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Un viaggio nelle Grandi Pianure di Haruf

di Elena Refraschini

Sentii parlare di Kent Haruf per la prima volta quando fece parte di una bellissima iniziativa creata dalla libreria losangelina Vroman’s chiamata “Read your way across the USA!”. La libreria aveva creato un display con i consigli di lettura legati a ogni stato degli Stati Uniti, dal Texas al Wisconsin, da Washington alla Florida. “Ne avrò fino al 2020”, mi ero detta. Nei titoli imperdibili da leggere ambientati in Colorado c’erano The Shining, certo, poi Angle of Repose di Stegner (vincitore del Pulitzer nel ’72), e Plainsong di un certo Kent Haruf. Inseriti tutti i titoli nella mia infinita reading list, iniziai dall’Alabama, perché è il primo in ordine alfabetico e perché il mio cuore è nel Sud.
Passiamo a qualche mese più tardi, quando il nuovo (allora) editore milanese NN fa il suo debutto con due autori americani molto promettenti, Jenny Offill e, appunto, il “mio” Haruf.
Arriviamo a oggi, e Kent Haruf è praticamente un autore di culto in Italia: a ogni uscita (i tre titoli della Trilogia della Pianura, per ora, ma aspettatevi Le nostre anime di notte alla fine di quest’anno, non avete idea di che gioiello sia) colleziona recensioni brillanti sui maggiori quotidiani nazionali, i blogger lo adorano, i lettori anche, e mica per nulla Benedizione è arrivato nei giorni scorsi alla sua settima ristampa.

Se un autore riesce a essere apprezzato in modo così universale, è perché parla a ciascuno in un linguaggio privato che solo quel lettore comprende; si crea una conversazione intima con l’autore, con i suoi personaggi, le sue storie. Di Haruf si è detto tanto: si è parlato della delicatezza del suo linguaggio, della grazia che contraddistingue le sue scene, della compassione con la quale tratta i suoi personaggi, dell’umiltà dell’uomo-scrittore.
Quello che ha colpito me, dalle prime pagine di Benedizione (il primo a uscire in Italia, ma il terzo nella trilogia) fino alle ultime di Crepuscolo, è il sense of place che vi ho trovato. La sensazione che bastasse aprire quei libri per ritrovarmi nelle Grandi Pianure che ho sempre amato.

Max Liu

Max Liu fotografa i paesaggi di Kent Haruf. Questa potrebbe benissimo essere la fattoria dei fratelli McPheron, che ne dite?

Qui siamo lontani dall’America da cartolina, quella delle due coste. Le Grandi Pianure sono una fascia verticale che occupa i territori al di là della valle del Mississippi e al di qua delle Montagne Rocciose, che scende dal Canada fino al Texas e include parecchi stati tra cui Montana, Nebraska, Kansas, Oklahoma, e il Colorado a est di Denver, dove ha appunto abitato Haruf per buona parte della sua vita. Un’area di più di un milione di chilometri quadrati che siamo abituati a definire come il “grande nulla”, ma che in realtà è ben lontana dall’essere tale.
Solo chi viene dalle coste, soprattutto da Est, può pensare che queste terre siano piene solo di assenze. Chi ci è nato, chi ci ha viaggiato con gli occhi aperti, sa che queste terre sono piene di storia, di storie, di natura, di cielo (che per Haruf è “pure blue”, “terso” nell’attenta traduzione di Fabio Cremonesi, un cielo che è solo delle Grandi Pianure). Sono le Great Plains narrate da grandi viaggiatori come William Heat-Moon e Dayton Duncan. Queste erano le terre dei bisonti, dei Cheyenne, dei Sioux.
Sono state poi le terre dei coloni più tenaci, quelli che giorno per giorno spostavano la frontiera un po’ più a ovest. I personaggi della Trilogia della Pianura sono i pronipoti di questi uomini e donne che vivevano ai limiti della società: Dad Lewis, in Benedizione, racconta di come la sua casa fu costruita nel 1904, quando quella zona era solo aperta campagna (la linea di frontiera era stata dichiarata ufficialmente sparita solo nel 1890).

