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Perché scrivo? Antonio Moresco

PERCHÉ SCRIVO? – La rubrica dedicata ai perché della scrittura

Antonio Moresco

Perché uno scrive? Sembra osceno che uno scriva per dire a delle altre persone “ecco, io ti riconfermo la tua immagine illusoria del mondo e sulla base di questa cosa cerco la complicità al ribasso, con te lettore…”, mi sembra vergognoso, ignobile, lo scrittore collabora col male se fa un a cosa di questo genere! E allora il fatto di sfondare, di oltrepassare, ma anche di traboccamento torna nelle cose che scrivo. È l’unico modo per far sì che attraverso la cruna della letteratura possa passare qualcosa di grosso.

Quello che abbiamo detto come specie umana è tutto il dicibile? Ma è una cosa che fa ridere! E allora io perché scrivo? Devo scrivere per riconfermare le persone nella loro paurosa idea del mondo, oppure devo accettare anche il dramma, la lacerazione di andare verso qualcosa che mi oltrepassa e che magari mi porta alla catastrofe? Se no non me ne sarebbe fregato niente di scrivere, non avrei scritto niente… Insomma, io ho avuto una grande ribellione nei confronti di questa maniera di leggere il mondo e di questa funzione dello scrittore che diventa un piccolo, povero cane da guardia dell’esistente, o meglio della convenzione dell’esistente, e non son riuscito a starci dentro.

Per me scrivere… io non mi sento una figura sociale, “lo scrittore” non è come “il professore”, “il preside”, “il bidello”. Il mio scrivere addirittura è fuori e contro la società. Sta in una dimensione diversa, dove siamo noi tutti anche se non sappiamo di esserci. A me interessa scrivere in questa maniera, io non mi sento uno a cui è stato dato il permesso di scrivere. Per me lo scrittore è la figura di un ribelle, un ribelle a “trecentosessanta gradi”.

Certe volte qualcuno mi chiede a quale tipo di lettore io mi rivolga. Io non penso a nessun tipo di lettore, non perché mi ritenga in qualche modo migliore di lui per poterlo disprezzare, ma perché se io penso a un pubblico, cercando il minimo comune denominatore, in realtà mi comporto come l’editore che in questo modo crea un’idea mistificante delle potenzialità presenti in ogni singolo lettore. Allora si diventa cinici e io non lo sono e non posso diventarlo, uno scrittore non può essere cinico.

Estratti da interviste ad Antonio Moresco (Café Boheme, 2014; Gabriele Bacci, UniInfoNews, 2015; Oscar Alicicco, Oblique Studio, 2010).

Antonio Moresco è nato a Mantova nel 1947 e vive a Milano. La sua “storia” di scrittore è contrassegnata dall’attesa di pubblicare. A quarantasei anni ha pubblicato la sua prima raccolta di racconti Clandestinità per Bollati Boringhieri. Ha impiegato più di trent’anni per scrivere i tre romanzi Gli esordi, Canti del CaosGli increati (oggi tutti pubblicati da Mondadori). È stato uno dei pionieri del web letterario – sua l’idea di Nazione Indiana prima e de Il Primo Amore poi. La sua vita è stata segnata dalla lotta (a livello politico con una lunghissima militanza nella sinistra extraparlamentare, a livello letterario contro Calvino e Pasolini, e poi lotta contro un mondo editoriale che per molti anni non ha riconosciuto la sua voce). Dopo una lunga gavetta ha finalmente conquistato il riconoscimento: è autore Mondadori, è stato ospite della televisione, è seguito da moltissimi giovani.

Il nome di Antonio Moresco comparirà  nei manuali di letteratura dei nostri figli secondo il sondaggio realizzato dalla rivista  «Orlando Esplorazioni»  dedicato ai “venerati maestri” della generazione di scrittori che oggi hanno tra 50 e 70 anni. I curatori Paolo Di Paolo e Giacomo Raccis hanno interpellato critici e lettori esperti tra i 20 e i 40 anni chiedendo loro di rispondere con tre nomi alla domanda: chi, tra i 50-60enni di oggi, continueremo a leggere in futuro?

Un libro si scrive. La parola allo scrittore Paolo Di Paolo (2)

COSA SI FA CON UN LIBRO? Prima edizione Roma

di Lorena Bruno

Il ciclo di incontri Cosa si fa con un libro? dedicato ai protagonisti della filiera libro, si è concluso il 7 maggio con lo scrittore Paolo Di Paolo.

Prima di lui abbiamo incontrato il libraio Marco Guerra di Pagina 348, l’artigiano dell’editoria Leonardo Luccone di Oblique, l’art director e graphic designer Maurizio Ceccato di Ifix, lo scrittore Davide Orecchio e l’editrice di Ponte33 Bianca Maria Filippini.

Li ringraziamo tutti per avere accettato con entusiasmo di partecipare. Un grazie lo rivolgiamo anche a Claudio Bocci, presidente di Altrevie, che ha voluto inserire la nostra iniziativa nel fitto programma dell’associazione, mettendo a disposizione la propria sede di Via Caffaro 10. E ringraziamo in particolare il pubblico di assidui e attenti ascoltatori che si è avvicendato da un incontro all’altro.

