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Un libro si pubblica. La parola all’editore Ponte33 (2)

COSA SI FA CON UN LIBRO? prima edzione Roma

di Rossella Gaudenzi

Molto interessante il quinto appuntamento di Cosa si fa con un libro?, giovedì 9 aprile nella sede di Altrevie, con Bianca Maria Filippini, docente di letteratura persiana  e fondatrice con Felicetta Ferraro della casa editrice Ponte33, piccola realtà editoriale dedicata alla narrativa in lingua persiana.

«L’Iran è un paese dipinto da sempre in bianco e nero, colmo di grandi contrasti. Ma non è così, perché è una terra multiforme, variegata, ricca di sfumature. Nel mondo occidentale sono conosciuti gli autori iraniani della diaspora, quelli che sono andati via dall’Iran e dall’esterno hanno scritto memoriali, hanno semplificato la realtà e creato una dicotomia, dividendo il mondo in “buoni e cattivi”».

La  scelta di Ponte33 è stata quella, invece, di dare voce agli iraniani che vivono in Iran, svelando altro dietro gli stereotipi e sotto il chador, per raccontare un Iran sconosciuto e più occidentalizzato di quanto si immagini. Un paese in fermento dal punto di vista culturale, dove non esiste in pratica analfabetismo, dove le università sono frequentate da un numero elevato di donne. A Tehran ci sono 12 chilometri di librerie, un vero e proprio paradiso per gli appassionati, con un’offerta vastissima e un elevato  numero di pubblicazioni.Il settore editoriale in Iran è molto attivo, nel 2012 sono stati pubblicati 60.000 titoli, anche se si tratta in molti casi di ristampe. Ma oltre ad autori iraniani, che sono tanti e sopratutto donne, ci sono molti autori occidentali tradotti. In Iran non c’è, infatti, una regolamentazione dei diritti di autore, con la conseguente possibilità di traduzione libera. «Ma noi consultiamo sempre gli editori e siamo stati in pratica i primi a porci il problema» ha evidenziato Bianca Maria Filippini.

Bianca Maria Filippini

Bianca Maria Filippini

Qual è il compito di un editore? Per la Filippini è la scelta del libro, innanzitutto. «Talvolta dettata da fattori più o meno casuali: ad esempio la prima pubblicazione di Ponte33 nel 2009, Come un uccello in volo di Fariba Vafi (che ha venduto 2000 copie), è stata scelta grazie al suggerimento di un’amica traduttrice iraniana, figura che fungeva da “ponte” tra Iran e Italia». E lo stesso nome della casa editrice vuole essere un’interpretazione di questo ruolo. «Il nome Ponte33 fa riferimento al persiano Si-o-se pol, ponte molto particolare della città Isfahan dalle trentatré arcate sotto le quali si riuniscono soprattutto giovani per chiacchierano, cantare, leggere. È un luogo dove trascorrere ore serene come tanti altri posti; l’Iran è un paese ben più vivace di quanto l’immaginario comune possa pensare, molto meno cupo di come sia normalmente percepito da fuori».

«Dal 2010 a oggi abbiamo pubblicato sette libri, e non avendo una vera e propria programmazione editoriale lo consideriamo un successo. Io e Felicetta ci occupiamo di tutto, dalla scelta dei libri, alla traduzione (anche se attualmente usufruiamo della collaborazione di traduttori esterni), alla revisione fino alla distribuzione. Andiamo direttamente nelle librerie, dopo aver creato un rapporto diretto con i librai. Fortunatamente godiamo dell’attenzione della stampa e questo ci apre molte porte».

Come è presente Ponte33 nelle librerie? «Una presenza tutto sommato soddisfacente, tenendo conto che si fonda sul “porta a porta”. A Roma abbiamo ottimi rapporti, ad esempio con le librerie Arcadia, Altroquando, Minimum fax, Fanucci. Purtroppo nel sud Italia, a parte casi isolati a Napoli, Lecce, in Sicilia, i librai risultano decisamente più reticenti. Il nord-est, soprattutto in Veneto e in Friuli, si è rivelato particolarmente ricettivo. Paradossalmente Firenze, sebbene sia la nostra vera terra di origine, dove vive e opera Felicetta e dove è nata la casa editrice, appare più “sonnecchiosa”. Con le librerie di catena, invece, i rapporti sono discontinui e sinceramente incomprensibili».

