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Cosa leggiamo a Natale. I consigli dei Serpenti

Come ogni anno, eccoci arrivati alle porte del Natale. Anche quest’anno, dunque, arrivano puntuali i consigli dei Serpenti.

Emanuela D’Alessio
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Leggere per viaggiare o viaggiare per leggere? In realtà la lettura è di per sé un viaggio, di cui spesso si ignorano i punti di partenza e di arrivo.
Con Le otto montagne di Paolo Cognetti (Einaudi, 2016) si parte da Milano per arrivare a Grana, ai piedi del Monte Rosa, passando per il Nepal e le valli sacre dell’Annapurna. Inizia così un andare e venire dall’estate all’inverno, un salire e scendere tra pascoli, boschi e alpeggi, una storia d’amore con la montagna che dura una vita intera, tra un padre un figlio, tra due amici che si scoprono da bambini e si ritrovano adulti. Si cammina e ci si arrampica, si suda e si soffre, si ascoltano i suoni della notte gelida e del ghiacciaio che si ritira, si scopre che «l’estate cancella i ricordi proprio come scioglie la neve, ma il ghiacciaio è la neve degli inverni lontani, è un ricordo d’inverno che non vuole essere dimenticato».
Una bellissima e potente storia, da leggere con lo stesso incedere lento e costante di chi va in montagna, per fermarsi solo quando si è arrivati in cima.

Con Karma clown di Altaf Tyrewala (traduzione di Gioia Guerzoni, Racconti edizioni, 2016) si precipita nel caos spiazzante di Mumbai, trascinati dalla voce sferzante e ironica di uno scrittore atipico e sconosciuto ai più, nato a Mumbai nel 1977, attualmente residente negli Stati Uniti. Il suo ritorno in Italia (era uscito per Feltrinelli nel 2007 il romanzo Nessun dio in vista) lo dobbiamo alla traduttrice Gioia Guerzoni: «Altaf è stato la mia guida a Bombay per tantissimi inverni. Peccato che ora abiti a Dallas, e che Modi sia al governo. Non ci vediamo da tempo ma sono riuscita a proporre i suoi racconti durissimi e molto poco Shining India, Karma clown, a un altro editore del cuore» (dall’intervista di Elvira Grassi, novembre 2016) e ai due giovani editori romani Stefano Friani ed Emanuele Gianmarco di Racconti edizioni. Quattordici racconti per narrare, tra iperrealismo e fantasia, un’umanità eterogenea, sgangherata e cialtrona, cinica e idealista. Da non perdere l’incipit di Libri nuovi e di seconda mano, con cui si apre il libro. «La lettura è sopravalutata. Non leggo un libro da anni e sto bene lo stesso, grazie tante. Solo perché vendo libri di mestiere non vuol dire che debba sapere di cosa parlano. Sono come un chimico. Se provassi i miei prodotti sarei già morto e sepolto oppure molto molto malato. E comunque è così che vedo i libri, come una cura per menti malate, stampelle di carta per intelletti vacillanti che faticano a trovare un appiglio nel mondo».

Infine, per concludere questo viaggio o per renderlo infinito, c’è Bussola di Mathias Enard (traduzione di Yasmina Melaouah, Einaudi, 2016), un libro maestoso e imponente, raffinato e inesauribile, che ha vinto il Premio Goncourt nel 2015. Una storia d’amore che si snoda per anni tra Europa, Iran, Siria e Turchia. Un romanzo senza limiti temporali e senza confini, dove perdersi e smettere di cercarsi.