Paolo Di Paolo, prezioso interlocutore della serata, è un giovane autore poliedrico. Ha esordito nel 2004 a soli vent’anni con la raccolta di racconti Nuovi cieli, nuove carte (Empirìa), ha curato libri di interviste come Un piccolo grande Novecento (Manni) con Antonio Debenedetti, ha scritto romanzi come Mandami tanta vita (Feltrinelli), finalista al Premio Strega 2013, ha scritto per il teatro e la televisione e collabora come critico letterario con note testate italiane. Con lui abbiamo indagato il tema della scrittura, l’importanza della lettura e della sua promozione,  il ruolo del Premio Strega, il rapporto con gli editori.

Perché si scrive? «È una delle domande più preoccupanti, cui comunque si è tenuti a rispondere. Bisogna essere consapevoli del perché si scrive. Io lo faccio perché sin da piccolo scrivere era l’attività in cui mi sentivo più a mio agio. Certo, il fatto che venga istintivo scrivere non vuol dire essere scrittori. Si può scrivere solo per sé stessi – la scrittura ha un ruolo terapeutico – ma io non ho mai scritto solo per me. Da piccolo scrivevo per far ridere la mia maestra, ad esempio; avevo uno stile divertente che poi è scivolato verso uno più pensoso. Aspetto una reazione da chi mi legge, cerco di immaginare le persone che spenderanno giorni o qualche ora per leggermi. La mia scrittura è interlocuzione, se non ci fosse un ritorno non scriverei. E poi attraverso la scrittura cerco delle risposte o pongo delle domande che possono restano aperte. Tutto comincia da una domanda, prima ancora di iniziare a scrivere. Ammiro chi sa creare storie, io sono sempre partito da un’esperienza vissuta in prima persona».

Racconti, sceneggiature, romanzi: la motivazione è sempre stata la stessa? «C’è anche una motivazione “alimentare”, non si può vivere di narrativa. Non ho un secondo lavoro, ed è una cosa importante, ma non mi scalda scrivere per la televisione o per i giornali. Se scrivo un articolo posso farlo in treno, in mezzo alla gente, ma se devo scrivere narrativa ho bisogno di un grande silenzio. Ho sempre scritto in seguito a un input, che fosse un tema, una commissione o una domanda… Faccio molta fatica a rileggere quello che ho scritto, ci sarebbero troppe cose da cambiare, correggere o censurare.  Mi viene in mente una frase di Rilke: «Bisognerebbe scrivere un libro solo, alla fine della vita».

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Quali sono le domande all’origine dei tuoi libri? «Per esempio quale rapporto c’è tra la nostra vita privata e quella pubblica, cioè tra quello che siamo intimamente e il periodo in cui viviamo. Quanto può influire su di noi un determinato momento storico? Ognuno è il risultato di questo rapporto, di cui però è difficile individuare che cosa abbia inciso in particolare. Sono queste le domande all’origine di Mandami tanta vita, che parla di Piero Gobetti. La sua è stata certamente un’esperienza intellettuale senza precedenti, se pensiamo che tra i 17 e i 24 anni, tra la fine della Prima guerra mondiale e l’avvento del fascismo fondò e diresse tre riviste che diedero un apporto culturale importantissimo per quegli anni».

L’editoria è in crisi, ma non sembra esserci una crisi dello scrittore. Quali possono essere le motivazioni di chi sceglie il self publishing ? «Bisogna comprendere l’esigenza di scrivere e il suo valore terapeutico, senza liquidare queste cose con disprezzo. In questo periodo c’è uno scollamento tra la lettura e la scrittura. Tutti pensano di saper scrivere, ma quella senza lettura è una scrittura cieca, vacua. Lo scrittore consapevole è l’unico che può sopravvivere al tempo e che può diventare insostituibile. Tra l’altro per chi scrive e si autopubblica si alimenta un meccanismo d’illusione: si evita la mediazione della casa editrice, ma a fare così si diventa presto una goccia nel mare. Ciò che resta è la riconoscibilità dello stile di un autore e per raggiungere questo obiettivo bisogna avere consapevolezza, che deriva solo dalla lettura. Subissato dalle proposte, succede anche che l’editore monitori la rete per vedere se c’è un libro che abbia già attirato attenzione, si monitora una reazione che è di per sé una prova importante».

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La lettura è in crisi quindi bisogna promuovere la lettura? «Non si leggono molti libri, ma è anche vero che non se ne sono mai letti tanti. L’accesso alla cultura è maggiore rispetto a trent’anni fa, ma bisogna cambiare la promozione della lettura. Ho partecipato a #ioleggoperché, non volevo sottrarmi a un’iniziativa che promuovesse la lettura, ma credo sia importante cosa si legge, non il perché. È più coinvolgente parlare dei testi che ci appassionano, come ho avuto modo di sperimentare andando a parlare di libri nelle scuole, che parlare di quanto sia bello leggere in astratto».

