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I racconti WATT 0,5: Intervista a Laura Toffanello e Misstendo

Intervista a Laura Toffanello

Che cosa significa per un autore costruire una storia partendo da immagini? Le era capitato prima d’ora? È stata un’esperienza stimolante o penalizzante per la sua creatività?
Nel processo creativo il limite è una risorsa. È il nemico contro il quale si combatte strenuamente e, qualche volta, si vince. Nella pittura ci pensa la cornice a separare l’opera dalla realtà. Lo stesso accade per la narrazione. Alla base c’è una limitazione da superare. Per questo gli atti creativi sono apparentati con le evasioni, e più il carcere è di massima sicurezza, più l’evasione è spettacolare.

Tutte le mie storie partono da immagini. Di solito me le ritrovo la mattina incastrate nel cervello, come i postumi di una bevuta. Arrivano dal mondo dei sogni, dall’aldilà, dall’inconscio, o da chissà dove. La vera differenza, la fa il dopo. Viene in fase di montaggio. Lì, sulla base analogica, si innesta il processo logico e teleologico che dà forma al materiale extraletterario. Selezione, regole, vie di fuga, e così sia fino alla fine della storia.
Lavorare sulle immagini di Misstendo è stato stimolante. Da un lato, per quanto riguarda la scelta dei motivi narrativi, mi ha liberato dalle mie ossessioni, da me stessa. Dall’altro mi ha permesso di concentrarmi sul processo di produzione di senso. Diverso sarebbe stato se la sequenza delle immagini fosse stata prefissata. In quel caso si sarebbe trattato di un lavoro puramente meccanico. Invece, senza un ordine predefinito, restava aperta un’ampia serie di possibili narrativi.

Ha avuto modo di confrontarsi con l’illustratore, prima o durante la scrittura?
Mai.

Per quale motivo ritiene sia così efficace ricorrere all’immagine della casa sperduta nella campagna dentro la quale avvengono cose più o meno raccapriccianti (Ammaniti come caposcuola) per raccontare la perdita dell’innocenza?
La simbologia della casa è molto complessa e stratificata. Nella fiaba, è uno degli elementi tematici che vengono fatti riferire a miti e cicli di iniziazione che celebravano la morte dell’infanzia e il passaggio all’età adulta. Per Jung è la metafora dell’io. Immersa nella natura, nel bosco o nella campagna, la casa si trasforma in casa stregata, un utero materno maligno, pronto a uccidere. O a generare mostri.

Quale sarà il suo prossimo appuntamento con la scrittura?
Ad agosto partirò per un paese sperduto nei dintorni della laguna veneta, dove è ambientato il romanzo che sto scrivendo con Mario Pistacchio, per vedere il delta del Po, le dune di sabbia, i casoni dei pescatori tra i canneti. L’uscita del romanzo è prevista per il 2014. Sarà un lungo viaggio.

Intervista a Misstendo

Dove e come nascono le sue illustrazioni? È più facile o difficile commentare con le immagini un testo già scritto?
Le mie immagini per Watt nascono prima del testo scritto da Laura Toffanello. Ho lavorato seguendo un’ indicazione tematica, un’emozione, la paura. Il bello di questo procedimento è la libertà di interpretare questa sensazione in maniera personale, senza appigli esterni. La parte difficile, oltre a  cercare di dare materiale sufficiente al narratore, era tenere presente che il mio lavoro sarebbe stato poi reinterpretato in maniera altrettanto libera. Sono stata più che ripagata da questo processo inverso: il racconto di Laura mi ha stupito positivamente, il risultato non è assolutamente didascalico. Anzi, puoi fruire in tre modi diversi il nostro lavoro: ciò che abbiamo fatto come singole, narrazione per immagini e testo. E quello, più interessante, creato dalla “casualità” dell’accostamento.

Ha avuto modo di confrontarsi con lo scrittore?
No, non durante la lavorazione. Forse sarebbe stato controproducente per entrambe lavorare insieme, senza conoscersi magari tramite mail. Perché influenzare il lavoro? A volte tenere tutto sotto controllo ti preclude l’imprevisto piacevole. I “piloti” di Watt (Leonardo e Maurizio) hanno fatto da collante. Conoscendo bene il lavoro di entrambe avevano un’idea più chiara sulla scommessa che proponevano e di ciò che poteva essere il risultato dell’appuntamento al buio. Ribadisco, esperimento più che riuscito. Non avrei saputo dare indicazioni migliori.

Quale sarà il suo prossimo appuntamento con l’illustrazione?
Per ora ho una relazione con un fumetto lungo. Con l’illustrazione, un appuntamento a due, un altro esperimento di collaborazione ma con un’altra disegnatrice. Se ne sta discutendo proprio ora ma inizieremo a lavorarci seriamente a settembre, a fumetto concluso.