Rossella Gaudenzi
Uno degli incontri sulla letteratura per ragazzi tra gli undici e i quattordici anni tenuti da Carla Ghisalberti un anno fa verteva sul tema “La banda… uno, nessuno e centomila”. In quell’occasione sono stati presentati diversi libri sull’argomento. Uno in particolare mi era venuto in mente, La guerra dei bottoni di Louis Pergaud nell’edizione integrale BUR ragazzi a cura di Antonio Faeti. La presentazione di Susanna Mattiangeli mi ha fatto pensare a un romanzo giocoso, un classico scritto oltre cento anni fa, nel 1912, dal linguaggio obsoleto e spassoso. L’ho acquistato di recente, finalmente, e lo leggerò senz’altro durante il periodo natalizio.

bordelloA completare la mia selezione natalizia ci sono due titoli destinati a un pubblico più maturo, acquistati a Più Libri Più Liberi di quest’anno. Appunti da un bordello turco di Philip Ó Ceallaigh (traduzione di Stefano Friani), il libro numero uno (maggio 2016) della nuova piccola casa editrice romana Racconti edizioni. «Se vuoi farti un’idea di come se la passa una città devi andare a vedere i suoi margini. Il centro ti dirà che va tutto bene. La periferia ti dirà il resto». L’autore, nato in Irlanda, vive a Bucarest da quindici anni, ha girato mezzo mondo ed è approdato alla scrittura dopo aver svolto una moltitudine di lavori, i più disparati. Ammetto di avere grandi aspettative da questa nuova realtà editoriale.

L’esile Pronto soccorso per scrittori esordienti di Jack London (traduzione di Andreina Lombardi Bom, minimum fax 2005), raccolta di testi narrativi, lettere e brevi saggi sul mestiere della scrittura, ha solleticato la mia curiosità. L’associazione tra autore e titolo mi è sembrata insolita e questo è bastato per desiderane la lettura.

Elena Refraschini
Se non l’aveste già letta, il mio primo consiglio per queste vacanze è di gettarvi nella Trilogia della Pianura di Kent Haruf, recentemente ripubblicata in tiratura limitata da NN Editore in un cofanetto per i lettori più affezionati. Vi troverete raccolti, naturalmente, i titoli già pubblicati nel corso degli ultimi due anni: Benedizione, Canto della pianura e Crepuscolo. Le chicche che ve ne faranno innamorare, però, sono le due mappe della città di Holt disegnate da Marco Denti e da Franco Matticchio (chiunque si senta un esploratore oltre che lettore non potrà che lasciarsi incantare da questa proposta), e un messaggio da parte di Cathy Haruf, moglie dell’autore scomparso nel 2014.

haruf

Anche i miei due prossimi titoli hanno a che fare col viaggio, anche se in sensi e intenti molto diversi. La graphic novel Il suono del mondo a memoria del fumettista italiano Giacomo Bevilacqua (Bao publishing, 2016) è una lettera d’amore a colori per New York, e la delicata storia che narra ne impreziosisce il risultato. Vi sfido a voltare l’ultima pagina e resistere all’impulso di prenotare il primo volo verso l’Atlantico.

Il terzo titolo è l’uscita più recente del mio autore del cuore, Kader Abdolah, che è passato in Italia qualche settimana fa per promuovere Un pappagallo volò sull’Ijssel (traduzione di Elisabetta Svaluto Moreolo, Iperborea, 2016). Una storia corale che, come gli altri titoli dell’autore, vi farà riflettere sui grandi temi, dalla guerra alla povertà, dall’immigrazione all’integrazione, all’amore e alla poesia. Ma, come ogni grande libro che si rispetti, alla fine vi costringerà a riposizionare qualcosa nel vostro arredamento emotivo.

Sofia si veste sempre di nero – Paolo Cognetti

UNA STAGIONE DA LEGGERE  Rubrica dedicata alle stagioni nei libri, perché ogni storia ha la sua stagione.

di Rossella Gaudenzi

AUTUNNO – Sofia si veste sempre di nero

sofia

Una notte l’infermiera si affacciò alla finestra del reparto e vide il furgone di lui fuori dall’ospedale. Gli abbaglianti lampeggiarono tre volte, poi si accesero di nuovo quando lei alzò il braccio per salutare. Chiese il cambio alla sua collega e scese per le scale di servizio fino all’ingresso fornitori, e lì, sotto una pioggia autunnale, l’uomo abbassò il finestrino e le disse di avere preso delle decisioni. L’infermiera lo squadrò, incerta se credergli o meno. Controllò che nessuno li vedesse e lo fece salire al primo piano, dove trovò una stanza vuota in cui potevano parlare in pace.