Cosa si può fare per risolvere il problema e incentivare la lettura nel modo giusto? «Bisognerebbe capire perché molti non leggono e se questo sia un problema. A mio avviso sì, come anche ritenere che il romanzo sia l’unica lettura possibile. Bisogna tutelare la bibliodiversità: leggere romanzi è importante, ma anche leggere la saggistica lo è. Foster Wallace diceva: «È bello mangiare caramelle, ma se mangi solo quelle finirai per morire». La lettura coincide con l’informazione e con l’esercizio della propria lingua. A volte a chi non legge mancano le parole per far valere le proprie idee. In una classe mi è capitato di parlarne e i ragazzi erano sostanzialmente d’accordo sul fatto che a volte non riuscissero ad affermare la propria opinione perché non sapevano come esprimerla al meglio. Allora ho detto: «Non riuscirete a far valere il vostro pensiero senza la lettura». Ho molto rispetto per il mestiere degli insegnanti, non sopporto che gli si attribuisca tutta la colpa delle lacune del sistema scolastico, ma credo che molti di loro abbiano bisogno di un contatto più fresco con la letteratura contemporanea, a volte sembra che tutto si sia fermato a Calvino.

Da quali narrazioni nasce il tuo amore per la narrazione? «In un libro cerco la forza del racconto e una lingua che sia unica, che sia propria solo di quell’autore. Mi hanno sicuramente influenzato i testi di Giacomo Leopardi prosatore, in particolare gli appunti su alcuni argomenti di cui avrebbe voluto scrivere, in una lingua lirica ed evocativa e una vaghezza tutta leopardiana. Anche Antonio Tabucchi, a cominciare dal suo Sostiene Pereira, mi ha influenzato molto. È stato importantissimo lavorare con lui».

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Premio Strega: dalla tua esperienza di finalista nel 2013 a oggi, con la candidatura molto discussa di Elena Ferrante, c’è stata un’evoluzione? «Su Elena Ferrante ho detto abbastanza, non amo la sua tetralogia, preferisco i suoi primi romanzi come I giorni dell’abbandono. Rispetto chi la stima come autrice, ma non sono d’accordo sulla sua invisibilità, mi sembra un’operazione di marketing. Quanto al premio Strega, ho detto più volte che il fatto di aver pubblicato con Feltrinelli mi ha permesso di essere finalista. Quando nacque il Premio con Maria Bellonci e Guido Alberti nel 1947, le intenzioni erano pure, disinteressate. Dagli anni ’90 in poi è cambiato tutto radicalmente. Bisogna comunque riconoscere che Tullio De Mauro ha reso il sistema di votazione più trasparente. Poi non c’è dubbio: lo Strega serve a vendere e a dare visibilità anche ad autori che altrimenti non ne avrebbero così tanta».

Hai pubblicato con piccoli editori (Empirìa, Perrone) e grandi (Feltrinelli, Bompiani). Com’è il tuo rapporto con gli editori? «Le case editrici minori garantiscono un rapporto più diretto con l’autore, elastico, mentre quelle maggiori hanno un rapporto più rigido, a tratti algido. Per me è fondamentale avere un rapporto umano con l’editor. Lavoro molto bene con Alberto Rollo, direttore letterario di Feltrinelli. È una persona straordinaria. Non ha mai cambiato una singola riga, ma mi dà sempre suggerimenti e spunti di riflessione importantissimi. L’editor deve rispettare la creatività sapendo come guidarla nel modo giusto, deve saper porre questioni senza risolverle in prima persona».

Un libro si scrive. La parola allo scrittore Paolo Di Paolo (1)

COSA SI FA CON UN LIBRO? Prima edizione Roma

Cosa si fa con un libro? Un libro si scrive. La parola allo scrittore.
Giovedì 7 maggio, alle 21 – Paolo Di Paolo

Paolo Di Paolo,  scrittore romano scoperto da Dacia Maraini, a 32 anni vanta una produzione letteraria già cospicua. Dopo l’esordio nel 2004 con la raccolta di racconti Nuovi cieli, nuove carte (Empirìa, finalista al Premio Italo Calvino per l’inedito 2003), ha pubblicato i romanzi Raccontami la notte in cui sono nato (Perrone, 2008), Dove eravate tutti (Feltrinelli, 2011), vincitore dei premi Mondello e Superpremio Vittorini e finalista Premio Zocca Giovani. Con Mandami tanta vita (Feltrinelli, 2013) è stato finalista al Premio Strega 2013 e vincitore dei premi Salerno Libro d’Europa e Fiesole. Alterna la sua attività di narratore con quella di giornalista, saggista e critico letterario, ha scritto per il teatro e per la televisione.

«Ho sognato che avrei scritto fin da ragazzino. Mi sono appassionato prima alle storie a fumetti (amavo disegnare), poi al giornalismo, poi è arrivata la scrittura narrativa e saggistica. Certo il segnale del Calvino mi ha spinto a proseguire; magari senza quell’incoraggiamento ci avrei messo meno tenacia».

Paolo Di Paolo si è cimentato anche con i libri per bambini. Nel 2014 è uscito La mucca volante (Bompiani) di cui ha curato anche le illustrazioni.

«Ho pensato di scrivere questo libro all’età di sette-otto anni. È veramente quel che considero il mio primo libro perché, se torno a me stesso bambino e al sogno di scrittore, so che immaginavo, magari sull’agenda di mio padre, uno spazio bianco su cui campeggiasse la scritta La mucca volante, il mio nome e una mucca disegnata».

