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Un libro si pubblica. La parola all’editore Ponte33 (1)

COSA SI FA CON UN LIBRO? prima edizione Roma

Cosa si fa con un libro? Un libro si pubblica. La parola all’editore.
Giovedì 9 aprile, alle 21 – Bianca Maria Filippini di Ponte33

La piccola casa editrice Ponte33 , fondata nel 2008 da Bianca Maria Filippini e Felicetta Ferraro, ha vinto il Premio Nazionale per la Traduzione 2013.

In attesa di conoscere questa sera Bianca Maria Filippini riproponiamo la nostra intervista alla giovane docente di letteratura persiana.

locandina_9apr_web«Nel nostro caso è stato premiato il coraggio della scelta editoriale, volersi dedicare alla letteratura in lingua persiana, scelta mirata, con quel che comporta e le difficoltà del caso. Punto forte è stato il tentativo di svelare l’essenza di un Paese, il ricomporre un puzzle dell’Iran che sfugge ai più, in quanto le informazioni che abbiamo sono poche e solo di un certo tipo, con risultato sempre fosco».

«La motivazione forte nella creazione della casa editrice è stata quella di dare visibilità a traduzioni che sarebbero altrimenti rimaste nel mondo degli iranisti e forse non avrebbero neppure avuto quell’accoglienza che invece stanno avendo».

 

IL COMODINO DEI SERPENTI – Il comodino di Elena Refraschini (marzo 2015)

comodino_coverIL COMODINO DEI SERPENTI – Rubrica dedicata ai libri sul comodino

Il comodino di Elena Refraschini 

Il mio comodino è, in questo periodo, un comodino “geografico”.

Il primo libro in lettura è I demoni del deserto del giornalista di origine iraniana Bijan Zarmandili (Nottetempo 2011): la storia delicata e struggente di Agha Soltani e la nipote, due sopravvissuti al terremoto di Bam che nel 2003 ha quasi completamente raso al suolo la città patrimonio dell’Unesco e ucciso un terzo della popolazione. Avevo scoperto questo titolo in occasione del Salone di Torino, pochi mesi prima del tanto atteso viaggio in Iran. Allora non potevo sapere che di lì a poco avrei conosciuto Elahe, unica sopravvissuta della sua famiglia al tragico evento. Ora, non posso non leggere questo romanzo come un’accorata ode alla forza, alla resilienza e al coraggio degli iraniani.

Probabilmente mi sono persa di Sara Salar (tradotto da J. Nassir) è l’ultimo romanzo della casa editrice Ponte33, a noi molto cara (tra l’altro incontreremo l’editrice Bianca Maria Filippini il 9 aprile in occasione del sesto appuntamento di Cosa si fa con un libro?). Pubblicato in patria nel 2009 e giunto alla ventiquattresima ristampa, ha riscosso un enorme successo di pubblico: solo allora la censura è intervenuta, bloccandone la circolazione. La protagonista si è trasferita a Tehran dalla lontana provincia del Baluchistan, dove viveva una vita dal grande rigore morale; da studentessa a Tehran si trova persa, ha tradito la famiglia, la migliore amica, sé stessa. La particolarità di questo romanzo è la scrittura tormentata, frammentata: mi piace la definizione di Bianca Maria Filippini, che l’ha chiamata “cubista”.

L’élégance du hérisson di Muriel Barbery è il bestseller Gallimard del 2006, pubblicato in Italia da e/o. Non posso dire molto altro su questo titolo, dato che il mio francese molto arrugginito mi consente di leggere non più di tre pagine a sera. Mi ha portata a riflettere, però, su quanto sia bello leggere in un’altra lingua, soprattutto quando si era convinti di ricordarsi quattro parole.

Il quarto libro è un divertente ed erudito saggio dello scrittore Graham Robb, del quale avevo apprezzato anni fa la biografia dedicata a Rimbaud pubblicata da Carocci. È un vero peccato che questo The Discovery of France non sia (ancora) stato tradotto in italiano: è il risultato di più di 20.000 km percorsi in bicicletta (e quattro anni di studio in biblioteca) per capire che cosa significa, oggi, essere francesi.

Qui gli altri comodini.

Il comodino di Elena Refraschini

Il comodino di Elena Refraschini

A Ponte33 il Premio Nazionale per la Traduzione 2013. Intervista a Bianca Maria Filippini

di Rossella Gaudenzi

Il 3 marzo alle ore 11, presso la Sala Santa Marta in piazza del Collegio Romano, Ponte33 ha ricevuto “il massimo riconoscimento dello Stato a favore di quanti sono impegnati nell’attività di traduzione e dialogo tra culture diverse. I premi infatti sono destinati a editori e letterati italiani e stranieri che abbiano contribuito alla diffusione della cultura italiana all’estero e della cultura straniera nel nostro Paese”.

