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I consigli dei Serpenti per l’estate 2018 – Emanuela D’Alessio

Emanuela D’Alessio consiglia:

Resto qui – Mario Balzano (Einaudi, 2018)
Mario Balzano non ha vinto lo Strega 2018, però è lui il “mio” vincitore. Resto qui è una storia semplice ma dalle molteplici letture che l’hanno resa per me sorprendente, avvincente e irresistibile.
È una storia sulla resistenza, ma senza partigiani, perché i protagonisti sono gli abitanti di Curon, un piccolo paese del Sud Tirolo, che non volevano essere né fascisti, né nazisti, che  hanno usato i fucili solo per difendersi, che sono andati fra le montagne solo per sfuggire all’insensatezza della follia di quegli anni, che hanno lottato fino all’ultimo giorno contro la condanna a morte del loro paese, decretata dall’indifferenza spietata di chi decise di costruire una diga nel luogo sbagliato e per motivi incomprensibili.
È anche una storia di resistenza, resistenza al dolore inconsolabile che soltanto i figli riescono a provocare ai loro genitori, resistenza alla perdita e all’ingiustizia, resistenza alla devastazione di una guerra, resistenza alla sopraffazione e al cinismo di cui gli uomini sanno dare sempre nuovi sofisticati esempi.
Con la sua scrittura asciutta e netta Balzano ci restituisce un prezioso sguardo su un frammento di storia vissuta, lontana dalle cronache e dalle celebrazioni, ma che ci costringe a riflettere, ancora una volta, sulle infinite possibili declinazioni della sofferenza.
Una storia dura e dolorosa, ma che trasmette dalla prima all’ultima pagina una straordinaria forza, indicandoci probabilmente l’unica via possibile a nostra disposizione per attraversare l’esistenza: «Andare avanti è l’unica direzione concessa, altrimenti Dio ci avrebbe nesso gli occhi di lato, come i pesci».

La ferrovia sotterranea – Colson Whitehead, trad. di Martina Testa (SUR, 2017)
Unica opera degli ultimi vent’anni a vincere sia il National Book Award sia il Premio Pulitzer, La ferrovia sotterranea è un altro libro sulla “resistenza”, in questo caso alla brutalità della schiavitù e del razzismo. La giovane schiava Cora intraprende la sua fuga verso la libertà da una piantagione della Georgia, in un’alternanza stupefacente e drammatica di colpi di scena, di orrori e violenze.
La ferrovia sotterranea è un romanzo sulla schiavitù che ha macchiato per sempre la storia degli Stati Uniti. È un romanzo sulla forza della disperazione, sul dolore inimmaginabile, sulla straordinaria capacità di sopravvivenza che gli uomini riescono sempre a trovare. È un romanzo pieno di orrore e brutalità, ma anche di flebile speranza, quella che scorre lungo la ferrovia sotterranea, un’espressione americana per indicare il percorso segreto che veniva utilizzato dagli schiavi in fuga dai loro padroni, la rete di simpatizzanti che cercava di aiutarli a raggiungere il Nord e lasciare per sempre il Sud schiavista in cerca della libertà.

Berta Isla – Javier Marías, trad. di Maria Nicola (Einaudi 2018)
Con la consueta raffinata eleganza che caratterizza tutti i suoi romanzi, Javier Marías ha scritto una nuova potentissima storia sull’incomunicabilità, sull’amore e la sua inafferrabilità, sull’ambiguità e la fragilità dei sentimenti, sulla precarietà della verità, sulla forza della casualità che governa l’esistenza.
Per farlo ha scelto gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, collocando i suoi personaggi tra Spagna e Gran Bretagna e attingendo al genere dello spionaggio. Ma se Tomás Nevinson si ritrova suo malgrado al servizio dell’Intelligence britannica, Berta Isla, che è anche il nome della moglie di Tomás, non è una storia di spionaggio. È piuttosto una storia sull’attesa, paziente e dubbiosa, poi rabbiosa, quindi rassegnata, e alla fine anche desiderata, perché  «chi si abitua a vivere nell’attesa non ne accetta mai del tutto la fine». È una storia sull’illusione della libera scelta, di essere padroni della propria vita. È una storia sull’infinita alternanza della paura e della speranza, del tempo che modifica tutto e tuttavia non cancella.
Alla fine, come ha scritto Claudio Magris, non c’è più il dubbio tra essere e non essere, ma tutti siamo e non siamo.

Perché scrivo? Tomás Eloy Martínez

PERCHÉ SCRIVO? – La rubrica dedicata ai perché della scrittura

Tomás Eloy Martínez

Scrivere, per me, è sempre stato un atto di libertà. L’unico grazie al quale il mio io va in giro senza dover rendere conto a nessuno. Mentre scrivo, mi lascio andare. Solo dopo aver azzardato qualche passo penso ai confini di quello che sto facendo: se mi avvio verso un romanzo o un saggio, se si tratta di una cronaca o di un copione cinematografico, oppure di un necrologio. Nel corso di questo viaggio mi sono perso più di una volta. Mi perdo soprattutto quando cerco di oltrepassare i confini. Anche se i confini si negano, li attraverso. Voglio vedere cosa c’è al di là delle parole, nei paesaggi invisibili, nei racconti che spariscono man mano che li sviluppo. Se mi inoltrassi nel territorio della poesia, forse, scorgerei quell’orizzonte al quale non arrivo. Ma non sono poeta e me ne dispiace. Se lo fossi, potrei dare un nome alla reale natura delle cose, trovare il centro una volta per tutte, invece di perdermi ai margini.