Qui la nostra intervista integrale Le domande dell’infanzia narrate da Paolo Di Paolo.

Vi aspettiamo giovedì 7 maggio alle 21 per proseguire la conversazione.locandina_7mag

Cosa si legge a Natale? Rispondono i protagonisti di Cosa si fa con un libro?

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Quest’anno lo abbiamo chiesto ai protagonisti di Cosa si fa con un libro?, il ciclo di incontri dedicati al libro organizzato da Via dei Serpenti con la collaborazione di Altrevie.

Protagonista del primo incontro, il 7 novembre, è stato il libraio di Pagina 348  Marco Guerra che consiglia Philipp Meyer, Il figlio, (Einaudi, 2014).

«Il più bel romanzo letto nel 2014 . Le tre storie che si intrecciano  corrispondono a tre generazioni della famiglia McCullough e a tre epoche della storia del Texas. Nella prima, a metà Ottocento, la formazione di Eli, un ragazzino preso prigioniero dai Comanche, cede il passo, una volta tornato tra i bianchi, alla sua ascesa senza scrupoli nel clima della Guerra civile. Raramente ho letto pagine così belle sugli indiani d’America. Nella seconda, a inizio Novecento, Peter, il figlio, assiste alla strage di una potente famiglia messicana prima di rifiutare la moglie bianca trovata per lui e innamorarsi di Maria, l’unica scampata alla strage. La terza è più vicina a noi, a metà del Novecento il Texas è ormai un grande produttore di petrolio e Jeanne, la pronipote, deve gestire la fine dell’agricoltura e dell’allevamento del bestiame a vantaggio dei pozzi, in un clima da fine di un’epoca».

Copertina di Maurizio Ceccato (Ifix)

Copertina di Maurizio Ceccato (Ifix)

Il terzo appuntamento, il 15 gennaio 2015, sarà con Maurizio Ceccato di Ifix che consiglia (insieme a Lina Monaco di Scripta ManentGiovanni Gregoletto. Vite Ambulante. Nuove cattedre di enologia e viticultura. SUV, 2014. Prefazione di Stefano Salis. 16×23 cm; pagg. 512; euro 28,50; tutto a colori.

«Produttore vinicolo e creatore dello Spazio dell’Uva e del Vino, un moderno gabinetto delle meraviglie (Wunderkammer) con sede a Follina (TV), Gregoletto con la sua curiosità contagiosa ci porta per mano attraverso un vortice di aneddoti e ricordi, dalla A di ampelografia (la descrizione sistematica di vini e vitigni) alla Z del poeta solighese Andrea Zanzotto. Dalle vigne e dall’uva lo sguardo si allarga sullo stupore per quanto di concreto c’è nella quotidianità di tutti: il cibo, il lavoro, le amicizie e appunto il vino. Gli stessi temi del racconto di Ottavio Missoni (contenuti nel corposo volume) su una giornata trascorsa in un’osteria di Trieste “Venezia Giulia”. Conosciuto a Venezia dopo essersi fatto passare – al citofono – per il nipote di Zanzotto, Gregoletto confessa un sentimento di positiva invidia che il tempo ha trasformato in amicizia. Il racconto di Missoni, nel quale il vino riunisce attorno a un tavolo le vite e le storie di tanti amici in “dodici boti”! E si prosegue a scoprire come il cannone antigrandine che spazzava via la grandine, oggi ‘spara’ la musica per la vendemmia (realizzato dallo stesso Gregoletto), dai ricordi del genetista Luigi Luca Cavalli Sforza (e del padre Pio Cavalli, autore del primo libro italiano sulla pubblicità) al tappo Corona, per passare poi dallo studio delle nuvole a Carpenè Malvolti, dalla fillossera, pidocchio che estinse la vite europea, all’Oropilla e al Lambrusco, ai racconti di Attilio Scienza e Valentino Zeichen, le Réclame e i film, i pirati e gli anarchici, fino a Marx e alla quantità di vino contenuto nella Bibbia».

Il 6 febbraio 2015 sarà la volta di Davide Orecchio, autore di Città distrutte (Gaffi) e Stati di grazia (Il Saggiatore). Il suo consiglio è J.Rodolfo Wilcock, La Sinagoga degli iconoclasti (Adelphi, 2014).

«Per la sua diversità. La diversità di uno scrittore di lingua spagnola che sceglie di esprimersi in italiano. La diversità di un’opera di alta letteratura dove il patologico e infernale della condizione umana si traduce nel risultato comico inevitabile, definitivo».

A chiudere il ciclo di incontri, il 7 maggio 2015, sarà Paolo Di Paolo che consiglia Zerocalcare, Dimentica il mio nome (Baopublishing, 2014). «Zerocalcare ha superato sé stesso distanziandosi da quanto realizzato fino a oggi. Mi ha piacevolmente sorpreso: si tratta di un libro maturo, con il quale l’autore fa i conti con l’identità e con sé stesso, cosa che nessuno della nostra generazione è iruscito a fare. In questo 2014 ho amato anche Tempo di imparare di Valeria Parrella (Einaudi)».