Lo stesso Haruf ha detto qualche tempo fa in un’intervista che ha «qualcosa come un legame sacro con quella parte del mondo», ed è d’altra parte evidente l’affetto con cui dipinge i suoi luoghi. Lo si vede in come preferisce il termine soapweed al posto del più comune yucca, evocando la funzione curativa di quella pianta presso i Nativi Americani, i quali dalle radici ridotte in polvere ricavavano una specie di sapone; da come sceglie il più dolce sundown e non sunset; lo si vede da come il paesaggio e il tempo atmosferico siano sempre parte integrante delle sue scene, così come i luoghi chiusi (case, taverne, supermercati, roulotte) sembrino tanto spesso luoghi di auto-isolamento per questi uomini e donne laconici e resilienti.
Fuori, a dominare sono i piani orizzontali: ed è anche per questo che nella Trilogia della Pianura si fa tanto riferimento alla luce. Quasi ogni capitolo di Benedizione ci offre un indizio che illumina la scena: «lui stava osservando il cortile laterale e l’albero e l’ombra sull’erba che si stava ritirando, il sole era più alto nel cielo» (p. 40), o «Il  cielo era ormai buio e si erano accesi i lampioni, lei pedalava avanti e indietro, da un cono di luce all’altro», (p. 130), ma ci sarebbero decine di altri esempi. E non è un caso che sia Dad Lewis sia Raymond McPheron vedano nell’aperta e piana campagna il loro luogo della pace, mentre Denver, la capitale dello Stato, non soltanto è una realtà completamente estranea e spesso incomprensibile per gli abitanti di Holt, ma è sempre foriera di una rottura degli equilibri nelle loro vite. Questi sono uomini la cui vita è plasmata dal luogo in cui vivono, al contrario di ciò che succede in altri spazi americani, che vengono continuamente ridefiniti dalle vite dei loro abitanti.
Quest’attenzione agli spazi e alle cose è stata spesso paragonata dalla critica ad altri autori che hanno riempito di significati e stratificazioni i loro luoghi: mi riferisco ovviamente a Faulkner e la sua Yoknapatawpha County in Mississippi, o la comunità di Winesburg nell’Ohio di Sherwood Anderson. Mi stupisco però che non vengano altrettanto spesso citati altri autori entrati nel canone della letteratura regionale o nazionale americana e che si sono dedicati, come Haruf, alla rappresentazione delle vite ordinarie e rurali dei loro personaggi, che sono figure incredibilmente umane e reali, poco eroicizzate. Penso a Willa Cather, o al Wright Morris del quasi-omonimo Plains Song (1981), per non tornare indietro al Hamlin Garland di Prairie Folks (1892).

Le Grandi Pianure del Nebraska dal treno California Zephyr, che corre da Chicago a San Francisco in 51 ore (foto di Elena Refraschini)

Le Grandi Pianure del Nebraska dal treno California Zephyr, che corre da Chicago a San Francisco in 51 ore (foto di Elena Refraschini)

Come forse si è capito, ho un debole per questi luoghi. Qualche anno fa, spronata da tante letture e da un’insana passione per i viaggi in treno, decisi di percorrere così gli Stati Uniti, zigzagando tra est e ovest, nord e sud attraverso quegli anacronistici bisonti che sono i treni Amtrak, l’azienda statale del trasporto ferroviario: il Coast Starlight, l’Empire Builder, il California Zephyr, il Sunset Limited, il City of New Orleans. Non vi viene voglia di saltarci su anche solo per la poesia che si srotola dai nomi delle loro linee?
A me è successo così. E quando si viaggia attraverso gli Stati Uniti in treno succedono cose molto belle. Tra le più belle c’è incontrare luoghi che chi viaggia in auto (ovvero: tutti gli altri) non vedrà mai. Cittadine nate grazie alla ferrovia e poi semi-abbandonate a causa di un’emorragia economica, campi che superano la linea dell’orizzonte, passi di montagna altrimenti inaccessibili.
E se le Grandi Pianure definiscono il paesaggio a stelle e strisce, così la vita nelle small town è la quintessenza dell’esperienza americana. Quei paeselli che non hanno come riferimento il classico grid, le “avenue”, le “street”: dove, per orientarti, ti basta trovare la Main Street, i binari della ferrovia, e la statale. Posti in cui impari a chiedere non “a quante miglia è” ma “a quante ore”. Dove le occasioni di socializzazione cittadina sono l’asta degli animali, la festa per i veterani, i fuochi d’artificio il quattro luglio. Insomma, posti come Holt.

