Archivi tag: Volo di paglia

RACCONTI ITALIANI #3 – Intervista a Laura Fusconi, una voce che arriva dal passato

RACCONTI ITALIANI – rubrica dedicata al racconto italiano contemporaneo

di Emanuela D’Alessio

Laura Fusconi, piacentina, ha 28 anni, lavora come grafica e appena può scappa in campagna per leggere e disegnare. Scrive storie per piacere. «Ci sono storie ovunque, alcune sono così belle che è un peccato vadano perse». Per scrivere ci vogliono pazienza e umiltà, ma più di ogni altra cosa «prepararsi a sputare sangue». A settembre uscirà il suo primo romanzo, Volo di paglia,  nato da una fotografia di sua madre del 1981,  «lei bella come il sole al castello di Boffalora, dove aveva affittato una stanza per l’estate». La “voce” di Laura Fusconi arriva dalla sua infanzia, dalle letture di Roald Dahl, dal suo film preferito Novecento, dalle fotografie della nonna.

Sei nata a Castel San Giovanni, in provincia di Piacenza, pochissimi anni fa, dopo gli studi classici ti sei dedicata alla grafica e alla scrittura, passando dalla scuola Holden di Torino. Hai scritto qualche racconto ma sei subito arrivata al romanzo, di cui aspettiamo l’uscita a settembre. Ebbene, che cosa fai in attesa di trovare il tuo primo libro in libreria?
In realtà continuo la mia vita di sempre: lavoro come grafica nel reparto creativo di un’azienda di Lodi e nei weekend scappo in campagna, a Verdeto, dove posso leggere, disegnare con gli acquerelli e farmi viziare dalla cucina di mio padre.
Certo, il pensiero del libro in uscita rende belle anche le giornate con trentasette gradi passate sui binari ad aspettare treni in ritardo.

Raccontare storie è, per te, una conseguenza di cosa: vocazione, necessità, casualità?
Raccontare storie per me è un piacere: mi diverto a inventare situazioni e personaggi, a scrivere dialoghi e a cacciare qua e là dettagli, pezzi di frasi e di persone che mi hanno colpito. Ci sono storie ovunque, alcune sono così belle che è un peccato vadano perse. Mi piace fermarle sulla carta. Avere l’impressione di riuscire in qualche modo a trattenerle.

Hai frequentato la celebre scuola Holden che, nel tuo caso, sembra aver determinato ottimi risultati. Devo quindi ricredermi sull’effettiva utilità delle scuole di scrittura?
I due anni della scuola Holden sono stati un tempo mio in cui ho potuto chiedermi se scrivere era davvero quello che volevo fare. Il confronto quotidiano con tanti ragazzi di talento ha rappresentato per me uno stimolo e un’occasione fondamentale per riflettere. Lì ho incontrato Leonardo Luccone, che mi ha subito colpito per la sua sensibilità e il suo gusto in ambito letterario.
Per quanto riguarda le scuole di scrittura in generale, credo che possano rappresentare una palestra significativa: certo non insegnano propriamente a scrivere, ma letture, incontri, discussioni, analisi ed esercizi aiutano a focalizzarsi meglio sulla scrittura e a trovare la propria voce. Il rischio da scongiurare è quello dell’appiattimento e dell’omologazione, perché l’originalità e l’anticonformismo non sempre vengono premiati.

Da una parte ci sono le scuole di scrittura con costi di iscrizione anche elevati, dall’altra i forzati del self publishing, sempre più numerosi e incoraggiati dalla prospettiva di celebrità a costo zero e senza intermediari. In mezzo ci sono gli agenti letterari, ad esempio Oblique Studio che ti rappresenta, e in un angolo le centinaia di manoscritti nelle case editrici con l’unica prospettiva di prendere polvere. Che cosa c’è di giusto e sbagliato, necessario e superfluo in questo scenario?
Non mi ritengo la persona adatta per dire cosa c’è di giusto o di sbagliato in tutto questo: sono l’ultima arrivata. Nel mio piccolo, parlando della mia esperienza, penso che le parole chiave siano pazienza e umiltà. La pazienza perché il tutto e subito non esiste, e l’umiltà per non credere che quello che hai scritto sia da Nobel e tu un genio incompreso perché al 99% non lo sei. Penso sia sbagliato voler pubblicare a tutti i costi senza confrontarsi: puoi piangere finché vuoi, ma è fondamentale ascoltare le critiche, tutte, tornare e ritornare testa china sul proprio lavoro, lasciare da parte presunzione e arroganza che non portano a niente, trovare un buon agente, cercare di pubblicare su riviste, online e soprattutto cartacee e, più di ogni altra cosa, prepararsi a sputare sangue.

