisi dell’intera filiera, perché avete sentito l’esigenza di fondare una nuova casa editrice?
La crisi cambia rapporti e relazioni, scioglie nodi e risacche, la crisi è un’opportunità. I momenti di crisi sono spesso momenti anche molto vitali, di energiche spinte al cambiamento, di innovazione e di slancio. Nella crisi si aprono opportunità. Entrare oggi sul mercato senza avere una pesante eredità e senza dover sostenere una struttura rigida, creando al contrario una struttura snella e flessibile, concede un altro sguardo e altri mezzi per fare il nostro ingresso nel panorama editoriale. Lo sguardo è disincantato, i mezzi non sono solo quelli economici, quindi, ma strategici e di posizionamento, e sono anche molto umani: il nostro non essere una grande macchina strutturata in sezioni e livelli e competenze che spesso non riescono nemmeno a comunicare tra loro o che vengono troppo rapidamente sostituiti, valorizza la professionalità di ognuno, permette di non sprecare risorse, e concede progetti e strategie di ampio respiro. Nella pratica, per noi significa valutare ogni cambiamento in atto nel panorama editoriale e renderlo un alleato in tutte le fasi dell’ideazione, creazione, promozione, diffusione e vendita dei libri. Ad esempio: cambia la fruizione, non più solo legata al cartaceo; si apre la sperimentazione di nuovi format e linguaggi; si accede a nuove comunità e reti di pubblico; si utilizzano strategie innovative nella comunicazione dei libri. E della lettura, più che dire che è drammaticamente in crisi, preferiamo indagare le nuove forme che sta prendendo.

Le vostre prime uscite saranno la Trilogia della pianura di Kent Haruf (il primo volume, Benedizione, è in libreria dal 19 marzo) e Sembrava una felicità di Jenny Offill. Cosa accomuna le opere che fanno parte del vostro catalogo e cosa possiamo aspettarci nel futuro?
Abbiamo chiamato la nostra casa editrice NN dal latino nomen nescio, che vuol dire nome sconosciuto. Nel passato era il marchio che veniva usato per indicare i figli senza padre, gli orfani, i figli di nessuno. Oggi lo siamo tutti, figli di nessuno, in un modo o nell’altro. E le opere che pubblicheremo avranno in comune una riflessione attorno al concetto di identità, SembravaUnaFelicitàindividuale e collettiva, nel contemporaneo. Questo per noi non significa una condanna, una lamentela, o l’ennesima declinazione del concetto di società senza padri, senza ideologie, senza valori. Bensì un attestato di libertà: la libertà di scegliere nuovi riferimenti, di percorrere strade diverse, di trovare nuove radici così come nuovi orizzonti. Così come di provare a portare ai lettori italiani autori qui da noi inspiegabilmente rimasti “orfani” di editore. È il caso dei nostri due primi autori, Kent Haruf e Jenny Offill, sconosciuti da noi e considerati capolavori negli Stati Uniti. L’identità è un tema letterario, da sempre. E noi pubblicheremo romanzi letterari, italiani e stranieri, e in seguito apriremo alla saggistica. La nostra speranza è riuscire a proporre delle serie di libri veri, che abbiano qualcosa da raccontare, che emozionino, che divertano, che facciano riflettere, che portino avanti idee, immaginari, e parole ben scritte. Come ha detto Gian Luca Favetto, che ha ideato con noi la collana ViceVersa: «Per recuperare le parole leali, anzi le parole e le ali, per volare con parole oneste che dicano le cose e i sentimenti senza truccarli, per nominare le cose e farle esistere». In due parole: abbiamo scelto un nome che potesse contenere e riflettere in una sigla tutte le nostre considerazioni sul fare editoria oggi, e una sede che potesse diventare nel tempo aperta e condivisa: una casa, oltre che una casa editrice.

Quanti libri intendere pubblicare all’anno?
Dai 12 libri ai 15/16 libri l’anno. Un numero limitato per seguirne con cura il percorso fino al lettore.

Qual è il vostro rapporto con le librerie? Vi affidate a un distributore o preferite andare di persona a promuovere i vostri libri?
NN è promossa e distribuita da Messaggerie. Fin dove possibile andremo direttamente a parlare con i librai, ed è nostra intenzione organizzare varie iniziative attorno ai libri insieme a loro, oltre alle più canoniche presentazioni con gli autori.

