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Musica per camaleonti #5 – Slumberland, il ritmo perfetto trasformato in prosa

MUSICA PER CAMALEONTI – Rubrica dedicata ai suoni della letteratura

di Pierluigi Lucadei

Slumberland non è il solito romanzo musicale, ma un ritmo travolgente che con un colpo di teatro Paul Beatty ha trasformato in prosa. Appena riproposto da Fazi con una nuova veste grafica dopo il trionfo dello scrittore losangelino all’ultimo Man Booker Prize con Lo schiavista, Slumberland mostra un Beatty al suo meglio, ironico, graffiante, disinibito e stonato.

slumberlandI fatti si svolgono in un luogo e un tempo cruciali per capire ciò che siamo diventati: Berlino, 1989. Il Muro non è ancora caduto (ma cadrà a metà del romanzo), e DJ Darky si reca in Germania per trovare il misterioso Charles Stone detto Schwa, nome di culto del free jazz di cui sono perse le tracce, l’unico in grado di completare il ritmo irresistibile scritto da Darky e di trasformarlo in qualcosa di imperfettibile, in una Gioconda musicale.
Darky ricorda per mezzo di suoni, memorizza attraverso fruscii, silenzi, frastuoni, e la sua incrollabile fiducia nel ritmo perfetto che ha in potenza lo porta a suggellare incanti sonori con la nonchalance del predestinato, a vivere la propria negritudine con l’imperturbabilità di un jazzista fumato, a sedurre donne come solo un vero alchimista sa fare. Si paga da vivere lavorando come jukebox sommelier allo Slumberland Bar, un locale nel quale l’amore platonico è bandito, in cui se sei nero e sai battere il piede a ritmo di funk hai altissime probabilità di ritrovarti seduto al tavolo «stretto tra donne bianche adoranti».
Cerca delle risposte e non ha ben chiare le domande, ma sa per certo che lo Schwa può aiutarlo a districare la sua matassa esistenziale, anche solo con una nota. L’amore stesso è un fenomeno acustico. Per non parlare dell’identità di un uomo privo di inni politici, interessato soltanto al suo beat salvifico, «la confluenza tra melodia e cadenza che trascende lo stato d’animo e il tempo. Un ritmo che si possa fischiettare, tamburellare sopra il bancone di una tavola calda, o sparare a tutto volume dagli altoparlanti merdosi e sottomodulari dello stereo della macchina, senza che perda mai la propria gravità marciata. Un ritmo che avrebbe spinto tutte le signore dentro la casa a esclamare “Ehi!”, senza però provenire da un rapper in concerto in presa a un assoluto bisogno di presenza scenica…. Un ritmo senza tempo, che non sarebbe mai diventato ‘buona vecchia musica’, ma sarebbe rimasto per sempre fresco come il pane francese».

Slumberland è un libro col quale scatenarsi, drizzare le antenne, aggrapparsi con le mani alle casse, sfondare muri per costruirne di nuovi, dipingerne i contorni con vernici improbabili, ubriacarsi di playlist da sogno, imitare un’esistenza funkadelica senza accorgersi di averne già vissute più di una, disfarsi dei luoghi comuni e decifrare il proprio io con la migliore lente d’ingrandimento che esista, la musica ovviamente.

Paul Beatty, nato a Los Angeles nel 1962, è stato il primo scrittore americano a vincere il Man Booker Prize, nel 2016 con Lo schiavista (Fazi) in cui ha immaginato, ribaltando la prospettiva, che un esponente della piccola borghesia afroamericana abbia uno schiavo e venga accusato di reintrodurre la segregazione razziale. La questione dei neri si trova anche in Slumberland, il libro precedente, uscito ora in Italia, sempre per Fazi editore. Paul Beatty vive a New York.

Slumberland
Paul  Beatty

Trad. di Silvia Castoldi
Fazi, 2017
pp. 320, 18,50 €