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I racconti WATT 0,5: Intervista a Edgardo Franzosini e Nicolò Pellizzon

Intervista a Edgardo Franzosini

Mentre scriveva il racconto ha pensato anche alle immagini che lo avrebbero potuto meglio rappresentare? Coincidono o si avvicinano a quelle effettivamente create dall’illustratore?
Era la prima volta che ciò che scrivevo sarebbe stato poi accostato al lavoro di un illustratore, accompagnato ad immagini suggerite anche dalle mie parole. Ero curioso e impaziente di verificare il risultato. Quando ho visto le illustrazioni di Pellizzon ho pensato subito che erano quanto di meglio mi sarei potuto augurare per il mio racconto. Un tratto forte, intenso, espressivo, una grande ricchezza inventiva, un’estrosa attenzione al particolare. Davvero un bell’esito, mi pare.

Grande trampoliere smarrito è la biografia del poeta e pugile realmente esistito Arthur Cravan. Lei ha scritto tre libri che sono tre biografie. Cosa la spinge a narrare vite di persone realmente esistite? Quando si narra di eventi reali quanto spazio c’è per la finzione?
In realtà le mie sono biografie un po’ particolari. Un po’ divaganti, tanto per cominciare. Nel Mangiatore di carta ad esempio raccontavo la storia Johann Ernst Biren, sovrano di Curlandia, ma ogni occasione era buona per parlare di Balzac. Le digressioni, più o meno accidentali,  nei miei libri sono sempre tante. Il tentativo, potrei dire, è quello di arrivare al fondo di qualche verità inaspettata attraverso alcune, apparentemente eccentriche, divagazioni. Cerco anche di non preoccuparmi troppo della “verità storica”, quando per seguirla dovrei sacrificare la coerenza del racconto. Coltivo anzi un certo gusto per la mistificazione. Accumulo circostanze vere che possono sembrare apocrife e dettagli falsi che appaiono perfettamente credibili. Tanto per rimanere al Grande trampoliere smarrito la partita a scacchi tra Arthur Cravan e Marcel Duchamp è verosimile anche se non esiste uno straccio di testimonianza o documento che la comprovi. Del resto secondo Kipling una storia raccontata è una storia vera «finché dura il racconto». Elias Canetti poi è andato ancora più in là, a suo parere «una storia ben inventata è comunque una storia non una bugia».

Quale sarà il suo prossimo appuntamento con la scrittura?
Il prossimo anno uscirà per Adelphi  il mio nuovo libro. Una vicenda di letteratura e di inquisizione accaduta a Milano nel Seicento. Un libro diverso da tutti gli altri che ho scritto, dal momento che l’adesione alla suddetta “verità storica” è stata questa volta da parte mia totale, e che ho anche ragionevolmente contenuto l’estensione e il numero delle divagazioni. Ho altri progetti in testa, per alcuni dei quali ho già qualcosa di scritto. Credo anche che dedicherò ancora del tempo a una storia che mi trascino ormai da parecchi anni (sono arrivato alla quinta o sesta riscrittura, non ricordo bene) ma della quale voglio, prima o poi, venire a capo.

Intervista a Nicolò Pellizzon

Non tutte le storie si prestano allo stesso modo a essere illustrate. Quale coefficiente di difficoltà darebbe al racconto sul quale ha lavorato? Che rapporto ha avuto col testo e cosa ha voluto restituirne con le immagini?
Non penso che i racconti siano catalogabili e nemmeno l’illustrazione dovrebbe esserlo. Quindi non può esserci un coefficiente di difficoltà, perché sarebbe come sostenere che il processo è meccanico, con un solo scopo, un solo risultato e un’idea di perfezione. E per me non è così. In ogni caso le difficoltà si incontrano sempre. È stato complesso “sentire” il racconto all’inizio, perché è molto concentrato e il lettore viene stordito da un susseguirsi di eventi esemplari. Sembra raccontato un istante prima dell’orizzonte degli eventi, quando manca poco perché tutto venga inghiottito, ma mantenendosi più cronistico che emotivo. Questo mi ha influenzato in generale, quindi ho preferito immagini e pose più vicine alla fotografia e al cinema dei primi del ‘900, basando tutto sui personaggi e la relazione che hanno avuto con il protagonista, ma senza farli interagire direttamente con lui.