La nascita di Sofia Muratori in una piovosa notte autunnale apre il romanzo di Paolo Cognetti Sofia si veste sempre di nero (minimum fax, 2012), romanzo di dieci racconti dalla prosa elegante gravitanti attorno a un’unica figura femminile, la ruvida e flessuosa Sofia. Trent’anni della vita di Sofia cadenzati dall’avvicendarsi delle stagioni tra le quali è l’autunno a essere spesso foriero di cambiamenti.

Nell’ottobre del 1994 Marta stava tirando a lucido le piastrelle del bagno quando sentì dei tonfi, come di tamburo provenire dalle scale. Uscì sul pianerottolo, dove la sua vicina era già in allarme, e si sporse dalla ringhiera: cinque piani sotto, una ragazza vestita di nero dalla testa ai piedi trascinava una valigia più grossa di lei, issandola un gradino dopo l’altro e sbattendola sul successivo. Saliva le scale all’indietro e tirava la valigia con due mani come un rematore. «Sofia», gridò Marta dal pianerottolo.

Se questa casa fosse un palcoscenico il sipario si alzerebbe su una mattina di ottobre, l’autunno radioso di Roma alle finestre, il disordine di una cucina da studentesse. Caterina, l’attrice saggia e allegra, prepara la colazione cantando: mette in tavola latte, burro, marmellata, succo d’arancia, muesli all’uvetta e tre tipi di biscotti diversi. Un trionfo di zuccheri dispiegato sotto gli occhi di Sofia, l’attrice con il brutto carattere, che appena sveglia detesta mangiare, sentire odore di cibo, fare conversazione ed essere guardata, e viene a patti con il suo stare al mondo soltanto dopo una robusta dose di tabacco e caffè nero.

Al lago in settembre non c’era più nessuno, tranne i turisti tedeschi e i camerieri e i pescatori di persici e lavarelli. Seduto su uno scoglio, otto anni e qualche mese prima di morire, Roberto Muratore scrutava sua figlia fingendo di leggere il giornale. Sofia ruppe la superficie dell’acqua con la punta dii un piede, come per sentire la temperatura, ma aveva freddo, si vedeva anche di spalle: teneva le braccia rigide lungo i fianchi e stringeva le maniche della felpa nei pugni. Gli orli erano tutti rovinati per quel suo vizio di stropicciarli e mordicchiarli.

Il prossimo mese, in novembre per l’appunto, uscirà per Einaudi il nuovo romanzo di Paolo Cognetti, Le otto montagne  già caso editoriale, venduto in 15 paesi.

Qui il post di Paolo Cognetti dove racconta la genesi del romanzo.

Qui la nostra intervista a Paolo Cognetti, del 25 luglio 2013.

Sofia si veste sempre di nero
Paolo Cognetti

minimum fax, 2012
pp. 203, € 14

I consigli per l’estate dei Serpenti: Pierluigi Lucadei

Pierluigi Lucadei, l’autore della nostra rubrica Musica per camaleonti, consiglia:

Io sono vivo, voi siete morti, Emmanuel Carrère (Adelphi, 2016)
Esultino gli appassionati di Philip Dick e quelli di Emmanuel Carrère, perché Adelphi ha da poco ripubblicato la biografia del guru della fantascienza firmata dall’autore de L’avversario in una nuova pregevole traduzione (di Federica e Lorenza Di Lella). Attraverso una scrittura chirurgica, (auto)analitica, Carrère disegna una vita ai margini della normalità, facendo leva innanzitutto sui romanzi che Dick ha scritto negli anni e trasformandoli in materia biografica più autentica della biografia stessa. Io sono vivo, voi siete morti è un libro lungo e folle, ma non incompatibile con l’ombrellone.