Che cosa significa tradurre dal persiano? «Il persiano è una lingua indoeuropea con alfabeto arabo. Le difficoltà maggiori che si incontrano nella traduzione sono di tipo paratattico: molte coordinate e poche subordinate, il che comporta un grande lavoro per non rendere la lingua sciatta e fredda. Esistono due registri, lo scritto e il parlato, quindi lingua letteraria e non. Alcuni romanzi contemporanei trascrivono il registro parlato. Il nostro ultimo romanzo pubblicato, Non ti preoccupare di Mahsa Mohebali, ha richiesto uno slang giovanile, quindi un duro lavoro per il traduttore G. Longhi. In Italia, in realtà, siamo noi gli unici traduttori dal persiano».

Che cosa sta leggendo Bianca Maria Filippini? Sul suo comodino ci sono Il cardellino di Donna Tartt (Rizzoli, 2014), definito un po’ ostico; L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello di Oliver Sacks (Adelphi, 2001); I demoni del deserto, dello scrittore e giornalista di origini iraniane, ma da considerare rigorosamente italiano, Bijan Zarmandili (Nottetempo, 2011).

Il ciclo di incontri Cosa si fa con un libro? si concluderà giovedì 7 maggio con lo scrittore Paolo Di Paolo e l’editore Giulio Perrone nella veste di “lettore” con la sua esperienza della scuola di lettura Orlando.

I fichi rossi di Mazar-e Sharif

Le copertine dei Serpenti – I fichi rossi

a cura di Sabina Terziani

I fichi rossi di Mazar-e Sharif

Ecco un esempio di coerenza tra progetto editoriale e progetto grafico. Se la missione di Ponte 33 è far conoscere la cultura di lingua persiana in Italia, perché limitarsi a proporre dei testi tradotti? Meglio unire alla parola le immagini, ovvero la visione di un grafico iraniano, Iman Raad, che porta su tutte le copertine un segno straniero e originale. Al di là dei riferimenti iconografici alla tradizione delle miniature e dei tappeti persiani, quello che colpisce è la gabbia grafica completamente disegnata, occorrenza davvero rara nell’editoria italiana.

La copertina de I fichi rossi di Mazar-e Sharif si differenzia dagli altri titoli (visibili qui) per la scansione rigorosa degli spazi, scardinati e contemporaneamente sottolineati dal dettaglio perturbante che rompe la perfezione asettica. I due aerei da guerra che si stagliano neri contro un triangolo di cielo azzurro fanno da sfondo alla campana di vetro che sembra proteggere l’albero di fico stilizzato su fondo bianco che ai nostri occhi di occidentali ricorda gli alberi della vita medievali con le genealogie dei patriarchi biblici. Strano che un’ala dell’aereo di sinistra e parte della coda di quello di destra siano tagliate, scompaiano dietro alla cornice intagliata d’oro che per questo schizza in primo piano con ciò che contiene, l’albero atemporale poiché privo di sfondo se non il bianco neutro della carta.

Nei lavori per l’editoria iraniana il segno grafico di Iman Raad (visibile qui) esprime tutta la sua diversità dai canoni grafici occidentali, diversità che si ibrida con il progetto di Ponte 33 creando una visione intermedia assai interessante.

I fichi rossi di Mazar-e Sharif di Mohammad Hossen Mohammadi
traduzione dal persiano di Narges Samadi
Ponte33, 2012
pp. 144, euro 16

Qui le altre copertine dei Serpenti.

Le interviste dei Serpenti: Ponte33

di Rossella Gaudenzi

Proseguono le interviste di Via dei Serpenti con Felicetta Ferraro che, insieme a Bianca Maria Filippini, è alla guida di Ponte33, casa editrice nata nel 2009 a Firenze e poi trasferita a Civitavecchia.
Ponte33 rappresenta una realtà editoriale piccola e coraggiosa, impegnata a diffondere la letteratura persiana contemporanea prodotta in Iran, Afghanistan e Tagikistan in Italia e all’estero, principalmente Stati Uniti e Europa, dove molti scrittori provenienti da quei paesi vivono e lavorano. L’intento è quello di presentare «una produzione culturale autentica, molto diversa dagli stereotipi infarciti di chador e di veli che ormai hanno invaso il mercato editoriale».