Ha avuto modo di confrontarsi con lo scrittore?
Sì. Edgardo Franzosini è una persona molto piacevole e ci siamo trovati inaspettatamente affini. Era molto contento delle illustrazioni. E io ero molto contento che lui fosse contento. Penso che tutti e due siamo quel tipo di persona che cercano i segni. Io almeno, ho avuto questa impressione.

Quale sarà il suo prossimo appuntamento con l’illustrazione?
A fine estate dovrebbe uscire in Canada un art book su H. P. Lovecraft curato dall’illustratore Trevor Henderson a cui parteciperò anche io. Si chiama Puffed Shoggots. E poi a Lucca Comics uscirà il mio primo libro,  Lezioni di Anatomia. Metà a fumetti e metà illustrato.

Qui la recensione di Grande trampoliere smarrito.

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I racconti WATT 0,5: Grande trampoliere smarrito – Edgardo Franzosini

Grande trampoliere smarrito
Racconto di Edgardo Franzosini
Illustrato da Nicolò Pellizzon

Recensione di Chiara Rea

La finzione è un derivato della realtà, una sua distorsione, un’iper o iporealtà, una sua esagerazione o una sua latenza, in ogni caso non è scindibile da essa, non può esistere senza la realtà. Della realtà la finzione a volte segue le regole, ma accade anche il contrario: quante volte sentiamo dire che “la sua vita è come un film” o “gli è successa una cosa che nemmeno in un romanzo…”. Ma qual è il confine oltre il quale la realtà si tramuta in finzione (o semplicemente ne assume le sembianze)? Questa domanda potrebbe essere una delle chiavi di lettura della narrazione di Edgardo Franzosini Grande trampoliere smarrito, il racconto di una vita vera che sembra più finta della finzione.
Il grande trampoliere smarrito del titolo è Arthur Cravan, pseudonimo di Fabian Avenarius Lloyd, poeta e pugile inglese, nipote acquisito di Oscar Wilde, personaggio dalla vita tanto rocambolesca quanto inverosimile che Franzosini racconta con stile elegante e, apparentemente, distaccato. Cravan visse tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, viaggiò per tutta Europa, conobbe artisti e poeti (da Breton a Apollinaire, da Delaunay a Duchamp), fuggì dalla Francia dopo l’inizio della Prima Guerra Mondiale per evitare di essere arruolato, sfidò a un incontro di boxe il campione mondiale Jack Johnson per guadagnare i soldi necessari a espatriare in America. Arrivato a New York, incontrò la poetessa Mina Loy che sposò e con la quale si trasferì in Messico. Nel novembre del 1918, Cravan lasciò il Messico e scomparve. Sulla sua fine abbondano ipotesi e leggende.
Personaggio dai mille volti e dall’identità sempre sfumata, costantemente al limite tra verità e leggenda, Cravan si presta benissimo a rappresentare il labile confine tra realtà e finzione: a leggere le pagine di Franzosini senza conoscere l’esistenza del poeta pugile, si potrebbe pensare che si tratti di una di quelle virtuosistiche biografie di illustri personaggi inesistenti di cui sono stati maestri Borges o Bolaño (espressamente citato in questo racconto); sapendo della reale esistenza di Cravan, però, ci accorgiamo che la prospettiva della biografia qui è speculare rispetto a quella dei due sudamericani: non verosimile biografia di personaggio inesistente, ma inverosimile biografia di personaggio esistente.

Edgardo Franzosini è nato a Rovagnate nel 1952. Scrittore e traduttore ha esordito nel 1989 con Il mangiatore di carta (Sugar:Co). Nel 1995 ha pubblicato Raymond Isidore e la sua cattedrale e nel 1998 Bela Lugosi, usciti entrambi per Adelphi. Le sue opere sono state tradotte in varie lingue.