Sei chiodi storti, Dario Cresto-Dina (66th and 2nd, 2016)
Ci sono pagine di storia che hanno rischiato di non essere scritte. Una di queste è la prima e unica Coppa Davis del nostro tennis, vinta nel 1976 da Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli, con Nicola Pietrangeli capitano non giocatore. La finale era in programma a Santiago contro il Cile e siccome al potere c’è il dittatore Pinochet e si era nel pieno degli anni Settanta, la politica, la stampa e l’opinione pubblica si misero di traverso per non far giocare l’incontro. Gli azzurri partirono e (con la Rai che oscurò l’evento) si presero ciò che meritavano. Il libro di Cresto-Dina serve per non dimenticare quel trionfo a quarant’anni di distanza.Trilobiti

Trilobiti, Breece D’J Pancake (minimum fax, 2016)
Forse è fin troppo facile la santificazione di uno scrittore morto suicida a ventisei anni, autore di un solo libro, la raccolta di racconti Trilobiti. Eppure chi ha letto le sue storie sa bene che Pancake era uno scrittore di razza, capace di convogliare in un unico spietato rintocco narrativo la forza biblica della natura, la solitudine dell’America rurale, l’odore delle roulotte e la polverosità delle cave di carbone, l’angoscia di una vita misera e di un sesso infelice. Queste pagine sono le uniche che ci restano di uno scrittore nichilista e disperato, e minimum fax le ha appena ripubblicate nella nuova traduzione di Cristiana Mennella, con la prefazione di John Casey e una nota di Joyce Carol Oates.

Cosa si fa con un libro? A Roma la parola alla scrittrice
Rossella Milone

COSA SI FA CON UN LIBRO? Seconda edizione Roma 

Quarto appuntamento di COSA SI FA CON UN LIBRO?, seconda edizione a Roma.
Il 12 aprile 2016 alle 19, alla libreria Scripta Manent (Via Pietro Fedele, 54 – zona Appio-Latino). 

Prosegue il 12 aprile Cosa si fa con un libro? con la scrittrice Rossella Milone, dopo gli incontri con lo scrittore Sandro Bonvissuto, l’editore Sandro Ferri e il redattore Massimiliano Borelli.

Ospiti della libreria Scripta Manent di Lina Monaco e Maurizio Ceccato, torneremo sul tema della scrittura e dei suoi perché, soffermandoci sulle differenze fra racconto e romanzo, sul perché in Italia i racconti si leggono meno.

Rossella Milone, nata a Pompei nel 1979, è scrittrice, giornalista e blogger. Le piacciono Alice Munro, le montagne e le meduse. Ha esordito nel 2007 con i racconti Prendetevi cura delle bambine (Avagliano) e non ha più smesso di scrivere. Ha pubblicato per Einaudi La memoria dei vivi e Poche parole, moltissime cose. Con Laterza Nella pancia, sulla schiena, tra le mani e con minimum fax, nel 2015 Il silenzio del lottatore.

Coordina Cattedrale, un osservatorio online sul racconto. Fa parte della squadra dei Piccoli Maestri, il progetto che promuove la lettura nelle scuole. Collabora attualmente con Il Fatto Quotidiano e cura un blog.

Al termine sarà offerto il consueto aperitivo a sorpresa preparato dai nostri eccellenti gourmet Sabina e Michele.

Vi aspettiamo!

Cosa leggiamo a Natale. I consigli di Federica Antonacci


Riceviamo e pubblichiamo volentieri i consigli di Federica Antonacci, collaboratrice de L’orma editore. Federica ha una laurea in Lettere e un Master in comunicazione. È web content editor con altre aspirazioni: i libri, come si fanno, come si traducono, come si scrivono, e perché. Il suo motore è l’inadeguatezza: colmare i vuoti di conoscenza leggendo, studiando, scrivendo, camminando.