tipica small town americana con taverna, negozio di ferramenta, piccolo bar e supermercato. Questa è Whitefish, in Montana. (foto di Elena Refraschini)

tipica small town americana con taverna, negozio di ferramenta, piccolo bar e supermercato. Questa è Whitefish, in Montana. (foto di Elena Refraschini)

Holt è in Colorado, ma potrebbe essere in qualsiasi altro stato delle Grandi Pianure: servono solo tre isolati commerciali sulla Main Street che ospitano una taverna, un piccolo alimentari, un negozio di ferramenta; la ferrovia, che separa i quartieri bene da quelli più poveri; un ristorante sulla statale, pronto a saziare con una cucina dalle poche pretese e ipercalorica le bocche affamate dei truck driver e i clienti abituali; l’ospedale, le chiese; fuori, solo aperta campagna, e qualche fattoria, i silos, il serbatoio idrico a punteggiare l’orizzonte.
Non mi stupisce aver letto, in una vecchia intervista, che l’autore aveva creato una mappa mentale di Holt in cui posizionava attentamente ogni luogo menzionato nelle sue opere. «Holt è come casa per me», aveva detto. «C’è certamente tanto da raccontare qui, sai a chi appartiene il camioncino parcheggiato là dove non dovrebbe stare, sai di chi è il cane che si è liberato dal guinzaglio, sai di chi è la bicicletta appoggiata al lampione di fronte alla panetteria. Tutte queste cose, per uno scrittore, sono importanti».
Holt è casa anche per noi, che abbiamo camminato lungo le novecento pagine della trilogia, percorrendo chilometri e decadi, e non sentiamo ancora la stanchezza nelle gambe.
È questo secondo me il regalo più bello che ci ha fatto Kent Haruf: poter voltare l’ultima pagina, ben sapendo che non ci scrolleremo più di dosso la polvere di quella terra immensa.

I  romanzi della Trilogia della Pianura di Kent Haruf sono:
Benedizione, NN editore, 2015, pp. 275, € 17
Canto della pianura, NN editore, 2015, pp. 301, € 18
Crepuscolo, NN editore, 2016, pp. 312 , € 18

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Benedizione – Kent Haruf

UNA STAGIONE DA LEGGERE Rubrica dedicata alle stagioni nei libri, perché ogni storia ha la sua stagione.

di Emanuela D’Alessio

ESTATE – Benedizione di Kent Haruf

Se ne stava seduto nella veranda davanti a casa, sorseggiando la birra e stringendo la mano alla moglie. Il fatto era che stava morendo. È di questo che parlavano.

Prima della fine dell’estate sarebbe morto. Entro l’inizio di settembre quel che restava di lui sarebbe stato ricoperto di terra nel cimitero tre miglia a ovest della città. Qualcuno avrebbe scolpito il suo nome su una pietra tombale e sarebbe stato come se lui non fosse mai esistito.

Un sabato mattina uscirono sulla sua bella macchina; Lorraine al volante, Dad accanto a lei e Mary sul sedile posteriore. Lui indossava una vestaglia e aveva in testa il berretto.
Era una luminosa giornata di luglio, calda e senza vento, e potevano tenere i finestrini abbassati.