Le domande dell’infanzia narrate da Paolo Di Paolo

di Rossella Gaudenzi

Paolo Di Paolo

Paolo Di Paolo

Le domande dell’infanzia narrate da Paolo Di Paolo – Intervista all’autore di La mucca volante

L’ultima cosa che io, e suppongo  tanti altri, mi sarei aspettata da Paolo Di Paolo? Che scrivesse un libro per bambini e ancor più che lo illustrasse. Eppure durante l’estate apprendo la notizia direttamente dall’autore e dallo scorso 3 settembre La mucca volante (Bompiani) ti fa l’occhiolino dagli scaffali delle librerie. Oggi il libro è alla seconda ristampa. Stando alle parole di Paolo, spese in un accogliente locale romano davanti a un chinotto e a un bicchiere di vino, la storia della mucca volante viene da molto lontano e  lo aspettava al varco.

«Ho pensato di scrivere questo libro all’età di sette-otto anni. È veramente quel che considero il mio primo libro perché, se torno a me stesso bambino e al sogno di scrittore, so che immaginavo, magari sull’agenda di mio padre, uno spazio bianco su cui campeggiasse la scritta La mucca volante, il mio nome e una mucca disegnata. Successivamente ho ipotizzato di cambiare il titolo, che sarebbe potuto diventare Volare via, molto più poetico, ma per fedeltà al me stesso bambino che lo aveva immaginato come La mucca volante è rimasto invariato. Sebbene questo libro non abbia a che fare con l’esperienza del volo, con la logica tradizionale dell’imparare a volare; il volare via della mucca ha a che fare con tutt’altro tema. Tutto nasce una mattina della mia infanzia, quella in cui comincia il libro, in cui arrivo alla mia scuola, una scuola alle pendici dei castelli romani circondata dal verde a cui talvolta si avvicinavano delle mucche. Quella mattina vedo una mucca immobile con la pancia molto gonfia ferma sul prato della scuola. La mucca era ovviamente morta e in qualità di bambino ho vissuto questa esperienza come una rivelazione. La mucca con la pancia gonfia non mi ha spaventato ma mi ha incuriosito: le altre continuavano a brucare mentre questa restava immobile, ho iniziato a fare domande agli adulti che mi negavano una risposta fino a che l’indomani la mucca non c’era più. Dov’era finita? Per dare una spiegazione, fuori tempo massimo e a posteriori, alla sparizione della mucca di cui nessuno mi aveva detto nulla all’epoca, ho scritto un libro in un momento in cui volevo anche un po’ disintossicarmi dal mio essere adulto circondato da adulti. È avvenuto nel momento in cui non era più rinviabile un appuntamento con me stesso rimandato per venticinque anni».

Ripeto, l’ultima cosa da aspettarsi da Paolo di Paolo
Una sorpresa anche per me. Ma questa possibilità di stupirsi dovrebbe essere alla base del lavoro che si svolge. Venuto a contatto con la capacità di stupirmi ancora, di fare qualcosa che non stupisse gli altri ma che stupisse me, l’unica cosa che potessi fare era mettermi a scrivere una storia che avevo in testa, o almeno la sua origine, quindi una storia che veniva da molto lontano, dandole uno sviluppo fedele a quel progetto e alla mia prima e viscerale passione, che non era la scrittura bensì il disegno. Da bambino mi veniva molto naturale disegnare e per La mucca volante ho fatto disegni degni di un bambino, dal tratto non sofisticato. La casa editrice Bompiani non abbraccia al momento una collana per bambini, non esisteva quindi un’illustrazione di copertina standard già pronta e si è posto il problema: l’editor Beatrice Masini mi ha chiesto di tentare di fare le illustrazioni. Mi piacerebbe, quanto a progetti futuri, fare il lavoro di scrittore e affiancarmi a un illustratore, la collaborazione con l’altra creatività mi interessa molto. In questo caso si è trattato invece di riprendere possesso di una facoltà che avevo rimosso – non disegnavo da venti anni –  nel momento in cui ho smesso di sognare di diventare disegnatore. Nel momento in cui ha preso forma un progetto che è quello che avevo da ragazzino, ho ripreso in mano la matita quasi tremando.

Chi ti leggeva i libri quando eri bambino, e quali?
Mia madre, insegnante di scienze e matematica, forse per paura di comunicarci troppo la sua passione e poco quella per la lettura e la letteratura, oltre a insegnarci a leggere un po’ prima di andare a scuola ha riempito me e mia sorella – gemella – di libri illustrati, libri per bambini, libri pop-up.Il primo contatto con l’idea di letteratura l’ho avuto con corposi libri con costa viola, edizioni illustrate dei grandi classici della letteratura: Molière, Shakespeare e altri. Ne ero entusiasta e ammirando le figure cercavo di travestirmi da mercante di Venezia o malato immaginario, così come venivano rappresentati, cercando tra gli indumenti di mio padre e per, trasformarmi in malato immaginario, ad esempio, cospargendomi il borotalco sul viso. È stata incisiva la paura di mia madre di non comunicarci quel che non era nel suo orizzonte.