Nicolò Pellizzon ha collaborato con diverse case editrici (Newton Compton, Purple Press) e riviste (Animals, Shinigami). Il suo sito http://www.fauces.it/content2/

Qui le interviste
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I racconti WATT 0,5: Intervista a Mari Accardi e Francesco Levi

Intervista a Mari Accardi

Che cosa significa per un autore costruire una storia partendo da immagini? Le era capitato prima d’ora? È stata un’esperienza stimolante o penalizzante per la sua creatività?
Per niente penalizzante, anzi. All’inizio sentivo di avere una grossa responsabilità perché i disegni di Francesco Levi mi piacevano tanto e avevo paura di essere troppo didascalica o di allontanarmi troppo, poi ho smesso di preoccuparmi e ho buttato giù la prima stesura per associazione di idee. Le immagini mi hanno dato libertà.

Ha avuto modo di confrontarsi con l’illustratore, prima o durante la scrittura?
Né prima né durante. Dopo la pubblicazione però ci siamo scritti.

In questa storia di grande suggestione, fiaba sofisticata dal sapore antico, si respira l’atmosfera della magia e della fantasia, al di fuori del tempo e del verosimile. Ma i televisori e gli oggetti di Mildred di cui Fez prova a liberarsi con rabbia rappresentano un indiscutibile richiamo alla realtà. Ci può spiegare meglio il loro significato?
Volevo che fosse esattamente “al di fuori del tempo e del verosimile”, antica e moderna allo stesso tempo. Il televisore era nelle immagini e sia questo che gli altri oggetti all’inizio sono venuti fuori senza controllo, per associazione di idee appunto, poi ho capito il significato, il mio almeno.

Quale sarà il suo prossimo appuntamento con la scrittura?
Sto finendo di scrivere una raccolta di racconti ambientati a Palermo e dintorni.

Intervista a Francesco Levi

Dove e come nascono le sue illustrazioni? È più facile o difficile commentare con le immagini un testo già scritto?
Penso sia una questione di peso specifico. Tonnellate di ricordi, parole, persone, numeri. Disegnare è spesso un gesto di abbandono. Come ai bordi della strada ciò che non sopporto più di dover trasportare. Si affidano le cose alla cura degli altri. Preferisco avere dei limiti, dei vincoli, delle regole. Diventano pretesti per percorrere strade sconosciute e impreviste. Quando ho disegnato per watt 0,5 il testo non esisteva ancora,  ma i colori da utilizzare, le dimensioni delle tavole e il loro numero sono stati comunque i confini del mio lavoro.

Ha avuto modo di confrontarsi con lo scrittore?
Ho avuto modo di confrontarmi con la scrittrice solo dopo l’uscita di watt 0,5. Il testo di Mari Accardi mi è piaciuto molto. Non si è lasciata troppo condizionare dalle tavole, non le ha seguite in modo didascalico  ma ne ha colto l’atmosfera e l’aria.  Ne è nata una storia delicata e amara. Durante il lavoro l’unica persona con la quale avevo contatti era Maurizio Ceccato. Un costante punto di riferimento. Con lui segnavo la rotta.

Quale sarà il suo prossimo appuntamento con l’illustrazione?
A giugno si è conclusa la mostra “L’arcobaleno è inutile se la tua casa affonda e hai appena sbarrato porte e finestre”, una piccola raccolta di illustrazioni e tavole, presso la  Mimesis Gallery di  Brescia. Sono impegnato adesso  con la preparazione di un’altra mostra e della scenografia di un piccolo spettacolo teatrale per bambini.