Gli-anni-Gli anni di Annie Ernaux (L’orma editore, 2015)
Una storia individuale dentro la storia collettiva, una “autobiografia impersonale”, nella definizione della stessa autrice. Una scrittura asciutta, misurata, che nella traduzione di Lorenzo Flabbi non è snaturata e mantiene l’equilibrio perfetto delle parole esatte. Gli anni è uscito in Francia nel 2008, alla fine di un percorso personale di vita e scrittura che a partire da un singolare modo di fare autobiografia porta Ernaux a realizzare una biografia collettiva, unica nel suo genere, ed emozionante. Il nastro che si snoda parte dagli anni Quaranta e dall’immediato dopoguerra e arriva al 2006, delineando con precisa asciuttezza i cambiamenti della persona e della società. Attraverso i tòpoi ripetuti della descrizione delle fotografie di lei (che la ritraggono nelle epoche – di storia e di vita – più diverse), e dei pranzi di famiglia dei giorni festivi (che delineano i mutamenti della composizione anagrafica e familiare e parallelamente il mutare dei costumi e lo svolgere degli eventi) vengono scandite la Storia e la storia, appunto: personale e collettiva, come un inscindibile racconto carico di vita.
A vederla sulla foto, una bella ragazza solida, non si sospetterebbe mai che la sua più grande paura sia la follia. Per salvaguardarsene, almeno per il momento, non le viene in mente altro che la scrittura, forse un uomo. Ha iniziato un romanzo in cui si alternano le immagini del passato e quelle del presente, i sogni notturni e le fantasticherie sul futuro, il tutto in un “io” che è il doppio dissaldato di se stessa. È sicura di non avere nessuna “personalità”.

invenzione_della_madreL’invenzione della madre di Marco Peano (minimum fax, 2015)
Non è il dolore, non è la perdita, il fulcro de L’invenzione della madre (esordio di Marco Peano e Libro dell’Anno di Fahrenheit – Radio 3), ma la strada che si percorre attraverso essi. Un prima, un durante, un dopo, e la costruzione di sé e dell’essere amato che si sta perdendo. I tanti livelli di questo libro (il singolo, la famiglia, la relazione madre/figlio, la malattia, l’emancipazione e la costruzione di sé) si sfaccettano nelle micro-narrazioni di cui il libro è composto ma delineano un unicum il cui cuore è proprio l’invenzione. Di un tempo nuovo che è quello della malattia, di una madre nuova, che era sana, è malata e mancherà ma mai del tutto, di un nuovo sé, quello del protagonista, che nel dolore si era acquietato usandolo da rifugio e rallentatore del tempo. Accettazione e invenzione, dunque, come un nuovo motore di vita che non perde nulla dell’evento tangibile della perdita, ma anzi ne fa pietra angolare e lente di ingrandimento dentro di sé.
«Gli ci vorrà un po’ per accettare, vittima dei pregiudizi e forse anche di una certa formazione cattolica, che quelli sulla sofferenza che tarda ad arrivare, sul senso di colpa, in realtà sono falsi problemi. Non c’è altro da fare se non provare quello che c’è da provare, e lo spazio per i sogni, per il dolore e per le lacrime – tutte queste cose arriveranno».