Esistevano eroi e antieroi nell’universo del bambino Paolo Di Paolo?
Esistono sicuramente storie in cui parteggiavo per qualcuno, ma in realtà non ero affascinato dai supereroi. Ero attratto da personaggi quotidiani, per questo mi appassionava il mondo dei Peanuts o di Topolino. Quanto a Paperopoli e Topolinia ogni storia, anche la più rocambolesca, partiva sempre da una situazione tranquilla: giornate di sole il più delle volte accompagnate da Paperina che annaffia i gerani e Paperino sull’amaca. In questa situazione di quiete qualcosa irrompe e la sconvolge. La mia testa vagava dentro Paperopoli, in uno spazio inesistente di cui mi sembrava di conoscere atmosfera, clima, come se io sovrapponessi quel che leggevo con la vita. Avevo residenza a Paperopoli e non a casa mia… questo spiega il fatto che trascorressi trepidante i mercoledì estivi sul balcone nell’attesa che il postino consegnasse Topolino a cui ero abbonato. La stessa cosa vale per i Peanuts. Snoopy era il mio vero eroe: con la sua macchina da scrivere iniziava a battere tasti di romanzi spesso rifiutati e questa era per me la situazione più divertente. snoopyMi affezionavo a personaggi ordinari, vicini alla mia realtà, in linea con i personaggi dei miei romanzi che devono sempre misurarsi con il fallimento: Lucien di Raccontami la  notte in cui sono nato è un insoddisfatto; Italo Tramontana di Dove eravate tutti non riesce a finire la tesi di laurea, Moraldo di Mandami tanta vita incarna la frustrazione massima. Trovo più interessante il fallimento rispetto alla riuscita. Divagando, il film A proposito di Davis dei fratelli Coen è incentrato sul fallimento di un musicista: il protagonista si arrabatta, non riesce a emergere e verso la fine ascolta in un locale una voce molto forte e chiara, altro non è che l’allusione agli esordi di Bob Dylan. Questo è quel che mi interessa: il momento in cui stai tentando di diventare qualcosa e un ostacolo te lo impedisce. Ecco perché Snoopy, Charlie Brown e Paperino mi interessano molto: la relazione con la mediocrità, molto più diffusa del talento, e quell’attrito tra il cercare di spendere il talento e il ritornare nella mediocrità come zona grigia dell’esistenza.

Dopo aver scritto questo libro sono cambiate delle cose nel tuo modo di essere e di vederti?
Sì. In passato ho parlato spesso dei miei libri nelle scuole medie e superiori; in questo caso mi sono trovato a interagire con bambini delle elementari e la relazione è completamente diversa. I bambini ti mettono sempre davanti alle domande fondamentali. Facendo domande su La mucca volante i bambini ripristinano un rapporto di causa/effetto, razionalizzano e, ovviamente a modo loro, trattano tutto in modo trasparente, puro ed essenziale. Questa per uno scrittore è una grande lezione. Altro aspetto per me nuovo è la riconquista dell’innocenza delle parole: tornare, come ha commentato un caro amico scrittore “per sentirsi espresso… a una innocenza da primo mattino del mondo”. Ho sempre sostenuto il contrario, che la costruzione dello stile dovesse allontanarsi dall’innocenza. Non avevo compreso di aver raggiunto con La mucca volante un grado di espressione forse più totalizzante di quanto non avessi fatto con gli altri libri, nel momento in cui ho dovuto alzare l’obiettivo ad “altezza bambino” e restituire al linguaggio l’innocenza da primo mattino del mondo. Ho toccato anche in questo libro temi come morte e distacco (che indubbiamente mi sono propri), ma trattandoli in modo totalmente puro. Questa trasparenza mi ha portato a manifestarmi maggiormente rispetto a quando uso un linguaggio più alto e complesso, attraverso il quale anziché chiarire nascondo. Ricordando Calvino: “Scrivere è talvolta nascondere”; ebbene sì, a volte l’artificiosità stilistica nasconde l’innocenza da primo mattino del mondo. Se La mucca volante riesce a commuovere è perché dovendo parlare ai bambini ho attenuato il controllo dell’emozione, Di Paolo 2non mi sono preoccupato di essere sentimentale, cosa che solitamente rifuggo.

Questa esperienza ha generato in te un qualche stupore?
Fino ad ora ero convinto di non saper costruire trame ma di scrivere libri di atmosfera con intreccio molto esile. Sembra che nello scorrere delle pagine La mucca volante alimenti la voglia di scoprire cosa accade: per la prima volta ho costruito un piccolo intreccio in cui l’avventura passo passo ti porta a voler sapere come finirà la storia.