Qui la recensione di Elda e il corvo

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I racconti WATT 0,5: Elda e il corvo – Mari Accardi

Elda e il corvo
Racconto di Mari Accardi
Scritto su illustrazioni di Francesco Levi

 Recensione di Emanuela D’Alessio

Mari Accardi ci regala una storia di grande suggestione, fiaba sofisticata dal sapore antico e moderno, dove si respira magia e fantasia, dove si entra in una dimensione al di fuori del tempo e del verosimile,  pur in presenza di televisori, jeans e calzini color pistacchio. L’atmosfera incanta e rapisce, e si resta sospesi, imbrigliati insieme a Elda «al filo che la legava al vento».
Elda ha vent’anni, da vent’anni si chiede dove prosegue il mondo, vive su un’isola dell’arcipelago dove regna un Dio buono ma esigente, il Pesce Biforcuto, che concede ai suoi fedeli di esprimere un solo desiderio. Ma «il desiderio è eterno, non si può cambiare» e «molti per paura di sbagliare desideravano di non desiderare».
Elda non ha paura, vuole innamorarsi, vuole andare su un’altra isola, «vuole partire subito in cerca dell’anima gemella» e il Pesce Biforcuto la esaudisce dandole un giorno di tempo per trovare la persona che sta cercando. Elda si abbandona al vento e vola via, tra nuvole e numeri d’argento, sorvola l’isola mandorlata, così chiamata «perché di tanto in tanto i raggi del sole profumano di mandorla», l’isola del Fiore vermiglio, l’isola della Montagna fumante, fino ad atterrare sull’isola delle Sette Brume «con le montagne a punta di matita, con le casette in pendenza e le persone a testa in giù, con scale verso il cielo e televisori e giostre di bambù». Dai televisori accesi proviene un bisbiglio frenetico, il precetto del Pesce Biforcuto «il desiderio è eterno, non si può cambiare», sopra la testa è un frullare di corvi. Comincia a piovere, Elda non ha mai visto la pioggia ed è felice perché ha trovato il suo amore, Fez, ma lui è intento a sbarazzarsi di tutto quello che era appartenuto a Mildred, la sua ex fidanzata. Un corvo prende Elda e la porta nel suo nido «stretto stretto, fatto apposta per gli amanti», le dice che presto sarebbe diventata sua moglie e vola via in cerca di cibo. Elda scivola giù, fuori dal nido, lei vuole Fez, è lui il suo amore, lo bacia ma il filo invisibile del suo desiderio non si scioglie perché Fez aveva chiesto al Pesce Biforcuto di non innamorarsi più. Elda viene risucchiata dal vento ma il corvo, che non aveva smesso di cercare il suo amore, l’abbraccia tra le sue ali.
«Il corvo di colpo si trasformò in uomo e cominciò a precipitare. Mano nella mano vennero sospinti nel mare aperto, attraversarono chilometri e chilometri di numeri d’argento finché non si ritrovarono uno accanto all’altra seduti sul letto di Elda».
Tra inquietudine e malinconia, tra l’euforia del desiderio e la frustrazione per la sua incompiuta realizzazione, finisce la fiaba e torna l’evidenza della realtà, perché la felicità sfugge a qualsiasi definizione e progetto, e soprattutto si manifesta sotto altre sembianze, diverse da quelle immaginate, perché la nostra volontà si rivela vana contro quella di un «dio dell’arcipelago».  

Mari Accardi è nata a Palermo nel 1977, si è laureata in Lingue, ha vissuto a Torino, Roma, Praga e di nuovo a Palermo. Nel 2008 ha vinto il concorso Subway-Letteratura e ha pubblicato racconti su «Watt», «L’accalappiacani», www.doppiozero.com. Vive in periferia dove traduce libri per ragazzi e insegna italiano agli immigrati.