La creazione di Ponte33 rappresenta una scelta di nicchia. Cosa ha portato alla nascita di questa impresa editoriale?
La nascita di Ponte33 risale alla fine del 2008, al termine della mia esperienza di otto anni come addetto culturale dell’ambasciata d’Italia in Iran, condivisa con un’esperienza simile a quella di altre due esperte del settore, Bianca Maria Filippini e Irene Chellini, all’epoca ricercatrici universitarie impegnate nella stesura della tesi di dottorato. Ho studiato la cultura iraniana negli anni del fermento pre-rivoluzionario, la mia tesi di laurea risale al 1979, anno della Rivoluzione. Nonostante mi fosse stata assegnata una borsa di studio, gli avvenimenti rivoluzionari mi hanno impedito in quell’anno di  andare  in Iran; mi ci sono recata quasi per caso nel 1982 e vi sono rimasta per sei mesi: quello è stato il mio battesimo del fuoco, in un periodo storico estremamente interessante. Nel 1993-1994 ho lavorato per un anno come contrattista dell’ufficio culturale dell’ambasciata. Al rientro in Italia ho insegnato Storia dell’Iran a Napoli fino a quando ho ricevuto dal MAE l’incarico di tornare in Iran, questa volta come addetto culturale. E arriviamo al periodo 2000-2008, quello dell’ultima mia permanenza in Iran. Ho vissuto una situazione privilegiata che mi ha permesso di conoscere le università, gli artisti, gli scrittori; il tutto attraverso una conoscenza approfondita. Al rientro in Italia ho avvertito l’esigenza di raccontare il vero. Esiste purtroppo una conoscenza velata e venata da pregiudizi di paesi come l’Iran. La letteratura è quindi emersa come vera espressione della realtà del Paese.

Qualche parola sul nome Ponte33.
La casa editrice è nata, nel 2009, aFirenze, gemellata con la città di Isfahan, che realmente le somiglia, è una città di grande fascino e bellezza. Il nome Ponte33 fa riferimento al persiano Si-o-se pol, ponte molto particolare di Isfahan dalle trentatré arcate sotto le quali si riuniscono soprattutto giovani che si incontrano, chiacchierano, leggono. È un luogo dove trascorrere ore serene come tanti altri posti; l’Iran è un paese ben più vivace di quanto l’immaginario comune possa pensare, molto meno cupo di come sia normalmente percepito da fuori. Quando Irene, la socia “fiorentina”, ha deciso di dedicarsi ad altro, la sede della casa editrice si è spostata a Civitavecchia, città di Bianca Maria Filippini, docente di Letteratura persiana all’Università della Tuscia. E questo siamo oggi, sempre come Ponte33.

Quante persone lavorano nella casa editrice?
Siamo in due, io e Bianca Maria. Occuparsi di una casa editrice in due comporta una mole di lavoro mostruosa. La premessa è che abbiamo per le mani un progetto assai particolare, monotematico, ossia la narrativa in lingua persiana; ce lo possiamo permettere perché siamo entrambe specialiste dell’area, conoscitrici della lingua, della letteratura, della civiltà di cui trattiamo. Andiamo a cercare i libri alla fonte, parliamo con gli scrittori, con gli editori, soprattutto con i lettori iraniani, e poi decidiamo. Un lavoro cospicuo che parte dalla scelta del libro, per passare alla lettura e terminare, o quasi, con la traduzione.

Quale importanza ha la dimensione del viaggio per una casa editrice come Ponte33?
Ci rechiamo spesso in Iran e spesso riceviamo materiale dai paesi di lingua persiana. Ogni viaggio comporta l’incontro con scrittori, preferibilmente giovani; quando il libro è valido al punto da essere tradotto e pubblicato, si passa alla fase di lavoro successiva. Le traduzioni sono pensate per essere lette con gli occhi di chi in questi luoghi non è andato o non potrà andare. Crediamo fermamente nel concetto che per conoscere un luogo esistano due strade: il viaggio o la lettura. La letteratura ti fa entrare nell’anima di un paese e questo accade al di là della descrizione del territorio. Nessuno dei nostri scrittori insiste molto sulla fisicità del luogo: c’è tanto altro da dire per coglierne l’essenza. Quanto ai nostri libri, chi non è mai stato in Iran commenta: «Me lo immaginavo diverso, con del colore in più…». Chi conosce i luoghi di cui parliamo afferma invece: «Che bellezza, qui dentro c’è realmente l’Iran!». Emergono città convulse, il traffico congestionato, il rumore, gli elementi di vita quotidiana delle donne, dei giovani. Emerge l’Iran che vivi.