Domanda di rito: crisi del libro e della lettura ormai cronica, come confermerebbero gli annuali bollettini del settore. Però è nuovamente in controtendenza l’editoria per ragazzi. I lettori dai 6 ai 16 anni sono in crescita. Quali sono secondo te le ragioni di questo fenomeno e perché i giovani lettori, una volta adulti, smetterebbero di leggere?
Si può essere lettori molto famelici a dieci anni e nella pre-adolescenza o adolescenza perdere del tutto il contatto con la lettura. Innanzitutto perché interviene l’obbligo scolastico e la lettura non è più gioco. Quando ai bambini delle elementari si chiede cosa fa uno scrittore la risposta è che racconta storie, non che scrive libri. L’aspetto ludico è dominante. Quando entra in gioco l’aspetto di studio cambia la prospettiva e nella fase di pre-adolescenza anche il genitore riesce a essere meno incisivo con i suoi consigli e la sua presenza, anzi, ciò che i genitori propongono è quello che non fai. Fino a che sei bambino anche il libro fa parte dei giochi; quando devi leggere un determinato libro, come il libro per l’estate, perseveri solo se ti anima una passione forte. La qualità della produzione per bambini e ragazzi in Italia è molto alta e sta crescendo l’attenzione degli editori a tutto questo, cresce l’investimento; aumenta l’attenzione all’illustrazione e quindi al cosiddetto settore cross-over non più limitato alla sfera infantile. A detta di Barbara Schiaffino, direttrice della rivista di settore più autorevole, «Andersen», anche l’attenzione per quel che produce l’Italia sta crescendo nel mondo: i nostri autori per bambini, dati alla mano, cominciano a riscuotere successo nel mondo. Non dimentichiamo che il nostro titolo più tradotto al mondo in assoluto è legato al personaggio del topo Geronimo Stilton, che supera anche Umberto Eco.

Se Paolo Di Paolo fosse bambino oggi, con quale libro uscirebbe da una libreria?
Con un libro pop-up. E comunque catturerebbero la mia attenzione il colore e l’illustrazione.

E quali libri ti aspettano sul comodino?
Dopo tanto tempo in cui non riuscivo più a stupirmi dei libri di narrativa contemporanea, sono rimasto folgorato da due scrittori notissimi al mondo, che fanno parte di una triade intoccabile di autori israeliani (Grossman-Yehoshua-Oz): l’ultima opera di Amos Oz Giuda (Feltrinelli) che ho trovato straordinaria, di grande intelligenza e profondità: un Giuda rivisitato, letto non come il traditore ma come colui attraverso il quale si sono compiute le scritture e senza il quale il Cristianesimo non sarebbe nato. Calato in una in una piovosa Gerusalemme di fine anni Cinquanta. Più trascinante ancora, Applausi a scena vuota di David Grossman (Mondadori), titolo così tradotto in Italia ma in lingua originale ispirato alle battute iniziali di una barzelletta: Un cavallo entra in un bar. Strepitoso, ne sono rimasto affascinato. Se ti aspetti di trovare il Grossman che già conosci ti spiazza e a  pensare che uno scrittore sessantenne riesca a scrivere qualcosa di così radicalmente diverso dal solito ti togli il cappello. È la storia di un cabarettista cinquantasettenne senza troppa arte né parte che in un locale, un po’ sudaticcio, inizia a raccontare barzellette ma il cabaret deraglia perché inizia a inserire pezzi della sua vita privata. Diventa una sorta di confessione più o meno volontaria, intrisa di brani esilaranti, in cui convergono la difficoltà dell’attore di far ridere, la difficoltà del pubblico di abbandonarsi al riso, la scommessa di tenere le persone ancorate alla propria storia e non più al copione. I pochi che restano in sala sono coloro che sono disposti, in generale nella vita, ad ascoltare la storia di qualcun altro. Un libro bellissimo sulla tragedia e sul riso, sulla vita che va avanti nonostante tutto, sulla zona segreta di ciascuno.

Di Paolo 1

Paolo Di Paolo, classe 1983, finalista allo Strega 2013 con il suo Mandami tanta vita (Feltrinelli), ha esordito nel 2004 con i racconti Nuovi cieli, nuove carte (Empirìa). Nel 2008 ha pubblicato per Giulio Perrone Raccontami la notte in cui sono nato e nel 2011 Dove eravate tutti per Feltrinelli. Nel 2014 è uscito La mucca volante (Bompiani), il suo primo libro per bambini.

Paolo Di Paolo sarà, con Giulio Perrone, l’ospite finale di Cosa si fa con un libro? il 7 maggio 2015.

Cosa si fa con un libro? La parola ai protagonisti

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COSA SI FA CON UN LIBRO? prima edizione Roma

Via dei Serpenti organizza il ciclo di incontri  COSA SI FA CON UN LIBRO? La parola ai protagonisti: dallo scrittore al lettore.

Dal 7 novembre 2014 al 7 maggio 2015, presso la sede di Altrevie, a Garbatella (Roma).

Dopo tre anni di attività sul web, nei quali abbiamo parlato e fatto parlare di libri scrivendo recensioni, intervistando autori, editori, illustratori, librai, abbiamo deciso di uscire dall’invisibilità della rete e di provare a parlare di libri dal vivo.

Ci serviva una sede: ed ecco che l’associazione culturale Altrevie, da oltre quindici anni attiva sul territorio romano, ci ha offerto la sua, nel cuore di Garbatella.
Ci serviva un’idea, e quella di organizzare un ciclo di incontri con i protagonisti della filiera libro, è diventata Cosa si fa con un libro? La parola ai protagonisti: dallo scrittore al lettore.

Un libro si scrive, si traduce, si progetta, si corregge e si trasforma, si vende, e alla fine si legge.
Per ogni fase del processo abbiamo scelto un protagonista che spiegherà a un pubblico non specializzato in che cosa consiste il suo lavoro.