Francesco Levi è nato a Brescia nel 1976. Si è laureato in Disegno industriale presso la facoltà di Architettura al Politecnico di Milano. È autore di scenografie teatrali, disegni e illustrazioni per libri, riviste e trasmissioni radiofoniche. Il suo sito: http://www.myspace.com/francescolevi

Qui le interviste.
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riba pluto

I racconti WATT 0,5: Intervista a Raffaele Riba e Amalia Mora

riba plutoIntervista a Raffaele Riba

Mentre scriveva il racconto ha pensato anche alle immagini che lo avrebbero potuto meglio rappresentare? Coincidono o si avvicinano a quelle effettivamente create dall’illustratore?
No, non nella fattispecie. È un racconto dalla gestazione un po’ lunga e quando iniziai a scriverlo non sapevo dove sarebbe finito. Amalia è stata intelligente e sensibile, le illustrazioni calzavano. Il Pluto che accompagna la prima pagina del racconto ha nei tratti tutti i significati che avevo intenzione passassero. Così come le altre che coinvolgono e rappresentano uno ad uno i simboli forti e strutturali della narrazione. Questo senza che ci fossimo mai parlati. Significa che l’accostamento funziona perché non c’è qualcosa che accompagna qualcos’altro. Due forme espressive con genesi condivisa, ma costruite in parallelo, senza subordinazioni.

Il suo racconto sembra essere molto legato alle immagini, in particolare ad alcuni scatti fotografici. In quale rapporto si trovano, nella sua scrittura, immagini e parole?
Sempre più stretto. Devo immaginare, vedere ciò che scrivo. Mi aiuta molto e mi piace, anche, molto. Chiaro che poi si può lavorare sul risparmio. Non far coincidere completamente immagine visualizzata e testo. Piuttosto riportare solo alcuni particolari tralasciandone altri, dare a chi legge la libertà di integrare la sua sensibilità alla mia.

Quale sarà il suo prossimo appuntamento con la scrittura?
In autunno una serie di tre racconti per la collana Singolari della casa editrice LiberAria, concentrandomi nel frattempo su un lavoro più lungo che so solo quando è cominciato. Ma per fortuna non c’è fretta.

Intervista ad Amalia Mora

Non tutte le storie si prestano allo stesso modo a essere illustrate. Quale coefficiente di difficoltà darebbe al racconto sul quale ha lavorato? Che rapporto ha avuto col testo e cosa ha voluto restituirne con le immagini?
Il racconto mi ha intrigata alla prima lettura. Il modo di raccontare di Raffaele Riba, per certi versi, è molto vicino al mio. La narrazione si svolge mediante “scatti fotografici”, immediati e crudi che sembrano non avere bisogno di nessun accompagnamento visivo. È  stata questa la difficoltà iniziale: non riuscire a immaginare nulla se non quello che Raffaele mi permetteva di vedere attraverso le sue parole. Il rischio era di non aggiungere nulla di mio e limitarmi a un approccio didascalico. Ho letto e riletto più volte il testo fino a quasi non poterne più e soltanto dopo essermene staccata per un po’ di tempo sono riuscita a tirare fuori quello che volevo e che Maurizio Ceccato sapeva che avrei potuto restituire. Non saprei dire esattamente che cosa volevo aggiungere o togliere al racconto, mi sono limitata a disegnare e a immaginare i momenti in cui le azioni si svolgevano. Quello che posso dire ora, a lavoro concluso, è che tutto è stato chiaro, uno scatto.

Ha avuto modo di confrontarsi con lo scrittore?
Non mi sono confrontata con lo scrittore, ho preferito che fosse il racconto l’unico tramite tra di noi. Successivamente alla pubblicazione di Watt ci siamo sentiti tramite email per ringraziarci a vicenda.

Quale sarà il suo prossimo appuntamento con l’illustrazione?
Attualmente sto collaborando con Daniela Tieni (una bravissima illustratrice romana) a un progetto per ora visibile online, A Silent Dialogue. Mi piacerebbe ancora collaborare con Raffaele Riba, ho provato una simpatia immediata per la sua scrittura.

Qui la recensione di Eloquenza delle nature morte.