Abbiamo intervistato Bianca Maria Filippini che, insieme a Felicetta Ferraro, ha fondato Ponte33.

Bianca Maria Filippini

Ci puoi spiegare in breve di che cosa si tratta?
Ponte33 ha ricevuto il Premio Nazionale per la Traduzione 2013 nella sezione Premio Speciale. Due sono le tipologie di premio: Premi per l’attività complessiva e Premi speciali. Istituiti nel 1989 dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, questi premi sono assegnati sia a case editrici italiane che si occupano di tradurre in italiano da altre lingue, sia a case editrici straniere che traducono dall’italiano nella loro lingua. Quest’anno i Premi speciali sono stati conferiti a Maria Teresa Orsi, docente di lingue e letteratura giapponese all’Università La Sapienza di Roma che ha speso gran parte della propria carriera nella traduzione, una delle poche (è utile ricordare che il lavoro di traduzione, a livello scientifico, non dà un alto punteggio); alla nostra casa editrice Ponte33; alla casa editrice spagnola Edicions de 1984 e alla casa editrice russa Novoe Izdatel’ Stvo che ha tradotto il Belli. Traduttori e case editrici che fanno della traduzione la loro missione nel campo della narrativa, poesia, saggistica, etc. Quest’anno il premio maggiore è stato conferito a Ilide Carmignani, traduttrice di letteratura spagnola e ispanoamericana, curatrice delle Giornate della Traduzione Letteraria, convegno annuale presso l’Università di Urbino: una vera autorità nel campo della traduzione, ha fatto molto per il riconoscimento della figura del traduttore affinché si guadagnasse un posto dignitoso e di tutto rispetto nel mondo editoriale (gli altri Premi per l’attività complessiva sono stati assegnati a Juan Carlos Reche, Spagna; alla casa editrice Guida Editori, Italia; alla casa editrice Agra Publications, Grecia).

Quali sono le motivazioni dell’assegnazione del premio a Ponte33?
Abbiamo partecipato per due anni consecutivi e per l’anno 2013 abbiamo vinto il Premio speciale, nonostante l’esiguità del catalogo (abbiamo presentato la domanda quando erano stati pubblicati quattro dei cinque libri in catalogo). Nel nostro caso è stato premiato il coraggio della scelta editoriale, volersi dedicare alla letteratura in lingua persiana, scelta mirata, con quel che comporta e le difficoltà del caso. Punto forte è stato il tentativo di svelare l’essenza di un Paese, il ricomporre un puzzle dell’Iran che sfugge ai più, in quanto le informazioni che abbiamo sono poche e solo di un certo tipo, con risultato sempre fosco.

Felicetta Ferraro

C’è qualcosa che avreste voluto dire in sede di premiazione?
Siamo salite in due sul podio per ritirare il premio, caso unico; Felicetta Ferraro, che ha parlato per entrambe, ha giustificato la presenza di due rappresentanti spiegando che la casa editrice Ponte33 è costituita esclusivamente da noi due. Oltre a esternare la gioia e la sorpresa, avrei detto che nel nostro caso la straordinarietà è l’essere giunte a crearla, una casa editrice, per dare spazio alle traduzioni: sapendo che nel mondo editoriale sarebbe stato difficile proporre qualcosa di simile, abbiamo deciso di essere editori e traduttori allo stesso tempo, pur avvalendoci dell’aiuto prezioso e della collaborazione di altre persone. La motivazione forte nella creazione della casa editrice è stata quella di dare visibilità a traduzioni che sarebbero altrimenti rimaste nel mondo degli iranisti e forse non avrebbero neppure avuto quell’accoglienza che invece stanno avendo: in fondo gli artisti iraniani contemporanei, sia che lavorino nel campo della letteratura sia in quello del cinema, ad esempio, non trovano ancora molto spazio nel mondo accademico.

Qual è il riscontro per il lavoro fatto e che state portando avanti?
Abbiamo conferme continue, quotidiane, della forza del progetto. Lo diceva a commento di questa cerimonia Felicetta Ferraro: abbiamo l’impressione che le nostre iniziative risveglino qualcosa di sopito nelle persone, come se la gente sapesse che dietro quel poco che si conosce dell’Iran c’è un ricchissimo mondo da scoprire. Come toccare un pulsante che accende la voglia di conoscere. La risposta c’è, e sorprendentemente, non c’è alcuna diffidenza.