Interessante il progetto grafico: quali sono i tratti principali della vostra linea grafica?
L’Iran possiede un patrimonio grafico bello e diversificato, basato su una storica tradizione di miniatura e calligrafia. L’idea è quella di far conoscere giovani grafici iraniani che sappiano dare un volto fresco a questa tradizione. Abbiamo iniziato con Iman Raad per mantenerlo per cinque titoli e passare poi ad altro illustratore. In realtà abbiamo trovato così belle le sue raffigurazioni che esitiamo a cambiare artista. Un nuovo artista probabilmente subentrerà con l’ampliarsi delle collane.

A che punto è il progetto della collana di saggistica internazionale?
È un progetto che va a rilento perché l’offerta è soprattutto di natura accademica e rischia d non interessare un pubblico generico. Sta invece prendendo forma l’idea di una collana sulla poesia  contemporanea. Esiste una tradizione fiorente, di grande valore. In questo caso affideremo le copertine a un altro grafico.

Quali sono le difficoltà che una casa editrice piccola come la vostra ha dovuto affrontare ieri e deve affrontare oggi?
Il primo problema è stato quello del finanziamento iniziale: capitale personale e ad alto rischio. Il vero grande problema è la distribuzione. Ponte33 si auto distribuisce, andiamo ovunque portando i nostri libri in spalla. Siamo ormai entrate in molte librerie, grazie alla curiosità e all’intelligenza di librai che hanno apprezzato il progetto e, bisogna dirlo, le copertine, ma altre sono blindate, soprattutto quelle delle grandi catene. Ad esempio, non siamo presenti nella Feltrinelli di Largo di Torre Argentina che pure ha uno scaffale dedicato al Medio Oriente sempre aggiornato e dove, ne sono convinta, i nostri libri dovrebbero stare, ma così non è. Non riusciamo ancora a superare questa difficoltà, anche perché siamo in due, quindi o si legge, o si traduce, o si incontrano gli autori, o ci si occupa della distribuzione. Per fortuna possiamo contare ormai su una rete capillare, siamo presenti in almeno una libreria in ogni città, escludendo la regione Sardegna e la città di Bari. Non riusciamo a trovare un distributore che tenga conto di case editrici piccolissime come la nostra; non abbiamo la possibilità di avere un distributore, nemmeno medio piccolo, sia per una questione economica sia per l’imposizione di tempi di pubblicazione che non riusciremmo a rispettare: dobbiamo seguire la nostra programmazione.

Un’anticipazione sulle prossima uscite in libreria e nuovi autori di Ponte33.
Tra un paio di mesi uscirà il romanzo di Sara Salar, scrittrice molto giovane, dal titolo Probabilmente mi sono persa. Narra la storia di una ragazza della Tehran di oggi, sposata e con un figlio, che passa le sue giornate tra feste in casa, uscite con gli amici, ricerca di senso, spaesamenti che contraddistinguono la vita di una giovane donna con una famiglia da portare avanti laddove è protesa invece verso altro. Seguirà Particelle di Soheila Beski, autrice già affermata, una storia scritta da una donna ma con un protagonista maschile. Alla fine del 2013 uscirà un bellissimo e impegnativo romanzo di guerra. In Iran esiste un solido filone di guerra che fa riferimento agli anni del conflitto con l’Iraq, in letteratura e nel cinema.