Era una notte d’agosto, Dad era morto quel mattino e Alice, la ragazzina della porta accanto, si era persa quella stessa sera. Poi guidata dalle luci della cittadina, aveva ritrovato la strada ed era tornata dalle persone che la amavano.

benedizioneInauguriamo l’estate con Benedizione, il primo romanzo della trilogia  di Kent Haruf, felicemente pubblicata da NN editore. Di questo autore americano, scomparso nel 2014, resta da leggere Our Souls at Night (Le nostre anime di notte), l’ultimo romanzo uscito negli Stati Uniti poco mesi dopo la morte dello scrittore.

Qui la lettera dell’editore milanese ai lettori di Benedizione.

Qui la recensione di Francesco Pacifico che offre una visione completa di Haruf e della sua opera.

Benedizione
Kent Haruf
traduzione di Fabio Cremonesi
NN editore, 2015
pp. 280, € 17

Canto della pianura – Kent Haruf


UNA STAGIONE DA LEGGERE
Rubrica dedicata alle stagioni nei libri, perché ogni storia ha la sua stagione.

di Emanuela D’Alessio

INVERNO – Canto della pianura di Kent Haruf

[I MCPHERON]

Maggie Jones guidò fino dai McPheron in un freddo pomeriggio di sabato. Diciassette miglia a sudest di Holt. Lungo la strada c’erano chiazze di neve nei campi incolti, cumuli e merletti induriti dal vento nei fossi. Mucche nere spelacchiate erano sparse fra le stoppie del granturco, a testa bassa e sottovento brucavano senza agitarsi. Quando svoltò nello sterrato, dal ciglio della strada si levarono in volo piccoli uccelli che il vento trascinò via. Lungo la recinzione, la neve brillava sotto il sole.

Fuori, il vento era aumentato rispetto al pomeriggio. Lo sentivano ululare attorno alla casa, gemere e rumoreggiare fra gli alberi spogli. La neve farinosa, sollevata dal vento, passava davanti alle finestre e sfrecciava in raffiche improvvise attraverso il cortile gelato, alla luce di un fanale appeso a un palo del telefono sul retro. Candidi, vorticosi mulinelli nella luce azzurrina. In casa regnava il silenzio.

L’aria invernale si stava facendo più fredda e il sole iniziava a calare verso ovest, mentre dall’altra parte della strada l’edificio in blocchi di granito del tribunale si stagliava grigio e solido sotto il tetto di tegole versi. Una volta raggiunto il veicolo, posarono le scatole sul pianale posteriore fissandole con uno spago giallo preso dalla cassetta degli attrezzi. Quindi si rimisero in strada e uscirono lentamente dalla città, risalendo lungo la valle del fiume South Platte verso il gelido inverno degli altopiani.

canto della pianura

I McPheron sono due anziani fratelli, induriti dal vento e dalla solitudine e dalla vita di campagna, abituati alle vacche piuttosto che agli uomini. Tutto sembra immutabile nelle loro giornate fino a quando Maggie Jones, l’insegnate della scuola, li pone di fronte a una scelta impensabile, prendersi cura di Victoria Roubideaux, un’estranea, una ragazzina di sedici anni rimasta incinta, abbandonata dal ragazzo e cacciata dalla madre.

Sono loro alcuni dei personaggi che si intrecciano a Holt, piccola cittadina immaginaria del Colorado non distante da Denver, dove uomini e donne conducono le loro giornate al ritmo delle luci e delle ombre di un inverno percorso dal vento del Nord e dalle tempeste sugli altopiani, consumando il tempo nella sfida universale dell’esistenza, giorno dopo giorno, senza clamori e furori, ma lasciando entrare nelle proprie vite quegli stravolgimenti necessari a sconfiggere il dolore e a conquistare il riscatto.

Un libro che accarezza la superficie dell’animo fino a oltrepassarla, lasciando tracce che resisteranno al tempo e all’oblio.