Qui la recensione di Cinque cose da fare per diventare un vampiro

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I racconti WATT 0,5: Cinque cose da fare per diventare un vampiro – Laura Toffanello

Cinque cose da fare per diventare un vampiro
Racconto di Laura Toffanello
Scritto su illustrazioni di Misstendo

Recensione di Rossella Gaudenzi

Alcune situazioni scabrose abbiamo l’idea di averle già sentite raccontare, viste o lette da qualche parte. Quelle che ci offre la campagna notoriamente bella, un volto oscuro e crudele in quanto custode di segreti raccapriccianti, fanno parte del repertorio – così Bernardo Bertolucci in Novecento e Niccolò Ammaniti in Io non ho paura.
In questo breve racconto di Laura Toffanello Dani è una bambina di dieci anni che ama girare per la campagna a bordo della sua Graziella, nei pressi di un modesto paese dal nome Case Bruciate, dai cui vicoli si affacciano le tradizionali figure del droghiere, del medico e la cricca di uomini di mezza età seduti al bar della piazza. Dani rifugge la gente, è introversa e schiva, fino a quando un richiamo la distrae dal suo vagabondaggio e la trascina in un casolare, uno dei tanti che costeggia in bici quotidianamente. Dal buio delle stanze della cascina emerge una bambina nuda, magra e diafana con le labbra impiastricciate di rossetto rosso. Stella. Per contrasto con l’oscurità di quel luogo, la bambina si chiama Stella. Presenze maschili a Dani ben note sembrano frequentare la casa e una donna scheletrica, che la bambina intravede inerte su un letto e con le braccia segnate, sembra essere l’aguzzina di Stella.
Le ragazzine riescono a comunicare con la vitalità della fanciullezza ma in un linguaggio che inizia a distorcersi, per diventare linguaggio della seduzione. È Stella che, come in un gioco, dà a Dani istruzioni sul come spogliarsi, mettere il rossetto, atteggiarsi. Così la vogliono – così dice – .Una bambina che con naturalezza camuffa l’orrore in gioco. Quali e quanti erano gli insegnamenti di Stella? Dani li ripassa mentalmente; forse è un tentativo per credere di scherzare, di fare la donna, quel tipo di donna che imita Stella. Stella che vive nelle tenebre come un vampiro, che come un vampiro ha le labbra intrise di rosso. Stella che, c’è da sperare, ancora non sa che i vampiri sono morti viventi.

Laura Toffanello è nata e vive a Torino. Si è laureata in Storia e critica del cinema. Finalista premio Solinas Storie per il cinema 2010, ha studiato con Guillermo Arriaga, Jean-Claude Carrière, Elizabeth Strout, Naomi Kawase.

Misstendo è nata a Rimini nel 1982 come Francesca Popolizio. È  appassionata di segni, graffi e macchie che raccontano storie. Negli anni ha sporcato tanti fogli, alcuni pubblicati su cataloghi e riviste. Ha collaborato con altri disegnatori.  Ora vive a Bologgna e stalavoranbdo al suo primo libro. Qui il suo portfolio: http://misstendo.tumblr.com/

Qui le interviste.
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I racconti WATT 0,5: Intervista a Ivan Polidoro

Intervista a Ivan Polidoro

Che cosa significa per un autore costruire una storia partendo da immagini? Le era capitato prima d’ora? È stata un’esperienza stimolante o penalizzante per la sua creatività?
Misurarsi con delle immagini particolari come quelle di Diego Knore non è stato facile. Dovevo inventarmi una storia su quelle immagini e, per quanto non volessi lasciarmi influenzare, da qualsiasi parte andassi, me le ritrovavo. Quelle due teste tornavano a galla, e ognuna con le sue caratteristiche. Così il corpo tatuato, il maiale appeso, i pugnali, la donna con la busta in testa, insomma non potevo certo raccontare una storia familiare, con dei bambini che giocano felici sul prato mentre i genitori discutono amabilmente con gli amici davanti al barbecue. Poi, un giorno, è nato Tonino e da lì tutto è stato più semplice. Avevo il protagonista, anzi due. Che mi guardavano.

Non mi era mai capitato, no. Spero che la prossima sia il mare, una barca e una donna bellissima. Magari Tonino esce all’improvviso dalla cabina. Chi lo sa.
Stimolante, senza alcun dubbio. Costruisci una storia con ingredienti che non hai scelto personalmente. E se ti capita un tizio bicefalo con gli occhi spiritati, un mattatoio sanguinolento e una signora con busta, che si guarda allo specchio, puoi considerarti fortunato. La prima domanda che ti fai è: “Che vuole dire? Perché ha disegnato questo?”. Poi lasci che la tua fantasia faccia il resto.