Cosa ci racconta Ponte33 delle donne scrittrici?
Abbiamo avuto una bellissima sorpresa e ci sono motivi storici ben precisi in Iran. La rivoluzione, per quanto possa essere invisa da parte della popolazione, ha trasformato il Paese profondamente e a mio avviso anche in positivo. La struttura della società iraniana è stata stravolta e sono emersi ceti e gruppi precedentemente esclusi. Si è posto un accento particolare sull’educazione di contadini, sottoproletari, pastori, gente abbandonata in un paese grande cinque volte l’Italia, con pochissime città e fino al ’79 con comunicazioni interne quasi inesistenti. Sono state aperte ovunque scuole superiori e recentemente anche università: oggi esiste un’università in ogni città iraniana medio-grande. Ciò ha comportato un aumento di acculturazione per tutti e in particolare per le donne. Si può dire che in Iran, dopo la rivoluzione, sia stato fondamentale il concetto di chador passepartout, ‘velo-lasciapassare’: anche le famiglie più religiose, tradizionaliste e povere hanno mandato le figlie a scuola poiché il fare ormai parte di una repubblica islamica proteggeva l’onore delle donne. Il livello dell’istruzione femminile è cresciuto vertiginosamente. Un altro motivo che spiega la maggiore partecipazione delle donne in campo culturale e letterario è il desiderio di socializzazione e confronto, di uscire di casa per incontrarsi, come conseguenza della rivoluzione e del successivo conflitto con l’Iraq. Tutto questo si è tramutato in una maggiore capacità di scrivere: un numero crescente di persone ha iniziato a usare l’espressione letteraria per dire qualcosa. Prima la letteratura era appannaggio dei ceti culturali più elevati, che spesso studiavano in occidente o in scuole occidentali a Tehran, e si scriveva spesso per la classe sociale da cui si proveniva o per istruire le masse in maniera pilotata. Dopo la rivoluzione è nata una scrittura più libera: si scrive perché si vuole scrivere, per tutti e non per un determinato ceto sociale, perché si vogliono esprimere riflessioni sulla propria condizione. È una letteratura che raggiunge un numero maggiore di persone: ci sono più lettori e scrittori. Le donne sono la maggioranza, sia come lettrici sia come scrittrici.

Che cosa pensa del libro culto Leggere Lolita a Tehran?
Si tratta di un punto di partenza in negativo per noi di Ponte33. Si legge un bel libro, scritto molto bene e con una buona descrizione di ciò che è avvenuto a Tehran dopo la rivoluzione in un ambiente, come quello universitario, nel quale stava avvenendo una grossa trasformazione. La seconda parte è però meno interessante e meno sincera. A colpire di più, però, è come il libro sia stato letto in occidente: a oltre vent’anni dalla rivoluzione è stato percepito come una fotografia della realtà iraniana attuale, senza tenere conto che nel frattempo questa realtà era cambiata radicalmente. L’Iran negli ultimi trent’anni è entrato nella modernità. Questo tipo di letteratura che non tiene conto di sfumature e complessità, prodotta con un occhio al risultato commerciale, indubbiamente ottimo, non è letteratura. E non riflette la realtà del Paese.

Quali sono le fiere del libro nazionali fondamentali per una casa editrice come Ponte33?
Abbiamo partecipato al Salone Internazionale del Libro di Torino, all’interno del progetto l’Incubatore, ed è stata un’esperienza molto positiva, iniziativa della quale sottolineo l’importanza e la necessità per una realtà editoriale come Ponte33. Abbiamo partecipato anche a Buk, fiera della piccola e media editoria di Modena e al Pisa Book Festival, dove abbiamo trovato l’ambiente migliore in assoluto: molta curiosità, la ricerca delle novità delle piccole case editrici, buone vendite.

C’è stato qualche effetto dal punto di vista delle vendite con l’uscita del film Una separazione tratto dal romanzo da voi edito A quarant’anni?
No, non direi. Si smuovono le acque ogni volta che dei nostri libri ne scrive un giornale con una buona recensione: ad esempio sul libro A quarant’anni di Nahid Tabatabai è uscita una lunga recensione di quasi due pagine su «Io donna» e articoli come questo fanno la differenza che tocchiamo con mano.

Buoni propositi per il 2013?
Stiamo per lanciare un nuovo progetto, una collana di e-book in inglese, alcuni di questi autori ci hanno ceduto i diritti per tutto il mondo. Ci stiamo preparando a questa nuova esperienza.

Leggi la recensione di I fichi rossi di Mazar-e Sharif .
Qui il commento alla copertina.

I fichi rossi di Mazar-e Sharif

I fichi rossi di Mazar-e Sharif – Mohammad Hossen Mohammadi (Ponte33)