Canto_pianura_coverCanto della pianura, secondo romanzo della Trilogia della pianura, è stato tra i cinque finalisti del National Book Award nel 1999. NN Editore, la casa editrice milanese che sta riproponendo con sorprendente successo i libri di Kent Haruf, dopo gli esiti trascurabili di Rizzoli,  pubblicherà nel 2016 Crepuscolo, che insieme al primo Benedizione, completa la trilogia e Our Souls at Night, l’ultimo romanzo dell’autore americano, uscito negli Stati Uniti ad alcuni mesi dalla sua morte, avvenuta nel 2014.
In un’intervista rilasciata a Denvercenter.com poco prima di morire, Haruf ha dichiarato: «Voglio pensare di aver scritto quanto più vicino all’osso che potevo. Con questo intendo dire che ho cercato di scavare fino alla fondamentale, irriducibile struttura della vita, e delle nostre vite in relazione a quelle degli altri».

Canto della pianura
Kent Haruf
trad. di Fabio Cremonesi
NN editore, 2015
pp. 301, € 18

Un libro si pubblica. La parola a NN editore

COSA SI FA CON UN LIBRO? #Scatolalilla edition – Milano

di Elena Refraschini

Alberto Ibba ed Eugenia Dubini

Alberto Ibba ed Eugenia Dubini

Si è svolto il 14 gennaio il terzo incontro di Cosa si fa con un libro? #scatolalilla edition, ospitato come sempre nella libreria Il mio libro di Cristina di Canio. Questa volta abbiamo avuto il piacere di chiacchierare con l’editore milanese NN Editore, che quest’anno ha pubblicato autori importanti come Kent Haruf e ha fatto conoscere al pubblico italiano scrittori come Jenny Offill (qui la nostra recensione) e David James Poissant (qui la nostra recensione). Lasciamo quindi la parola a Eugenia Dubini e Alberto Ibba, tra i fondatori di NN.

VdS – Cominciamo dall’inizio della vostra storia: com’è iniziata NN editore?

Eugenia Dubini – Io e Alberto ci conosciamo da tantissimi anni, e diverse volte abbiamo pensato di creare una casa editrice insieme. Ci siamo conosciuti negli anni Novanta, quando lavoravamo alla Rivisteria di Bea Marin, mensile dedicato all’editoria e ai libri. C’era anche Edoardo Caizzi, che si occupa con noi oggi della produzione. Nella nostra squadra c’è anche Gaia Mazzolini, che aveva lavorato con me al Sole24Ore e con Alberto nell’agenzia letteraria che aveva creato dopo l’esperienza di Verdenero.

Alberto Ibba – Io venivo dall’esperienza di Verdenero, che per un periodo pensammo di trasformare in casa editrice. Poi ho creato un’agenzia letteraria (non mi sono fatto mancare nulla, insomma). Nel settembre 2013 però ci è sembrato ci fossero le condizioni giuste per creare la nostra casa editrice: i momenti di crisi offrono sempre nuove possibilità a chi ha delle idee, perché gli scenari cambiano. Siamo partiti ufficialmente nel 2014, e i primi libri sono usciti nel 2015. Non abbiamo fatto le cose di fretta, anzi, per un anno abbiamo letto e ci siamo confrontati tanto.

VdS – Siete una delle case editrici più attive online e offline, tra le più attente a una corretta e proficua gestione del rapporto con i vostri lettori. Potete dirci qualcosa in più a riguardo?

Alberto Ibba – Quello a cui abbiamo sempre tenuto è il rapporto con il lettore: un rapporto di trasparenza e accoglienza che mi ricorda quello delle cucine nei ristoranti: una volta erano un luogo da tenere nascosto, oggi invece si apprezza una cucina “a vista”, dove il cliente può ammirare il processo della creazione delle pietanze. Sia il nostro sito sia la nostra comunicazione online sono costruiti con quest’ottica. Vogliamo far sentire il lettore partecipe, senza mai prenderlo in giro. Per esempio, alla fiera di Torino abbiamo promosso il libro di Claire North incoraggiando i lettori a lasciare dei bigliettini per i sé stessi del futuro, premiando poi il più originale. Questo ovviamente ha portato più visite sia al sito sia ai canali social, oggi curati da Luca Pantarotto. Stesso discorso per il diario di Auro Ponchielli scritto da Alessandro Pozzetti, o la storia di Gemma, portata avanti dalla sua autrice Stefania Divertito.