E qual è la reazione da parte degli iraniani che vivono in Italia?
C’è molto orgoglio per il nostro lavoro di diffusione della loro cultura. In un certo senso siamo un ponte anche per loro, poiché alcuni autori che stiamo proponendo, molti dei quali giovani, non erano conosciuti dagli iraniani che vivono in Italia da molto tempo. Abbiamo ricevuto in occasione di questo premio molte richieste di tradurre, al contrario, opere italiane in persiano, perché gli iraniani che vivono in Italia hanno svolto questo lavoro facendo da ponte per diverso tempo, ma nella dimensione privata. E adesso, riconoscendo anche il nostro ruolo, ci sono state avanzate queste richieste, ancora da valutare: la nostra è una realtà piccola, abbiamo difficoltà a reintegrare e reinvestire, le strategie da elaborare sono ancora strategie di sopravvivenza, sebbene  sarebbe proprio questo il momento di fare un salto del genere, i presupposti ci sono.

Come sono i rapporti con i vostri collaboratori stranieri?
Splendido il rapporto con il nostro giovane grafico Iman Raad, che ci ha seguite nell’impresa, tanto da rimanere sorpreso egli stesso del successo riscosso in Italia. Peraltro le copertine non erano il suo punto forte, sta quindi esplorando un campo, attraverso Ponte33, divenuto per lui una possibilità. Si è da poco trasferito negli Stati Uniti, seguendo la moglie, anch’essa artista promettente ora impegnata in un corso di studi presso una prestigiosa università americana. Abbiamo temuto di perderlo ma fortunatamente non ha intenzione di abbandonare l’impresa. L’Italia è ancora per molti iraniani il Paese delle grandi possibilità: è molto triste dover sempre ridimensionare le aspettative, anche degli scrittori che sono abituati ai grandi numeri, perché in Iran ci sono i grandi numeri, sia nelle tirature sia nelle vendite.

Un elemento di forza attribuito a Ponte33 è il saper rendere la vera anima dei paesi toccati, fino a raccontarne gli interstizi.
All’autrice del primo romanzo Come un uccello in volo,  Fariba Vafi, è stato chiesto perché non menzionasse mai il foulard (rusari) nei suoi libri. La risposta: «Perché, voi sottolineate il fatto che indossate le scarpe quando uscite di casa?». Abbiamo iniziato la nostra avventura traducendo questo libro che sembrava privo dei simboli noti di un Iran ormai stereotipato. Ma appunto, chi l’Iran lo ha conosciuto ha affermato di aver riconosciuto attraverso i nostri libri gli odori, i sapori. Ovviamente una Fariba Vafi non ha mai immaginato di poter essere letta da un pubblico italiano, e ha sempre scritto, come è giusto che sia, senza preconcetti, senza preconfezionare un prodotto. Qualcuno all’inizio può rimanere deluso, poi si riflette, ci si dice che queste donne e uomini sono come noi; si cerca quindi nel libro successivo non l’elemento esotico, ma quel che ci lega e ci rende più vicini.

Qui i nostri approfondimenti su Ponte33.

IL COMODINO DEI SERPENTI – Il comodino di Rossella Gaudenzi (marzo 2014)

IL COMODINO DEI SERPENTI – Rubrica dedicata ai libri sul comodino

Il comodino di Rossella Gaudenzi

«Egli era bello, e la cosa, al nostro orecchio, come siamo avvezzi a pensare la bellezza, può non voler dire nulla. Ma una qualità rara e indefinibile della sua mente, l’ardore, l’ampliava rendendo quel giovane volto simile a un sole talvolta, a una notte lunare talaltra; mentre quasi eternamente emanava da lui la luce e la dolcezza stordente di una marina ionica nel mese di maggio. Era anche come un bosco in aprile, quando si sciolgono le nevi e i rami delle betulle dondolano simili a sottili braccia d’oro, braccia di bambine. A bella posta abbiamo usato queste espressioni retoriche; senza la retorica, nulla di serio e di vero può essere detto, mancando quel falso ch’è misura o supporto del vero. Almeno è questa la nostra convinzione».