Qual è lo scopo di questi incontri? Far conoscere il prodotto libro, senza alcuna intenzione didattica o promozionale, senza alcuna velleità di fornire una nuova ricetta contro la crisi dell’editoria e della lettura, contro la chiusura delle librerie e l’assenza di politiche nazionali a tutela della cultura in generale.

Il programma prevede sette incontri, dal 7 novembre 2014 al 7 maggio 2015, con altrettanti interlocutori che racconteranno le loro esperienze, risponderanno alle domande del pubblico, stimoleranno qualche riflessione e soddisferanno qualche curiosità.

Il programma

Marco Guerra e Fabio Bartolomei

Marco Guerra e Fabio Bartolomei

Venerdì 7 novembre – Un libro si vende – La parola al libraioMarco Guerra
Marco Guerra è il libraio di Pagina 348, libreria indipendente a gestione famigliare attiva dal 1992 nel quartiere Eur-Ferratella, a sud di Roma. Pagina 348 è tra le librerie di INDILIBRAI, la nostra rubrica dedicata alle librerie indipendenti romane e non solo.

Leonardo Luccone

Leonardo Luccone

Giovedì 11 dicembreUn libro si pubblica – La parola all’artigiano dell’editoriaLeonardo Luccone.
Leonardo Luccone si definisce un artigiano dell’editoria. Ha fondato Oblique insieme a Elvira Grassi e Giuliano Boraso e la rivista «Watt • Senza alternativa» con Maurizio Ceccato di Ifix. È traduttore, editor, agente letterario. È stato responsabile delle collane Greenwich e Gog della casa editrice Nutrimenti e direttore editoriale della casa editrice 66thand2nd. Ha rappresentato autori come Paolo Piccirillo, Emanuele Tonon, Raffaele Riba.

Giovedì 15 gennaio 2015Un libro si progetta – La parola alle ideeMaurizio Ceccato
Art director e graphic designer, Maurizio Ceccato ha fondato lo studio di progettazione grafica Ifix. Come editore pubblica e cura il libro/rivista «Watt • Senza alternativa» in collaborazione con Oblique. Nel 2012 con Lina Monaco apre il bookshop Scripta Manent. Collabora come illustratore per «Il Fatto Quotidiano» e, in veste di art director, ha curato case editrici quali Fazi, Hacca, Del Vecchio, Gaffi e Playground. «B comics • Fucilate a strisce» è il nuovo volume curato da Ifix dedicato al fumetto italiano.

WATT

Davide Orecchio

Davide Orecchio

Venerdì 6 febbraio 2015 – Un libro si scrive – La parola all’autore – Davide Orecchio
Nato a Roma nel 1969, ha esordito nel 2012 con Città distrutte. Sei biografie infedeli (Gaffi) con cui ha vinto il premio Mondello e SuperMondello, il premio Volponi. Storico di formazione e giornalista professionista, ho pubblicato racconti, testi, articoli e saggi sul blog letterario «Nazione Indiana» «Nuovi Argomenti», «Watt», «pagina99», «il manifesto», «The American Reader». A febbraio è uscito per Il Saggiatore il suo nuovo romanzo Stati di grazia. Il suo blog.

Massimiliano Borelli

Massimiliano Borelli

Venerdì 6 marzo 2015 – Un libro si pubblica – La parola all’editor – Massimiliano Borelli ANNULLATO
Redattore e editor, in particolare con L’Orma editore e West Egg, Massimiliano Borelli ha un dottorato, una copia del Giovane Holden con il disegno di Ben Shahn in copertina, la prima edizione dell’Oblò di Adriano Spatola, delle biglie. Ha pubblicato un libro sulle Prose dal dissesto degli anni Sessanta e uno su Manganelli. Lo abbiamo ospitato nella nostra rubrica Il comodino dei Serpenti.

Giovedì 9 aprile 2015 – Un libro si pubblica e si traduce – La parola all’editore – Ponte33.
Felicetta Ferraro e Bianca Maria Filippini hanno fondato Ponte33 nel Ponte33_logo2009, una realtà editoriale piccola e coraggiosa, impegnata a diffondere la letteratura persiana contemporanea prodotta in Iran, Afghanistan e Tagikistan in Italia e all’estero, principalmente Stati Uniti e Europa. L’intento è quello di presentare «una produzione culturale autentica, molto diversa dagli stereotipi infarciti di chador e di veli che ormai hanno invaso il mercato editoriale».

 

Paolo Di Paolo

Paolo Di Paolo

Giovedì 7 maggio 2015Un libro si scrive  – Paolo Di Paolo
Nell’incontro finale lo scrittore Paolo Di Paolo, classe 1983, finalista allo Strega 2013 con il suo Mandami tanta vita (Feltrinelli), ha esordito nel 2004 con i racconti Nuovi cieli, nuove carte (Empirìa). Nel 2008 ha pubblicato per Giulio Perrone Raccontami la notte in cui sono nato e nel 2011 Dove eravate tutti per Feltrinelli. Nel 2014 è uscito il suo primo libro per bambini La mucca volante, per Bompiani. 

Tutti gli incontri si terranno in Via Caffaro, 10 (Garbatella) alle 21.

L’ingresso è libero!