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Eugenia Dubini – Ci succedono cose, lavorando coi libri, che contribuiscono alla vitalità degli stessi: per questo abbiamo scelto di pubblicare, per ogni titolo, anche il carteggio avvenuto tra me e il traduttore, o tra noi e l’autore, o il revisore. Anche l’idea del songbook fornisce un accesso in più al contenuto del libro, in un’ottica di assonanza tra consumi culturali. Nella stessa direzione vanno i nostri “bugiardini”, come li ha soprannominati una nota agente letteraria, una sorta di indicazione di lettore-tipo che pubblichiamo in quarta di copertina: “questo libro è per chi…”.

Anna Castellari

Anna Castellari

VdS – I vostri primi due titoli sono stati Benedizione di Kent Haruf e Sembrava una felicità di Jenny Offill. Come avete deciso che erano proprio questi i libri perfetti con cui iniziare quest’avventura editoriale?

Eugenia Dubini – Ho sempre letto i libri selezionati nei premi, e Benedizione era stato selezionato nella cinquina al Folio prize, che premia di solito libri molto belli. Ho subito contattato l’agente prima di partire per la fiera di Londra. Cercavamo testi sulla ricerca di identità nel contemporaneo, con una prima declinazione sui ruoli della vita quotidiana, su come le persone vestono con un po’ di fatica questi ruoli; testi che parlassero di identità, di senso di comunità: insomma, tutto questo e molto altro c’è in Haruf. A Londra, e chiunque ci sia stato sa di cosa parlo, siamo stati inondati di parole, un livello sonoro incredibile: ma leggevo Haruf prima di addormentarmi e attorno a me scompariva tutto il resto, e tornava il silenzio. Ci ha convinti subito. Abbiamo poi discusso anche con l’autore, recentemente scomparso, su come farlo uscire, perché in Italia era già uscito il primo di questa trilogia “slegata”, Benedizione era il terzo volume, che però abbiamo pubblicato per primo [il secondo, Canto della pianura, è uscito a novembre, mentre Crepuscolo uscirà a metà 2016].
Con la Offill è stato più semplice perché era recensita benissimo, Sembrava una felicità era stato eletto libro dell’anno in tanti Paesi e si inseriva perfettamente nel discorso che stavamo mettendo in piedi, trattando in modo originali temi quali l’identità femminile, le relazioni, la maternità. È costruito come un mosaico, come un puzzle che ti si compone davanti agli occhi. Abbiamo ricevuto una lettura bellissima di Gioia Guerzoni, traduttrice che lavorava con Teju Cole e che ci ha scritto una scheda di lettura meravigliosa con immagini, musiche e un voto che lasciava pochi dubbi: 10, un romanzo straordinario.

VdS – Il progetto della serie ViceVersa si è rivelato vincente presso critica e pubblico, visto il successo di libri come La resistenza del maschio di Elisabetta Bucciarelli e Panorama di Tommaso Pincio, che ha portato a casa il premio Sinbad. Potete raccontarci qualcosa in più?

Alberto Ibba – Già all’epoca di Verdenero c’era il progetto di chiamare a raccolta degli autori perché ragionassero su tematiche legate all’ecomafia in chiave narrativa. Quando abbiamo messo in piedi NN il concetto è stato simile, ma l’idea si è evoluta: si è deciso di mettere al centro il ruolo dello scrittore. Avendo favorito l’orizzontalità di relazioni e commistione di ruoli, non volevamo dare loro un compitino da svolgere, ma volevamo coinvolgere attivamente gli autori in una nostra riflessione. La serie è nata chiacchierando su cosa potesse interessarci in un dibattito legato alla contemporaneità e all’identità. La scelta è caduta sul tema dei vizi e delle virtù, perché quando c’è confusione i classici punti di riferimento bene/male cambiano. Tutto questo però non viene sviluppato in chiave didascalica, infatti leggendo i romanzi della serie ViceVersa non ci si accorge necessariamente che si parla di vizi e virtù. Abbiamo individuato Gian Luca Favetto come interlocutore ideale, e insieme abbiamo pensato agli scrittori da coinvolgere.