Ho acquistato Il cardillo addolorato di Anna Maria Ortese (Adelphi, 1993) a pochi euro presso la libreria romana di nuovo e usato L’Arcobaleno, nel quartiere Prati. Iniziava la primavera, la primavera di un anno fa; il libro è stato amorevolmente impilato insieme ad altri, i “non troppo urgenti” e dopo un trasloco e il passaggio di collocazione dalla nuova libreria al comodino, lo leggo rapita. Scorrendo le pagine mi sembra di procedere a lunghe falcate, con l’istinto di accelerare il passo, non fosse che poi il piacere della lettura si esaurirebbe troppo rapidamente. In quest’opera della romana, schiva scrittrice amante di Napoli, si impone con forza la prosa visionaria, suo tratto distintivo. In una Napoli di fine Settecento tre giovani viaggiatori di Liegi si mischiano irreversibilmente alle vicende misteriose e avvolte di malìa di una famiglia di guantai. Emergono personalità controverse, figure dalla sensibilità medianica, scomode sfumature dell’animo umano. Una lettura che attrae e al tempo stesso incute timore.

La necessità, in questo caso, è quella di colmare le mie deficienze quanto a letteratura americana. Cosa aggiungere di significativo su Pasto nudo, il più famoso romanzo di William S. Burroughs  suggerito da Jack Kerouac. Non ho capito che cosa volesse dire fino alla mia recente guarigione. Il titolo significa esattamente ciò che le parole esprimono: Pasto NUDO –  l’istante, raggelato, in cui si vede quello che c’è sulla punta della forchetta».

Particelle di Soheila Beski (traduzione di M. Vitalone, Ponte33, 2013) mi è giunto in dono, inaspettatamente, dall’amata piccola casa editrice Ponte33. Un anno fa mi sono appassionata alla scommessa di diffondere la letteratura contemporanea in lingua persiana di Felicetta Ferraro e Bianca Maria Filippini e ho apprezzato le dure pagine della raccolta di racconti I fichi rossi di Mazar-e Sharif dell’afghano Mohammad Hossen Mohammadi. Particelle è un’opera di Soheila Beski, figura significativa di intellettuale iraniana, scrittrice, traduttrice e critica letteraria. Questo libro, scritto nel 2009, narra di un sessantenne iraniano senza virtù, in bilico tra un mondo – ipocritamente – tradizionalista e una tecnologia che travolge e sconvolge ad altissima velocità il suo Paese. L’accattivante copertina di Particelle, come le copertine di tutti i libri in catalogo di Ponte33, è opera del giovane artista Iman Raad, in linea con la volontà della casa editrice di diffondere il ricco patrimonio grafico iraniano. Ho appreso con gioia che a Ponte33 è stato recentemente assegnato il Premio Nazionale per la Traduzione 2013.

Il gioiello del mio comodino, nonché il libro della buonanotte è Le fiabe di Hans Christian Andersen, a cura di Noel Daniel (Taschen, 2013). Un regalo di compleanno ricevuto da una persona amica che non cessa di stupirmi con il suo bagaglio di conoscenza e sensibilità. Un libro di grande bellezza, a partire dalle sensazioni tattili, iniziando con il toccare la copertina di tela azzurra, le scritte dorate e le illustrazioni a rilievo. Le fiabe, note e meno note, le apro a caso, leggo e rileggo, sfoglio ammirando talvolta solamente le illustrazioni. Questa raccolta, a cura di Noel Daniel, ha il valore aggiunto di racchiudere le illustrazioni realizzate tra il 1840 e gli anni ’80 del Novecento da artisti  celebri come Kay Nielsen, Lotte Reiniger, Tom Seidmann-Freud (la nipote del padre della psicanalisi) e talentuosi artisti più recenti. In più una corposa introduzione, note storiche, un’appendice con le biografie degli artisti, i capilettera all’inizio di ogni fiaba decorati con viticci di pisello «in omaggio alla capacità di Andersen, unica e magica, di trovare la bellezza e dare valore anche alle cose più piccole e semplici». Lo apro, lo tocco, lo sfoglio, lo ammiro, lo leggo e rileggo. E poi chiudo gli occhi.

I primi di gennaio, la scelta dell’agenda è caduta sull’ormai celebre Scarceranda, agenda autoprodotta dal 1999 da Radio Onda Rossa, con il motto: «contro il carcere giorno dopo giorno, perché di carcere non si muoia più, ma neanche di carcere si viva». Parole sufficienti per acquistarla. È il mio covo di pensieri, progetti, successi e insuccessi, e come ospite in terra straniera ha trovato felicemente posto, sul mio comodino, insieme ai libri.

Qui gli altri comodini.

Il comodino di Rossella Gaudenzi