Estratto dal romanzo Purgatorio, questo brano di Tomás Eloy Martínez mostra cosa abbia significato per lui la libertà della scrittura dopo aver vissuto sulla propria pelle la dittatura argentina, l’esilio e il rogo dei suoi libri da parte della giunta militare.

Tomás Eloy Martínez (1934-2010), già autore del capolavoro Santa Evita, è tra i più importanti scrittori argentini degli ultimi decenni. Purgatorio (2008), è pubblicato in Italia da SUR (2015) per la cura di Francesca Lazzarato.

Perché scrivo? Julio Cortázar

PERCHÉ SCRIVO? – La rubrica dedicata ai perché della scrittura

Julio Cortázar

«Rimarrò un bambino in tante cose, ma uno di quei bambini che portano con sé l’adulto, di modo che quando il mostriciattolo diventa veramente adulto questo porta dentro di sé il bambino, e durante il cammino si verifica una coesistenza di rado pacifica di almeno due aperture al mondo. Gran parte di ciò che ho scritto si distingue per la sua eccentricità, dato che non ho mai ammesso una differenza tra il vivere e lo scrivere; se vivendo riesco a dissimulare una partecipazione parziale alla mia condizione, non posso tuttavia negarla in ciò che scrivo dato che scrivo proprio per non esserci o per esserci a metà. Scrivo per errore o per mancanza di una collocazione; e siccome scrivo da un interstizio, invito sempre gli altri a cercare il proprio e a guardare attraverso di esso il giardino dove gli alberi hanno frutti che sono, ovviamente, pietre preziose. Il mostriciattolo è sempre lì… E mi piace, e sono terribilmente felice nel mio inferno, e scrivo. Vivo e scrivo minacciato da questa lateralità, da questo posto reale, da questo stare sempre un po’ più a sinistra o più in fondo del luogo in cui si dovrebbe stare affinché tutto si risolva in modo soddisfacente in un giorno di vita in più senza conflitti. Ero ancora molto piccolo, quando accettai a denti stretti la condizione che mi separava dagli amici, e che, allo stesso tempo, li attirava verso quel tipo strano, diverso, quello che metteva il dito nel ventilatore. Non è che non fossi felice, l’unica condizione era incontrare di tanto in tanto (il compagno, il tipo eccentrico, la vecchia pazza) qualcun altro che a sua volta non corrispondeva pienamente al suo ruolo, e naturalmente non era facile; ma ben presto scoprii i gatti nei quali potevo immaginare la mia stessa condizione, e i libri, nei quali la riscontravo chiaramente».

«Una buona parte dei racconti che ho scritto sono frutto di stati nevrotici, di ossessioni, fobie, incubi. Non sono mai andato da uno psicoanalista; ho risolto i miei conflitti interiori a modo mio, grazie a una macchina da scrivere e a quel senso dell’umorismo che fa storcere il naso alle persone serie. Quindi, più che un racconto o un romanzo, è la scrittura stessa il mio atto di esorcismo».

Estratto dall’intervista a Julio Cortázar del giornalista peruviano Alfredo Barnechea. L’intervista risale al 1971 ed è stata poi ripresa in Peregrinos de la lengua (Alfaguara, 1998).

La casa editrice SUR ha inaugurato la nuova collana littleSUR, dedicata a testi brevi di autori latinoamericani, con Correzione di bozze in Alta Provenza (traduzione di Giulia Zavagna), il diario che Julio Cortázar scrisse nel 1972 durante il massacro di Monaco.

INDILIBR(A)I – Risvolti consiglia La città assente di Ricardo Piglia

INDILIBR(A)I – Rubrica dedicata ai librai e ai lettori indipendenti

Libreria Risvolti
Via Sestio Calvino, 73-75 00174 – Roma
Tel./Fax. 0689537244
e-mail:info@libreriarisvolti.it

 

ricardo pigliaRisvolti consiglia La città assente di Ricardo Piglia (SUR).