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I racconti WATT 0,5: L’eloquenza delle nature morte – Raffaele Riba

L’eloquenza delle nature morte
Racconto di Raffaele Riba
Illustrato da Amalia Mora

Recensione di Eleonora Rossi

Le pagine scritte da Raffaele Riba sono dense di immagini e parole inquietanti. Sono intimamente pervase da una natura che appare in avanzato stato di decomposizione, quando non è morta o mero artificio, ma che riesce a prendere il sopravvento inselvatichendo luoghi, cose e persone.
Pagine che brulicano di animali snaturati o eviscerati della loro linfa e che sembrano «estratti dalla loro vita meccanica»: esoscheletri, feti giustiziati, gusci di conchiglie, un tritone, una rana, uccelli, insetti mummificati dal sole, un gambero di fiume che si chiama Bruce Willis, un pincher che si chiama Ninon, un pappagallo brasiliano che si chiama Vlad, due gorilla rinchiusi in una campana di vetro che distruggono una copia di Aspettando Godot, centinaia e centinaia di pesci dagli occhi defunti. E poi topi, paperi e cani giganti fatti di fibre sintetiche.
All’interno di questo bestiario sono scritte le storie di tre personaggi tra loro legati – attraverso spazio e tempo (tra Parigi, Antibes e Disneyland) – e accomunati dal medesimo inutile tentativo di cambiare ciò che li circonda, e dalla disillusione, dal fallimento che ne scaturiscono.
Il fallimento di Agnés che durante il ’68 era giovane e si nutriva d’illusioni e «forse alzava le mani, forse ballava, forse evitava le manganellate». Allora «si innamorava di pensieri, cose e persone» e voleva «modificare gli anfratti più nascosti delle vite umane», «disossare la storia» e si ritrova dopo anni, sola e abbandonata a riversare il suo amore su persone e animali che non faranno altro che rinnovare la sua solitudine. Quello di Catherine che tra coscienza e incoscienza tenta di artefare la natura per dar sfogo alla propria inquietudine e impressionare, ma alla fine lascia dietro di sé solo vetri sbriciolati e qualche suggestione. La disfatta di Boris, così lontano dall’esistenza, che non ama muoversi ma a cui piace fissare l’evoluzione delle cose. E che si ossessiona fino al parossismo nel creare il disordine ed uscire dal «vicolo cieco evolutivo».
È impossibile per loro comprendere e fare proprie – per sovvertirle – le leggi che determinano il movimento della natura, che ora è la storia, ora la vita, perché questa corre, noncurante, verso la sua evoluzione e prosegue lungo il suo corso travolgendo chiunque si pone in opposizione e non si adegua.
Allora non possono che ritirarsi nell’anonimato, o farsi sopraffare da «fantasmi senza bordi, le solite ossessioni sacrificali». Oppure possono partecipare a quella raffigurazione della realtà come «nature morte con una dignità riconosciuta valorizzata al punto di diventare non solo oggetto di analisi ma pezzi d’arte filogenetica da osservare in miracoloso silenzio».
Ed è sul rapporto tra la realtà e la sua rappresentazione (letteraria o artistica) che s’impernia L’eloquenza delle nature morte. Rappresentazione in cui è possibile trovare immortalati anche Pluto che ha in mano una bottiglietta di Evian (l’acqua che beveva Proust) mentre si dà fuoco, l’angelo della storia, Orfeo e la moglie di Lot trasformata in una statua di sale. Solo così i personaggi di Riba possono uscire dalla condizione di «privazione e indeterminabilità» che li affligge, ed essere strappati dall’anonimato della folla per riacquisire un significato, un senso «come un messaggio che aveva dovuto farsi carne per essere trasmesso alle genti».

Raffaele Riba è nato a Cuneo nel 1983. Con il racconto La crocifissione ha vinto la terza edizione del concorso 8×8.

Amalia Mora è nata a Cupra Marittima (nelle Marche) nel 1982. Si è diplomata nel 2004 all’Accademie delle Belle Arti di Bologna. Ha partecipato a diverse collettive e personali tra cui Quattro, Tra il 5 e l’8 presso la galleriae l’Ariete, Niente presso la galleria Terre rare, tutte di Bologna. Il suo sito http://www.amaliamora.com/

Qui le interviste.
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