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#4 – Letture d’autore, una conversazione con Pierluigi Lucadei

MUSICA PER CAMALEONTI – Rubrica dedicata ai suoni della letteratura

di Emanuela D’Alessio

Quale sede migliore della rubrica Musica per camaleonti per parlare con Pierluigi Lucadei nella sua veste di autore?
Oggi 21 novembre, infatti, arriva in libreria il suo nuovo libro Letture d’autore (Galaad Edizioni), una raccolta di venticinque interviste a cantanti e musicisti italiani che indaga sullo stretto e spesso indissolubile rapporto fra musica e letteratura.

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Letture d’autore prosegue, ribaltandone la prospettiva, un’esplorazione avviata con Ascolti d’autore, uscito nel 2014 sempre per Galaad Edizioni. In quel caso Lucadei tracciò un quadro dei gusti, ricordi e idiosincrasie musicali di venticinque scrittori, italiani e internazionali.
Oggi, invece, con un approccio originale e intrigante indaga le modalità con cui un autore musicale si lascia influenzare e assorbire dalle proprie letture, stimolando la riflessione sul ruolo che musica e letteratura hanno nella nostra vita.
Un viaggio appassionato nel mondo musicale italiano contemporaneo che diventa percorso e scoperta letteraria. Tutti gli intervistati, musicisti di professione e di successo, sono anche appassionati lettori, alcuni di loro sono diventati apprezzati scrittori, e tutti hanno scritto almeno una canzone ispirata a un libro letto o a un autore.
Alla fine se ne esce un po’ frastornati e con alcune certezze incrinate. Non è vero che chi scrive canzoni non possa scrivere romanzi, o viceversa; non è vero che musica e letteratura siano da considerarsi comunque due categorie distinte.
Pierluigi Lucadei ce lo dimostra con semplicità e leggerezza.

Che tra musica e letteratura non esistano distinzioni o gerarchie di valore sembra essere stato sancito definitivamente con l’assegnazione del Nobel per la letteratura a Bob Dylan, il 13 ottobre scorso. Ma l’acceso e anche polemico dibattito che la decisione ha scatenato sembrerebbe dimostrare il contrario. Che cosa ne pensi?
È un dibattito solamente europeo. Mentre in America Joyce Carol Oates e Don DeLillo, che qualche motivo per essere delusi ce l’avrebbero, gioiscono pubblicamente per il vincitore, noi continentali ci sorbiamo le lamentele di Irvine Welsh e Alessandro Baricco. Se devo entrare nel merito del cosiddetto dibattito, per un gigante come Dylan a me il Nobel sembra il minimo.

Nei giorni scorsi è scomparso Leonard Cohen che, come tu stesso hai ricordato, prima di diventare l’inarrivabile cantante che tutti abbiamo conosciuto, è stato scrittore e poeta. Insomma, le due arti non si escludono a vicenda, ma nemmeno si influenzano a ogni costo. Ci sono musicisti che non hanno mai provato il desiderio di scrivere un romanzo, e scrittori di talento che sono anche degli ottimi musicisti. Mi pare che gianCarlo Onorato (una carriera da leader degli Underground Life e poi da solista, nonché autore di diversi libri) abbia fornito la sintesi più condivisibile (almeno per me): «Non mi sono mai pensato scrittore o musicista, sono ciò che riesco a essere nel momento in cui faccio qualcosa». Che cosa ne pensi?
Non immedesimandosi in alcuna categoria, Onorato riesce a sentirsi uno scrittore quando suona musica e un musicista quando scrive. C’è sempre una narrazione dietro le due forme espressive. Se si sceglie di raccontare una storia con una canzone invece che con un racconto è perché si ritiene di poterla narrare meglio con poche e precise parole, se c’è una musica ad accompagnarle. Leonard Cohen ha finito con il misurarsi sempre più spesso con il testo poetico e con il testo canzone, non dando seguito alle prove narrative della prima parte della sua carriera, perché era spaventato dall’imponderabile contenuto delle sue stesse frasi. Per un autore eccelso come lui, l’ossessione per la brevità è stata la spinta a scrivere alcuni dei versi più belli che la storia della canzone abbia mai conosciuto.

Leonard Cohen Photo by Michael Ochs Archives/Getty Images

Leonard Cohen Photo by Michael Ochs Archives/Getty Images

Quale tipo di risposta hai ricevuto alla domanda, più o meno ricorrente nelle interviste, di spiegare in che cosa si assomigliano e si distinguono musica e letteratura?
Credo che un romanzo debba trovare un lettore disposto a dimenticarsi di sé stesso per tutto il tempo della lettura. Se si sottoscrive all’inizio questo tacito patto, un buon romanzo non può che toccare nel profondo chi legge. La musica, invece, possiede un elemento fondamentale che manca alla letteratura, quello dionisiaco. Non solo la musica non vuole escludere l’ascoltatore, ma vuole travolgerlo. Questo è ciò che penso io e, tra gli autori intervistati, è anche Niccolò Fabi a pensarla più o meno così quando dice che la letteratura è più utile per conoscere altro, la musica per conoscere sé stessi.