Ha avuto modo di confrontarsi con l’illustratore, prima o durante la scrittura?
No e non ne ho sentito il bisogno. Ho preferito così. Magari Diego Knore ha tutta un’altra storia in mente. Meglio così.

L’essere miez’ e miez’ di Tonino ha un senso profondo che possiamo solo immaginare. Ce ne vorrebbe svelare la sua interpretazione?
Tonino è un bipolare, tutto quello che dice è per metà vero e per metà no. Fondamentalmente è solo, della moglie ci sarebbero i resti (ma non si sa). I tatuaggi stessi forse non sono quelli che lui avrebbe voluto, perché chi glieli fa non si attiene alle sue indicazioni. Tonino è un disegno che gli è stato cucito addosso, come la sua storia. Che poi sia la sua memoria o puro vezzo, non lo sappiamo, non ci interessa. Rimane il fatto che quel suo corpo, tozzo, è una carta, a disposizione di chiunque voglia tirargli fuori un’anima. Io sono partito da lì, da un cuore tatuato e delle lacrime nere.

Quale sarà il suo prossimo appuntamento con la scrittura?
Un quadro familiare allegramente disastroso. Una sorta di base airport  (senza alcuna password) dove ogni tanto qualcuno si collega. Ma, ripeto: ogni tanto.

Qui la recensione di Tonino miez’ e miez’.

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I racconti WATT 0,5: Tonino miez’ e miez’ – Ivan Polidoro

Tonino miez’ e miez’
Racconto di Ivan Polidoro

Scritto su illustrazioni di Diego Knore

Recensione di Luisa Badolato

Tonino è mezzo indovino, mezzo matto, mitomane, assassino per finta. Uno sventurato si affida a lui per risolvere i suoi problemi sentimentali, ma viene spiazzato da un crescendo di paradossali mostruosità fino al rovesciamento tragicomico in cui il medico si fa malato e il malato spettatore incredulo del dramma di un mezzo uomo: «Ma chi chiagne?» «Tu. Tu piangi. Piangi sempre. Non devi.» «Non devo. Songo ‘o lione?» «Sì, sei un leone, ma devi prendere le pasticche.»
Rapido e arguto come uno scherzetto, questo racconto ha un retrogusto amaro senza fiele, lascia scottati fra pietà e stupore per una vita viziata da antieroici alti e bassi e dalla presunzione di una grandezza fasulla.

Ivan Polidoro è nato a Napoli nel 1964. Attore, regista e scrittore per il teatro e il cinema. Come scrittore ha pubblicato nel 2011 Le coincidenze per 66thand2nd.

Diego Knore è nato a Bassano del Grappa nel 1981. Il suo lavoro artistico si esprime attraverso pittura, illustrazione e serigrafia. Attualmente è direttore artistico di Infart Collective. Collabora con Delirio House.

Qui l’intervista a Ivan Polidoro.
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I racconti WATT 0,5: le interviste a Ester Armanino e Umberto Mischi

Intervista a Ester Armanino

Mentre scriveva il racconto ha pensato anche alle immagini che lo avrebbero potuto meglio rappresentare? Coincidono o si avvicinano a quelle effettivamente create dall’illustratore?
Le illustrazioni di Umberto Mischi sono molto in sintonia con il racconto. Trovo significativo lo sfondo a tesserine sul quale ha impostato le tavole, sembra ceramica andata in pezzi che rimanda a una realtà piena di incrinature. Di solito anche la mia scrittura parte da immagini frammentate per poi operare una ricomposizione e trovare un senso narrativo. Mi vengono in mente le parole di Cohen, «c’è una crepa in ogni cosa, è da lì che entra la luce», insieme all’ombra del coniglio di Capataz, che Mischi ha proiettato sulla vecchia cascina sorretta dall’albero, i tre veri protagonisti.

 «Crescere vuol dire abbandonare» e «crescere è imparare a vedere» sono due frasi molto citate del suo romanzo d’esordio Storia naturale di una famiglia. Le sembra che in questo racconto la loro contrapposizione in quanto dette rispettivamente da una madre e da una figlia si abolisca per dare vita a una visione che è una sintesi delle due? Imparare a vedere per abbandonare quando è vitale farlo?
Sì, forse è così. L’accetta che chiude il racconto rappresenta una scelta difficile ma vitale: vedere come stanno realmente le cose e abbandonare qualcosa che occupa molto spazio in noi e che ci ostiniamo a tenere insieme con alibi banali. Provocare un cambiamento per fare spazio a ciò che di nuovo potrà arrivare. Questo vale per i sentimenti ma anche per la vita in generale. Certe persone adorano gli stagni e il vicino di casa invecchiato nella propria arroganza è una di queste: nel suo piccolo stagno resiste e continua a bruciare l’ossigeno dell’universo. In Storia naturale di una famiglia questo cambiamento è visto come una muta, il cambio della pelle che fanno molti animali. Un involucro che non ci rappresenta più ma che può ancora nutrirci, se solo abbiamo la determinazione di sfilarlo via.