Qualche tempo fa in un’intervista avete espresso la volontà di staccarvi dal concetto di “collana” per proporre una suddivisione in “serie”, che punta al lettore-consumatore fedele di prodotti seriali televisivi: per questo è stata pensata la serie “ViceVersa”, che sarà curata da Gian Luca Favetto. Potete dirci qualcosa in più?
Tutti i nostri libri saranno organizzati in serie e non in collane. Le serie televisive ormai sono un prodotto culturale diffuso, capace di attirare consumatori di tutti i generi. Nelle serie televisive si stanno sperimentando scritture e formati innovativi e per questo sono interessanti per noi da osservare, come un bacino di sperimentazione di linguaggi. L’idea di proporre i nostri libri in serie e non in collane ci consente di anticipare al lettore le nostre scelte, di dichiararle e di proporre un percorso di lettura. I nostri libri indagheranno un tema specifico, avremo per ogni serie delle parole chiave che ne definiranno il soggetto, e non faremo divisioni di genere, come spesso si fa – una collana di gialli da una parte e una di romanzi letterari dall’altra – e neppure un divisione per provenienza degli autori. Immaginiamo un lettore curioso e affamato, capace di muoversi tra generi e scritture e media con disinvoltura, seguendo i propri interessi e le proprie domande. La serie ViceVersa è un progetto immaginato dalla casa editrice, con Gian Luca Favetto e gli autori che ne faranno parte. Abbiamo proposto un soggetto, e chiesto a ciascuno di scrivere un romanzo breve, non un saggio, che lo esplorasse secondo la propria sensibilità, stile e genere narrativo. Non esattamente una scrittura commissionata, dunque, più una collaborazione di intenti nel rispetto dell’autorialità di ciascuno dei partecipanti. Il tema della serie ViceVersa sono i vizi e le virtù, e come è cambiata, slittata, a volte capovolta, la loro identità nella società attuale, rispetto alle originarie classificazioni canoniche. I primi autori della serie sono Tommaso Pincio, Rosa Mogliasso, Antonella Cilento, Elisabetta Bucciarelli.

Alberto Ibba

Alberto Ibba

Lavorare oggi nell’editoria risulta sempre più difficoltoso e oneroso. Quello dell’editoria è il settore meno regolamentato e tutelato dal punto di vista di chi vorrebbe farne parte. La vostra casa editrice come è organizzata, quante persone vi lavorano?
Dal punto di vista della regolamentazione del lavoro, l’editoria non ha regole diverse dagli altri settori. Ci sono alcune agevolazioni legate allo sviluppo, all’imprenditoria femminile, all’innovazione, ma sono canali cui non è sempre facile accedere. In NN lavora il gruppo di start up del progetto, siamo in quattro, e collaboriamo con molte altre figure professionali: gli autori, l’ufficio stampa, i social media manager, i redattori, i traduttori, i lettori, i correttori di bozze, gli illustratori e i fotografi, i giornalisti e uno studio grafico. Sarebbe interessante porre queste domande a chi da sempre lavora nell’editoria da collaboratore esterno e free lance, perché le nuove regole del mercato del lavoro hanno reso molto difficile dare un inquadramento a queste forme di collaborazione, e soprattutto una continuità a questi apporti fondamentali per l’editoria. Noi puntiamo, e finora ci sembra di avere iniziato bene, a creare un gruppo di persone di riferimento personalmente molto motivate, riconoscendo a ciascuno il proprio lavoro. Per fare un piccolo esempio, che sappiamo essere una lotta di categoria da sempre: i traduttori sono sempre citati, gli diamo sempre uno spazio nei libri (una Nota del traduttore) per parlare al lettore del lavoro che personalmente hanno svolto nella traduzione del romanzo, e abbiamo deciso di inserire sempre la loro biografia insieme a quella dell’autore in bandella.

In che modo le vostre copertine veicolano l’identità di NN editore? Quali sono le idee che ispirano la grafica della casa editrice?
La grafica di NN è stata curata da Mario Piazza di 46xy. NN è diventato uno spazio vuoto da riempire, saranno le immagini e i testi a dare corpo a questo vuoto massiccio, che è la nostra ricerca e che cerchiamo di indagare con i nostri libri. Su ogni copertina, così, apparirà questa grande N che verrà occupata dall’immagine, e riempita del senso e del contenuto del libro. Ogni serie avrà una sua identità grafica, e tra un libro e l’altro della stessa serie si creeranno dei legami visivi.

Di che cosa hanno bisogno gli editori in Italia (per esempio nuove leggi sull’editoria, finanziamenti, iniziative di promozione del libro, eccetera)?
Più che gli editori è l’Italia che ha bisogno di una politica che rimetta al centro la cultura. Per farlo però non bisogna calare dall’alto progetti di facciata (molto spesso dispendiosi  e autoreferenziali)  ma lavorare sul territorio, incentivare l’apertura di nuovi spazi culturali, coinvolgere scuole e biblioteche, introdurre il libro nei format televisivi.

HarufBenedizioneMilano, da capitale mondiale del cibo a capitale italiana del libro. Da marzo a ottobre 2015 Milano sarà infatti la prima Città del Libro e della Lettura italiana. Iniziative di questo genere servono veramente a promuovere la lettura?
Sì, serve tutto quello che porti il libro più vicino al lettore, che informi e che veicoli le parole leali.

Non ci resta che ringraziare Eugenia Dubini e Alberto Ibba per la loro disponibilità. Un grande in bocca al lupo a tutto lo staff di NN da parte di Via dei Serpenti!

Sembrava una felicità di Jenny Offill e Benedizione di Kent Haruf sono in libreria dal 19 marzo. Prossimamente in arrivo Le prime quindici vite di Harry August di Claire North  e Una spiaggia troppo bianca di Stefania Divertito.

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