Recensione di Caterina Di Paolo
L’inconfondibile tristezza della torta al limone è un romanzo di formazione vorticoso e amaro come riccioli di cioccolato fondente: parla della vita che si nasconde dietro ai sapori, e mostra un nuovo significato dell’espressione “avere stomaco” .
Rose Edelstein è una bambina di quasi nove anni. Per il suo compleanno la madre decide di prepararle una torta. Rose sa vagamente che qualche giorno prima i genitori hanno litigato e che la madre ultimamente fa le cose più disparate – cucinare dolci, costruire porte, cucire vecchi merletti e coltivare piante di fragole – perché «le mie mani non hanno avuto lezioni di niente». Rose, prima di assaggiare la torta preparata da questa mamma iperattiva e molto affettuosa, vedeva i dispiaceri e le cose inquietanti «come il sole che veloce se ne va dietro a una nuvola ma ricompare a splendere solo dopo qualche secondo». Sarà proprio quella torta al limone, all’apparenza così calibrata e piena d’amore, a rivelare un sapore vuoto che Rose non saprà spiegarsi. Un sapore vuoto: lo stesso del pollo cucinato dalla madre quella sera a cena.
Il giorno dopo Rose trascorrerà la pausa pranzo attaccata alla fontanella dell’acqua per sciacquare il gusto del sandwich al burro di noccioline, e il resto della sua vita a scoprire sapori molto diversi dall’amaro e dal dolce: biscotti arrabbiati, mozzarelle stanche, pizze combattute. Una sorta di empatia infallibile tra il cibo e lo stato d’animo di chi lo ha preparato che la bambina cercherà a volte di ignorare mangiando prodotti industriali – asettici e anonimi – oppure di esplorare, scoprendo realtà sempre più complesse sulle persone che la circondano. I pasti in famiglia le riveleranno la necessità di attenzione della madre, la distrazione abitudinaria del padre, il mutismo ostinato del fratello. Il bar all’angolo che promette biscotti fatti in casa, la compagna di classe con un sandwich in più a merenda, il ristorante francese dove andare con gli amici sono opportunità – o condanne – per assaggiare la vita degli altri. Vediamo Rose crescere e tollerare in modi sempre diversi la sua particolare dote, soltanto una cosa non riuscirà proprio a fare: prepararsi da mangiare.
La storia di Rose è struggente, agrodolce e familiare per chiunque si sia sentito diverso senza capire il perché. Rose ha stomaco perché vive ciò che ha senza clamori o esaltazioni: non si sente un’eletta, sebbene la sua peculiarità possa apparire agli occhi altrui un dono. Del resto è difficile per lei parlare di questa stravagante capacità di interpretare i sapori senza risultare eccentrica: qualcosa che non può essere compreso dagli altri è da considerarsi una virtù? Qualcosa che non abbiamo scelto e che viviamo come un’imposizione del fato può essere considerato una virtù? Allo stesso tempo, esistono virtù che decidiamo coscientemente di avere? Esistono virtù che non siano innovative, peculiari, diverse, e per questo incomprensibili? A quanto siamo disposti a rinunciare per ottenere il consenso degli altri? Ogni genio è solo?
Le straordinarie papille gustative di Rose la costringono a crescere molto più velocemente, le impongono la ricerca di cibo che abbia il sapore di cibo, cucinato da persone soddisfatte dall’atto di cucinare, ovvero persone che vivono il presente senza rivolgersi a preoccupazioni future o ricordi passati. La bocca di Rose le mostra l’umile realtà dei fatti, che la felicità è un concetto semplice ma impossibile, o quasi, da realizzare. È difficile reputare vantaggiosa e fortunata una scoperta così onerosa e sconvolgente, soprattutto quando si ha nove anni.
Uno dei pochi libri che Franz Kafka ha voluto pubblicare in vita, l’opera a cui ha dedicato l’ultimo anno della sua esistenza, s’intitola Un artista del digiuno: quattro racconti i cui protagonisti sono un trapezista che non riesce a stare sulla terra senza sentirsi male, una donnina sempre arrabbiata, un uomo che diventa un fenomeno da baraccone per la sua capacità di non mangiare e una ragazza che canta sempre. Tutti ci suggeriscono che l’arte di cui disponiamo può non essere canonica, e anche se lo fosse, ognuno vive la sua arte – la sua fiamma – come una mania, qualcosa che consuma, non una fortuna ma piuttosto un destino, che in parte è anche una croce.
Poco prima di morire d’inedia, l’artista del digiuno sussurra al suo guardiano: «Io devo digiunare, non posso fare altrimenti. […] non riuscivo a trovare cibo che mi piacesse. Se lo avessi trovato, credimi, non avrei fatto storie e mi sarei rimpinzato come te e come tutti gli altri».
Rose potrebbe essere il quinto personaggio del libro di Kafka. È la voce della diversità che rivela realtà oscure e dolorose, cariche di opposti brucianti e decorsi inaspettati e incoerenti, ovvero della vita per quello che è veramente. È la rivendicazione dell’umanità dimenticata in ogni atto che compiamo e della solitudine che imponiamo a noi stessi e agli altri. Rose ci ricorda che se siamo diversi o soli non ci sarà consolazione ma solo consapevolezza. Ci impone di crescere con lei e di capire che le storie non hanno morale, che ognuno nasconde un abisso, che vivere richiede innanzitutto coraggio. Anche solo per masticare un boccone.
« […]
Cosa c’è? Rose? È la crostata?
Tu stai così male, dissi alla piastrella del pavimento.
Cosa vuoi dire?, domandò, toccandomi la spalla. Parli con il pavimento? Ti riferisci ancora a me, Rose?
Sei così triste qua dentro, risposi, e sola, e affamata, e triste…
Dentro dove?, chiese.
Nella torta, dissi.
Nella torta?, ribatté, trasalendo. Cosa vuoi dire, piccolina?
Non piccolina, dissi. Non più piccolina.
[…] »
Nota sull’autrice
Aimee Bender, nata nel 1969 negli Stati Uniti, vive a Los Angeles dove insegna scrittura creativa. Collabora con prestigiose riviste come Granta e Paris Review con le sue short stories. La sua prima raccolta di racconti The girl in the flammable skirt (1998), best-seller negli Stati Uniti, è stata pubblicata in Italia da Einaudi nel 2002 con il titolo Grida il mio nome nel 2002. Altri titoli pubblicati in Italia sono Un segno invisibile e mio (2001), Creature ostinate (2006) oltre al racconto Il protagonista inserito nell’antologia Burned children of America (2001), tutti per i tipi di minimum fax. Tra gli scrittori che influenzano il suo stile ha nominato Oscar Wilde, Hans Christian Andersen, i fratelli Grimm e Anne Sexton.
Aimee Bender, L’inconfondibile tristezza della torta al limone
traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan
minimum fax, 2011
pp.332, € 16, 50
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