Elena Refraschini

Elena Refraschini

VdS – Questa volontà di trasparenza e di rapporto diretto con i lettori si traduce anche in un proficuo rapporto con le librerie. In questo anno di attività avete portato avanti diverse iniziative in questo senso, penso per esempio al tuo viaggio che ha toccato diverse librerie indipendenti lungo la penisola.

Alberto Ibba – Secondo me la crisi ha creato un soggetto libraio diverso, e ho voluto toccare questa cosa con mano andando di persona a conoscere i librai indipendenti dopo la nascita di NN. I librai che stanno aprendo queste librerie sono proprio il lettore a cui pensavamo: sono persone di cultura che non solo leggono, ma sono aggiornati sui serial, sanno cosa c’è a teatro, o danno consigli musicali. Questo è un ruolo che sta facendo crescere la cultura in Italia.

Eugenia Dubini – Tante volte andiamo nei gruppi di lettura. Elisabetta Bucciarelli è presentissima sui social ed è sempre felice di portare in giro, come lo chiama lei, “il suo maschio” (La resistenza del maschio). Durante una bellissima presentazione organizzata di recente alla libreria Verso, le persone erano fisicamente lì ma poi le domande e il dibattito si sono allargati in luoghi virtuali come facebook, twitter e periscope. È sempre presenza, che sia reale o virtuale importa poco.

VdS – Un’ultima domanda: potete darci qualche anticipazione sulle prossime uscite?

Eugenia Dubini – Il 18 febbraio uscirà I gatti non hanno nome di Rita Indiana, tradotto dalla storica traduttrice di letteratura ispanoamericana Vittoria Martinetto. Lo stesso giorno troverete in libreria anche Maestro Utrecht di Davide Longo, penultimo libro della serie ViceVersa. In futuro, uscirà Giacomo Sartori con Sagittarius A, e pubblicheremo i racconti inediti di Antonio Franchini. Verso la fine dell’anno verrà pubblicato anche l’ultimo di Kent Haruf, Le nostre anime di notte, una storia d’amore tra un uomo e una donna di settant’anni. Ne verrà tratto un film prodotto da Netflix e Robert Redford, che reciterà accanto a Jane Fonda.

Si conclude così la nostra serata dedicata a NN. Ringraziamo Eugenia e Alberto, il pubblico che ha partecipato con domande interessanti e, come sempre, Cristina Di Canio per l’ospitalità e per le belle foto. Alla prossima!

libreria

Cosa si fa con un libro? La parola all’editore: NN alla #scatolalilla

COSA SI FA CON UN LIBRO? #Scatolalilla edition – Milano

COSA SI FA CON UN LIBRO? Terzo appuntamento milanese, giovedì 14 gennaio 2016: NN Editore

Continuano gli appuntamenti milanesi della rassegna Cosa si fa con un libro?
alla “scatola lilla” di Cristina Di Canio, organizzati da Via dei Serpenti.

Dopo aver conosciuto il promotore di eventi culturali Oliviero Ponte Di Pino e la talentuosa scrittrice Francesca Scotti (Elliot Edizioni), questa sarà la volta degli editori. Nello specifico, di un editore che nel giro di un anno ha fatto moltissima strada, pubblicando ben dodici libri tutti con una personalità molto spiccata: parliamo di NN Editore, dove NN sta per Nomen nescio, acronimo che si usava per i cosiddetti “figli di nessuno”, ovvero gli orfani. Una scelta piuttosto forte per una casa editrice considerata tra le più interessanti nel panorama librario attuale. Tra gli autori, citiamo volentieri Elisabetta Bucciarelli e Tommaso Pincio italiani, e Kent Haruf e Jenny Offill tra gli stranieri.