La città assente, romanzo del 1992 di Ricardo Piglia, tradotto e pubblicato solo quest’anno dalla casa editrice SUR, non è classificabile in nessun genere particolare. È un poliziesco, un romanzo di fantascienza, riflette sull’uso della lingua citando Joyce e Macedonio Fernandez (che ne è anche l’involontario protagonista) ed è anche una storia d’amore. Tutto parte dalla ricerca di informazioni su un museo e su una macchina che inventa storie in esso custodita. L’investigato…re incontra persone presumibilmente informate sui fatti per dipanare il mistero; «da ognuno di questi incontri ricava una storia di qualche tipo, il cui legame con l’oggetto dell’indagine è però il più delle volte fumoso» (cit. dalla prefazione di Tommaso Pincio). Una delle informazioni certe è che la “macchina” racchiuda l’anima della donna amata da Macedonio, che proprio lui l’abbia costruita insieme all’Ingegnere per mantenerla in vita facendole inventare storie…e forse anche quella dell’investigatore che cerca informazioni sulla “macchina” è una sua invenzione.
Consigliato a chi ama la letteratura sudamericana di qualità e a chi vuole sperimentare.

«La ciudad ausente è il secondo romanzo pubblicato da Ricardo Piglia, uscito in Argentina nel 1992, e solo oggi tradotto in italiano. Si divide in quattro capitoli ed è ambientato in un’apocalittica e quasi irriconoscibile Buenos Aires controllata dalla dittatura agli inizi del XXI secolo. Un giornalista, Junior, cerca di raccogliere indizi e informazioni riguardanti una macchina capace di creare storie, inventata da Macedonio Fernández (scrittore argentino che visse tra la fine del XIX secolo e l’inizio del secolo XX) con l’aiuto di un ingegnere europeo…Piglia recupera la tradizione letteraria, la rilegge e, riscattando vari aspetti di alcune opere, propone una rivalutazione critica dei suoi autori. Possiamo perfino arrivare a sostenere che il romanzo stesso sia una macchina per rileggere la tradizione letteraria: una reazione alle letture convenzionali della tradizione che passano da un critico all’altro in maniera stereotipata per riaffermare la necessità permanente della rielaborazione critica dei testi in base ai nuovi contesti sociali, culturali e politici. Piglia, in definitiva, nella Città assente si riappropria in modo inconsueto della tradizione letteraria a testimoniare che la reinterpretazione del passato è l’unica possibilità per comprendere il presente». (Enrico Leon, traduttore).

Ciudad ausente - illustrazione di Luis Scafati

Ciudad ausente – illustrazione di Luis Scafati

Ricardo Piglia è nato ad Adrogué, nella provincia di Buenos Aires, nel 1940. Il suo primo libro, una raccolta di racconti intitolata Jaulario (La invasión nell’edizione argentina), ricevette un importante premio dalla Casa de las Américas nel 1967. Da allora ha pubblicato altre tre raccolte di racconti – Nombre falso (1975), Prisión perpetua (1988) e Cuentos morales (1994) – e tre romanzi: Respirazione artificiale (Respiración artificial, 1980), La città assente (La ciudad ausente, 1992) e Soldi bruciati (Plata quemada, 1997), che vinse il Premio Planeta. È anche autore di numerosi saggi critici, fra cui tre edizioni della raccolta Crítica y ficción (1986, 1990 e 1993). Il suo ultimo libro è Formas breves (1999), una raccolta di brevi saggi critici in forma narrativa. Negli ultimi anni Piglia ha anche lavorato a diversi progetti cinematografici. Tra le altre cose, ha scritto la sceneggiatura originale di Corazón iluminado, diretto da Héctor Babenco, e un adattamento del Cantiere di Juan Carlos Onetti.
Le sue opere critiche e narrative sono state tradotte in inglese, francese, portoghese, tedesco e italiano. (Dalla prefazione di Sergio Waisman all’edizione statunitense del libro, uscita nel 2000 per la Duke University Press).

Leggi l’intervista a Ricardo Piglia (prima parte) sul blog di SUR
Leggi l’intervista a RicardoPiglia (seconda parte) sul blog di SUR

Ricardo Piglia
La città assente
trad. di Enrico Leon
SUR, 2014
pp. 208, € 15,00

Esce il primo titolo delle edizioni SUR: Prima della fine di Ernesto Sabato

"Prima della fine" Ernesto SabatoDopo mesi di attesa, è ufficiale: sono nate le Edizioni SUR, la costola latinoamericana di minimum fax che introduce una modalità innovativa di interazione con le librerie e con il pubblico: comunicazione diretta con i lettori e rapporti con i librai indipendenti che potranno acquistare i libri direttamente dalla casa editrice con uno sconto minimo del 40%.
Ora arriva finalmente in libreria il primo titolo SUR: Prima della fine di Ernesto Sabato, il romanziere e saggista argentino scomparso pochi mesi fa all’età di cento anni. Si tratta di un libro di memorie personali e riflessioni intellettuali. Prima della fine era uscito nel 2000 nella collana Gli Sruzzi di Einaudi.

Il coloratissimo sito di SUR
Il coloratissimo blog di SUR

Sur

Nasce Sur, nuovo marchio editoriale indipendente

SurVerrà presentato oggi al Salone del Libro di Torino Sur, il nuovo marchio editoriale dedicato alla letteratura sudamericana, creato dal gruppo di minimum fax (a Marco Cassini è affidata la direzione editoriale, a Riccardo Falcinelli il progetto grafico).
La novità che porta Sur è soprattutto al livello di distribuzione: Continua a leggere