Quale sarà il suo prossimo appuntamento con la scrittura?
In questi giorni ho finito di scrivere (e illustrare!) un breve racconto che uscirà a settembre ed è la mia rivisitazione di un classico americano per ragazzi. Nel mentre continuo a lavorare al secondo romanzo, sbirciando tra le crepe di una storia dove la luce passa attraverso piccoli spiragli ed è, per questo, importantissima.

Intervista a Umberto Mischi

Non tutte le storie si prestano allo stesso modo a essere illustrate. Quale coefficiente di difficoltà darebbe al racconto sul quale ha lavorato? Che rapporto ha avuto col testo e cosa ha voluto restituirne con le immagini?
Il racconto Capataz di Ester Armanino mi ha colpito da subito. È piuttosto distante dai testi che illustro abitualmente e all’inizio non è mi stato facile trasporlo in immagini. Rileggendolo più volte, ho estrapolato diversi elementi che ho successivamente elaborato e ho pensato sarebbe stato interessante fare un uso importante del nero. Il secondo colore (il blu) funge da sipario: apre e chiude la serie di immagini.

Ha avuto modo di confrontarsi con lo scrittore?
Non mi sono confrontato con Ester Armanino.

Quale sarà il suo prossimo appuntamento con l’illustrazione?
Sto lavorando alle illustrazioni di Mr. Munchausen – Un resoconto delle sue più recenti avventure di John Kendrick Bangs per Biancoenero Edizioni di Roma.

Qui la recensione.

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I racconti WATT 0,5: Capataz – Ester Armanino

Capataz
Un racconto di Ester Armanino
Illustrato da Umberto Mischi

Recensione di Sabina Terziani

La vita, la morte. Dare la morte, curare la vita. C’è una vecchia cascina ormai ridotta a uno scheletro da restaurare che la voce narrante va a trovare insieme al muratore che la riporterà in vita. Strada facendo parlano di morte, di come si ammazzano le bestie, conigli e maiali, senza particolari emozioni, come se fosse la cosa più normale del mondo, e in fondo lo è.
È normale giocare a rincorrere un pollo decapitato? Chi può giudicare, in fondo si tratta di un ricordo d’infanzia, un momento di gioco con altri bambini. Per far rinascere la cascina sarà necessario demolire quel poco che è rimasto e portare via i detriti. «Come faranno con lei? Saranno rapidi e indolore oppure lenti e maldestri? Un colpo secco con la mano, un pistoncino nel cervello?».
Il capataz è la persona che si sobbarca il compito di finire un animale agonizzante che l’imperizia di altri ha lasciato a metà tra la vita e la morte.
Quando aveva sei anni, ricorda la narrante, il vicino le mostrò come si ammazza un coniglio. L’uomo, però, non era riuscito a colpire l’animale nel punto giusto e il povero coniglio «era rimasto come stordito, saltellava tutto storto e scomposto nel cortile. Il vicino aveva sollevato il manico della scopa e sbagliato mira un’altra volta. Il coniglio era sdraiato su un fianco con il sangue che gli usciva dal naso e gli occhi girati all’indietro, il cuore in fibrillazione lo scuoteva come un giocattolo a corda». Allora la bambina si era fatta capataz di quella vita per finirla con un atto tanto violento quanto misericordioso. E oggi che quel vicino ha novant’anni e vegeta su un terrazzo tra funghi messi a seccare e cactus, cosa fare se non recidere la corda che tiene in piedi la cascina pericolante per regalare a quella vita sul punto di spegnersi un raggio di sole che soltanto il crollo del rudere può lasciare passare. Ancora una volta si impone una scelta, vita e morte, un sacrificio che crea un equilibrio precario come tutto ciò che è umano.

Ester Armanino è nata a Genova nel 1982, dove vive e lavora come architetto. Nel 2011 ha pubblicato con Einaudi il suo primo romanzo Storia naturale di una famiglia.

Umberto Mischi è nato a Sabbioneta (Mantova) nel 1987. Ha frequentato l’Isia di Urbino e i corsi di illustrazione e type design all’école Estienne di Parigi. Ha collaborato con Corraini, Contrasto Books, The New York Times Book Review e The New Yorker. Dal 2010 è art director di bianconero edizioni. Questo il suo sito: www.umbertomischi.com.

Qui le interviste

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