Sarà interessante ripercorrere la storia dell’editore, capire come vengono operate le scelte editoriali e conoscere i progetti per il futuro.

Una vitalità che noi Serpenti adoriamo, un modo di fare cultura e di promuoverla veramente intelligente.

L’appuntamento è quindi per le 19 alla Scatola lilla di via Sannio 18 (zona Piazzale Lodi), per giovedì 14 gennaio. Vi aspettiamo! Seguirà un brindisi offerto dalle serpenti milanesi Anna ed Elena!

Cosa leggiamo a Natale. I consigli dei Serpenti (4)

I consigli di Anna Castellari
per grandi e piccini

cover_northClaire North, Le prime quindici vite di Harry August
Claire North, tra i tanti talentuosi autori della scuderia di NN Editore, è tra le scoperte editoriali tra le più interessanti di quest’anno (il romanzo è uscito a maggio). Si conferma la vocazione visionaria di NN – che tra l’altro sarà ospite di Cosa si fa con un libro #Scatolalilla edition il prossimo 14 gennaio – già vista in altri autori, vuoi declinata in chiave poetica (Sembrava una felicità di Jenny Offill) o comico-surreale (Auro Ponchielli contro la fine del mondo di Alessandro Pozzetto). Questa volta, invece, è l’angoscia a farla da padrona: il protagonista rivive sempre la stessa vita, sempre negli stessi anni (dall’inizio del Novecento in poi) con reazioni sempre diverse; eppure, in barba a qualsiasi teoria del caos, al famoso battito d’ali di farfalla in Brasile che provoca un uragano in Texas, gli eventi storici rimangono sempre gli stessi. E i kalachakra, ovvero le creature che rivivono più vite con la memoria sempre più piena di avvenimenti, si cercano tra loro, e sono spesso cercate dai servizi segreti. Una lettura poco natalizia, ma avvincente.

il-libro-delle-stagioni.w-310_h-310Charline Picard, Clementine Sourdai, Il libro delle stagioni
Lo ammetto: sulle stagioni sono un po’ sensibile. Vuoi perché i cliché letterari legati alle stagioni hanno un po’ raggiunto il capolinea, vuoi perché lavoro in editoria scolastica e le stagioni sono un leit motiv ricorrente in qualsiasi libro delle scuole elementari, sono sempre scettica su questo punto. Ma Editoriale Scienza non mi ha deluso nemmeno stavolta: il libro è illustrato armoniosamente, a volte in modo vignettistico altre in maniera più realistica, e accompagna il bambino per mano alla scoperta del ciclo delle stagioni, senza stancare mai nonostante il cospicuo materiale. Un volume da usare con un genitore o un formatore, che aiuti il bambino nella scoperta. Ma il modo delicato e senza filtri in cui si affrontano i vari temi legati alla natura – uno su tutti, la sessualità, che sia di fiori e di animali – lo rende un vero e proprio strumento didattico e di intrattenimento al tempo stesso, leggibile anche in autonomia. Sul volume c’è scritto che è un libro adatto dai sei anni in su: complimenti all’editore, perché non sempre si osa sottoporre all’attenzione di bimbi di prima elementare soggetti così delicati, senza temere le critiche dei benpensanti.

IMG_0335Pia Parlato, Angelo Ruta, Fiori bianchi bacche di caffè
Verba Volant Edizioni propone una storia delicata sulla nascita del caffè in tazzina. La memoria degli odori, che ricorda proustianamente quella dei sapori, conduce i piccoli – e grandi – lettori in un racconto che narra di ricordi d’infanzia, di nostalgia per terre ormai lontane, per un continente – l’Africa – in cui si consumano storie di migrazioni, narrate dalla voce di Pia Parlato e dal colore caldo e raffinato di Angelo Ruta. Il tutto, proposto nel consueto formato del “libro da parati”, che si legge e poi si ripiega nel suo astuccio, oppure si può appendere.