Soffermiamoci sul tuo racconto Le bambole non muoiono, una storia dai toni fiabeschi che, come tutte le favole, si nutre di mistero e magia, sempre in bilico tra realtà e fantasia, con un finale che lascia un brivido di inquietudine. Il tuo sguardo contemporaneo si sofferma sugli echi del passato per restituire voce a chi non è più. Uno sguardo profondo e intenso che suscita sorpresa e incanto. Da dove arriva questo sguardo?
Arriva dalla mia infanzia, dai miei genitori, dalle domeniche passate nella casa delle zie di mia madre, dai libri di Roald Dahl che leggevo da piccola, dalle storie che inventavo per terrorizzare mia sorella e da quelle che raccontava mio fratello non facendomi dormire la notte. Arriva da Novecento di Bertolucci che è il mio film preferito, dalle foto che mia nonna tirava fuori da una scatola di latta che teneva sopra l’armadio.

I tuoi racconti sono comparsi, oltre che sulle rassegne di Oblique, su alcune riviste letterarie. Qual è o dovrebbe essere il ruolo delle riviste letterarie nel mondo (ristretto) dell’editoria: palestre di scrittura, trampolini di lancio, luoghi culturali alternativi, rifugio per disillusi?
Le riviste letterarie sono un’occasione per chi vuole scrivere, una tappa fondamentale nel percorso di un autore dato che rappresentano il primo momento di confronto con l’editoria e il pubblico. Leggerle è piacere per la cura, l’attenzione ai dettagli e alla qualità che le caratterizzano.

Non parleremo ovviamente del tuo romanzo, Volo di paglia, perché lo faremo quando lo avrò letto. Però posso chiederti di raccontare rapidamente la sua gestazione, che mi sembra sia stata abbastanza lunga, e ancor prima, la sua idea originaria e l’incontro con Leonardo Luccone.
Del romanzo posso solo dire che è stato un lavoro lungo e bellissimo, non si arriva mai alla fine: ancora adesso non ci credo; forse quando lo vedrò in libreria incomincerò finalmente a realizzare. L’idea originaria è una fotografia di mia madre: 1981, lei bella come il sole al castello di Boffalora, dove aveva affittato una stanza per l’estate.

Scrittori e libri non possono fare a meno delle librerie, che restano sempre l’anello più debole della filiera editoriale. Confesso di non sapere affatto se Piacenza sia o meno una città viva sul piano culturale e letterario. Né conosco il contesto librario piacentino. Puoi fornire tu qualche indicazione?
La mia città ospita da sempre festival culturali di caratura nazionale: il mio preferito era Carovane, che ha portato in Italia scrittori come Luis Sepúlveda e Paco Ignazio Taibo II.
Lì, da ragazzina, avevo incontrato Bianca Pitzorno: era stata un’emozione farmi fare la dedica su Ascolta il mio cuore, quando ancora mi stavano antipatiche tutte le bambine che si chiamavano Sveva ed ero sicurissima che avrei chiamato mia figlia Prisca. Ora il posto di Carovane è stato preso dal festival blues Dal Mississippi al Po, che alla letteratura ha aggiunto la musica. In città ci sono tre librerie indipendenti (Fahrenheit, Bookbank, Romagnosi) che costituiscono importanti punti di aggregazione.

Come dovrebbe essere la tua libreria ideale e ti è capitato di entrarci almeno una volta?
Una via di mezzo tra Shakespeare and Company a Parigi, Strand a New York e City Lights a San Francisco: un posto pieno di divani e corridoi stretti, dove puoi passare ore a vagare tra gli scaffali e a parlare coi librai e con altri lettori.

Che tipo di lettrice sei (ordinata, compulsiva?) e qual è stato fino ad ora il tuo percorso di lettura?
Leggo molto, da sempre, di tutto. Quando trovo uno scrittore che mi è affine divento compulsiva e leggo tutto quello che trovo di suo. I primi che mi vengono in mente sono Cesare Pavese, Haruki Murakami, Irène Némirovsky, Kent Haruf, Alice Munro, Marilynne Robinson ed Elizabeth Strout. A proposito, non smette di emozionarmi il pensiero che il mio Volo di paglia uscirà proprio nella stessa collana dei romanzi Olive Kitteridge, I ragazzi Burgess, Resta con me, Amy e Isabelle.

Che cosa c’è da leggere sul tuo comodino in questo momento?
In questo momento La famiglia Aubrey di Rebecca West. In pianta stabile La luna e i falò di Cesare Pavese, Il fucile da caccia di Inoue Yasushi, La banda dei brocchi di Jonathan Coe e tutto il teatro di Sarah Kane.