Facciamo un passo indietro e parliamo dei protagonisti del tuo libro, rappresentanti di un panorama molto variegato del mondo musicale italiano, dal rock degli anni Ottanta in poi. Alcuni di loro si sono cimentati con la scrittura, altri non hanno mai pensato di scrivere un romanzo. Quali criteri hai utilizzato per selezionarli e con quali obiettivi?
Dai Diaframma ai Baustelle, dai Cccp agli Afterhours, dai Moda al Teatro degli Orrori, volevo che ci fossero tutte le generazioni del rock italiano da quando quest’ultimo ha acquisito un’autorevolezza tutta nuova e cioè dagli anni Ottanta in poi. E poi ho voluto coinvolgere autori difficilmente classificabili come Paolo Benvegnù, Marco Parente, Bugo, Patrizia Laquidara, giovani molto interessanti come Colapesce, Giuliano Dottori, Levante e musicisti come Niccolò Fabi o Nada, che, pur essendo partiti da latitudini sanremesi, sono stati capaci col tempo di disegnare coraggiose parabole artistiche sempre più lontane da rotte radiofoniche e commerciali.

Anche le interviste, pur seguendo una traccia comune, sono differenti tra loro. Con ognuno hai intrattenuto un discorso personale, diretto, esclusivo. È questo uno degli aspetti più interessanti del libro. Dopo quanto tempo sei arrivato al risultato finale e dopo quali percorsi?
È stata una scelta giornalistica di partenza quella di non proporre a tutti gli intervistati lo stesso set di domande, ma di intrattenere con ciascuno di loro una chiacchierata che fosse il più possibile mirata su background e percorsi diversi. Ho impiegato quasi due anni per raccogliere tutte le interviste. Alcuni degli autori, quelli con i quali si è stabilito nel tempo un rapporto d’amicizia, hanno aderito subito a scatola chiusa. Per riuscire a intercettare gli altri ho dovuto invece aspettare che uscisse il loro nuovo disco e partisse una vera e propria promozione.

Ad alcuni hai chiesto di individuare uno scrittore che meglio di altri ha parlato della loro città o terra di origine (da Roma a Milano a Firenze, dalla Calabria alla Sicilia). È uscito fuori un piccolo atlante geografico letterario. Ce ne parli brevemente?
Mi intrigava conoscere il rapporto dei musicisti con gli scrittori della propria terra. E mi sono accorto che, per esempio, ogni siciliano che ho intervistato è intriso dei libri di Sciascia, Bufalino, Pirandello, Capuana, Verga. La risposta migliore è stata però quella di Manuel Agnelli: il romanzo che secondo lui racconta meglio Milano è americano, Daisy Miller di Henry James, che, tra l’altro, è ambientato a Roma.

A tutti hai chiesto di indicare i tre romanzi preferiti della vita. Ho potuto comporre un variegatissimo catalogo dove i classici russi (Dostoevskij in testa) se la battono con i classici e contemporanei americani (da Faulkner a Cormac McCarthy, passando per Henry Miller e Philip Roth). Ma gli autori citati sono molti altri, hai qualcuno di sorprendente da segnalare?
Se utilizzassimo un pallottoliere per raccogliere le preferenze, oltre ai classici della letteratura russa e americana, nelle prime posizioni troveremmo anche autori italiani come Buzzati e Calvino e Lo straniero di Camus, che sembra aver sconvolto e segnato molti musicisti. Ma ci sono anche scelte del tutto inaspettate. Che ne dici dell’Ercole Patti de Gli ospiti di quel castello?

Hai anche chiesto di indicare lo scrittore più odiato. Qualche sorpresa?
Cristiano Godano dei Marlene Kuntz è allergico alla prosa di Thomas Bernhard. Ero convinto che un romanzo come Il soccombente fosse perfettamente nelle sue corde.

Molti dei musicisti intervistati hanno pubblicato uno o più libri, Colapesce ha scritto una graphic novel. Ne hai letto qualcuno e, se sì, puoi esprimere un giudizio spassionato?
Certo, ne ho letto diversi. Tra i musicisti italiani, il vero scrittore è Emidio Clementi, riconosciuto come tale anche dai suoi stessi colleghi. I suoi libri non sono mai stati dei tentativi velleitari di misurarsi con un’altra forma espressiva, tutto il contrario, mi sono sempre sembrati una naturale prosecuzione di quanto fatto in musica con i Massimo Volume.

Con Letture d’autore la tua esplorazione tra musica e letteratura si è conclusa?
No. Il rapporto tra musica e letteratura è un tema troppo poco dibattuto in Italia e le interviste raccolte, dando voce ai diretti interessati – musicisti e scrittori – sull’argomento, non sono che uno dei possibili punti di partenza per approfondirlo.

Pierluigi Lucadei

Pierluigi Lucadei

Quali sono i tre romanzi della tua vita?
Avendo preteso una risposta da tutti i musicisti intervistati, non posso sottrarmi al gioco, anche se è davvero complicatissimo per me scegliere tre romanzi. L’unico modo per rispondere è pensarci meno possibile e dirti i primi che mi vengono in mente. Tropico del capricorno di Henry Miller: letto all’età giusta può convincerti che la cosa più eccezionale e assurda che si possa fare nella vita è diventare uno scrittore. Il libro nero di Orhan Pamuk: indimenticabile viaggio letterario in quel continuo mescolarsi di vero e falso, possibile e impossibile, paradiso e inferno che è il Bosforo. L’avversario di Emmanuel Carrère: più passa il tempo e più diventa difficile farsi sconvolgere dalla lettura di un romanzo e, recentemente, non ne ricordo uno che mi abbia sconvolto più di questo.

Letture d’autore
di Pierluigi Lucadei
Galaad edizioni, 2016
pp. 158, 14€