I fichi rossi di Mazar-e SharifRecensione di Rossella Gaudenzi

«Ho sete, e la faccia grondante di sudore, il respiro bollente. Sento che qualcuno mi sta leccando il braccio che esce dalla manica strappata. Mi giro verso il mio vicino. È lui che me lo sta leccando. Sta leccando il sudore salato del mio corpo che non si lava da giorni. Sento ancora più sete. L’uomo smette di leccarmi il braccio e mi guarda. Nel buio scorgo la luce dei suoi occhi e poi sento la sua lingua che riprende a raccogliere il sudore del mio braccio».
Dove si trova, quanto è grande e che (razza di) luogo è Mazar-e-Sharif? Questo viene da chiedersi per prima cosa scorrendo con timore i racconti della raccolta dell’afgano Mohammad Hossen Mohammadi I fichi rossi di Mazar-e Sharif. E ancor meglio ci si domanda: quanto sono distanti da me, dalla mia famiglia, dalla mia civiltà, nel tempo e nello spazio, le atrocità fin qui narrate? Mazar-e-Sharif è il più grande centro urbano dell’Afghanistan settentrionale, sorta nei pressi dell’antica Balkh, città dello zoroastrismo, recante tracce del passaggio di Alessandro Magno e ad oggi conta una popolazione di circa 800.000 abitanti. Gli orrori narrati da Mohammad Hossen Mohammadi si sono compiuti e continuano a compiersi qui. Dietro le quinte di una guerra che si protrae da dodici anni senza un reale accenno di interruzione.
La lettura dell’opera di Hossen Mohammadi quantomeno disturba. Ci si ritrova per le mani quattordici racconti non da leggere d’un fiato ma da centellinare e diluire in acqua zuccherata: storie di corpi putrescenti, di mutilati di guerra sfruttati, di abusi subiti e inflitti, di prostituzione necessaria alla sopravvivenza, di faide, di follia generata dall’esperienza della guerra. Le voci narranti si mischiano, a creare sapientemente caos nell’ordine degli eventi: si passa dalla voce di tre morti – lo scrittore fa parlare anime che osservano disseppellire i propri cadaveri –, tre miseri contadini freddati nel tragitto verso i campi, alla voce dei testimoni dell’uccisione, alla voce dell’assassino. E ancora: il grido del prigioniero che cerca di sopravvivere all’asfissia in un container è sormontata da quella del carnefice che nello stesso container di lamiera ha stipato decine di uomini affinché muoiano sotto il sole cocente e possano poi essere scaricati  in una fossa comune.
L’autore sembra registrare e trascrivere il pensiero dei personaggi in quattordici storie che hanno in comune la totale assenza di giudizio. Ogni racconto, nella sua drammatica oggettività, potrebbe essere la fedele testimonianza dell’esperienza di un uomo o di una donna il cui unico fine è quello di non soccombere alla guerra. Realismo e lirismo convivono nella prima raccolta di racconti data alle stampe del giovane Mohammad Hossen Mohammadi.
«Quando si affacciò nel cortile, il sole che era sorto dietro l’albero dei fichi l’abbagliò. Strizzò gli occhi e guardò le punte delle foglie che luccicavano sotto i raggi. Andò nell’angolo assolato del cortile dove si trovava l’albero e guardò tra i rami e le foglie alla ricerca di un fico. Ne avvistò uno turgido e bello rosso. “Come il fuoco!” esclamo. Se ci fosse stato il padre avrebbe detto: “Come le guance di Zara!” e gliele avrebbe pizzicate». Rosso come il sangue che in Afghanistan scorre copioso e si mischia alla polvere di un deserto in cui basta un nonnulla per uccidere o essere uccisi.
La copertina del libro, da ammirare nella doppia raffigurazione fronte-retro, è una preziosa e riuscita opera di Iman Raad, interprete della nuova generazione di illustratori iraniani.

Nota sull’autore
Nato nel 1975 inAfghanistan a Mazar-e-Sharif e cresciuto in Iran, Mohammad Hossen Mohammadi torna nel suo Paese dopo aver conseguito il diploma per studiare medicina, ma l’arrivo dei Talebani lo costringe a tornare precipitosamente in Iran. Rientra nel 2010 aKabul, quando è ormai scrittore affermato, dove tuttora vive e ha fondato una casa editrice per promuovere giovani scrittori. Collabora con diverse riviste letterarie e dirige la Casa della Letteratura afgana; è direttore del dipartimento di giornalismo dell’Università Ibn Sina. Anjirha-ye sorkh-e Mazar (I fichi rossi di Mazar-e Sharif), opera del 2004, è la sua prima raccolta di racconti con la quale ha vinto i premi Golshiri, Mehregan e Isfahan. Successivamente ha pubblicato due romanzi, una seconda raccolta di racconti e diversi saggi di storia e di critica letteraria. 

Mohammad Hossen Mohammadi, I fichi rossi di Mazar-e Sharif
traduzione dal persiano di Narges Samadi

Ponte33, 2012
pp. 144, euro 16

Qui il commento alla copertina
Qui l’intervista a Felicetta Ferraro di Ponte 33