Giorgio Manganelli, Viola Papetti, Lettere senza risposta (nottetempo, 2015)
Un epistolario intimo e privato regala un ritratto meravigliosamente umano e al contempo eclettico e magniloquente del grande Manganelli, negli scambi con la donna che a lungo sarà la sua amante e con cui condivideva un sodalizio anche professionale, Viola Papetti. Dalla postazione privilegiata della vicinanza estrema degli amanti, dalla conoscenza profonda che derivava dalla comunione intellettuale ed erotica, emerge un Manganelli che non smette mai di essere sé, uomo appassionato e vero, anche fragile nei momenti dell’assenza, uomo di lettere che lo è anche quando l’oggetto della scrittura è oggetto di passione.
«Quanto sto bene stretto a te, con te, su di te, dentro di te: guaina, fodero, rilegatura, discesa, labirinto, adito. Mi piaci perché hai un corpo penetrabile e cedevole, un corpo che ama essere attraversato, inchiodato, dilatato, tormentato, illanguidito; e mi piace quel corpo perché è tuo, lo porti come un modo per consentire l’accesso a te, a quel fulvo calore che ora ha avuto ragione dell’inveterato gelo della tua pelle. Ti scrivo e ti desidero, vorrei che ti arrivasse, che ti disturbasse gli ozi madrileni il desiderio, il puro e crudo desiderio di averti, di progettare un incontro, di fantasticare nuovi abbracci, di sentire in me e in te, il languore della saliva, del sudore, l’indulgenza e il furore delle mucose, della rosa cedevole e della rosa penetrativa. Se tu mi pensi, come spero, il tuo pensarmi ti dirà che io ti penso, e che anche desiderarti è un’arguzia, un gioco, un travestimento del pensarti. Ti penserò finché non ti sentirò, di nuovo, gemere. A presto. Ti bacio. Giorgio».

Perché scrivo? Bernard Malamud

PERCHÉ SCRIVO? – La rubrica dedicata ai perché della scrittura

Bernard Malamud

Semplicemente, non sempre il dono del talento viene concesso in modo gratuito e ben chiaro; c’è anche chi, pur appassionato alla scrittura con tutta l’anima, magari deve passare metà della propria vita a scoprire quale sia l’argomento più adatto per lui. Io ho cominciato a scrivere da piccolissimo, eppure mi ci sono voluti anni per cominciare a scrivere davvero.

Alle elementari, periodo in cui vivevo uno stato esaltante di scoperta continua, trasformavo i compiti in racconti. A dieci anni, scrissi una storia su una nave perduta nel Mar dei Sargassi. Il vascello compariva in sogno, pronto a intraprendere un lungo viaggio in quei mari dalla calma piatta. Era questa, per cominciare, la natura del mio «dono» da bambino – me n’ero accorto un giorno – e rimase così per molti anni, prima che cominciassi a saperlo usare bene. Per anni quel dono fu una benedizione capace di sanguinare come una ferita. Iniziò così un’epoca di lunga attesa.

Una notte, dopo aver faticato invano per ore nel tentativo di dar vita a un racconto, mi misi a sedere sul letto con la finestra aperta e guardai le stelle dopo un temporale. Provai un’ondata di sensazioni, di emozioni provenienti dal cuore, prova di una dedizione alla vita e all’arte così profonda che mi fece salire le lacrime agli occhi. Per la centesima volta mi ripromisi che un giorno sarei diventato uno scrittore davvero bravo. Questo rinnovato entusiasmo, e altri episodi simili, mi tennero vivo nell’arte negli anni prima che riuscissi a realizzare qualcosa. Dovevo averne circa venticinque allora, e aspettavo ancora, a modo mio, che la mia vera vita di scrittore cominciasse. Mi ricordavo dell’affermazione di Kafka, all’incirca alla stessa età: «Dio non vuole che io scriva, ma io devo scrivere».

Ho scritto per quasi tutta la vita. La mia scrittura ha estratto, da un’anima riluttante, un certo grado di stupore per la natura della vita. E più scrivevo bene, più sentivo che avrei dovuto scrivere meglio.

Nella mia scrittura ho dovuto raccontare quello che mi era successo realmente, e allo stesso tempo presentarlo come se mi fosse stato rivelato per magia. Ho cominciato a scrivere seriamente quando mi sono imposto la disciplina necessaria a raggiungere quello che volevo. Quando ho raggiunto quel momento, le mie parole mi si sono presentate da sole. Ho dedicato la mia vita alla scrittura senza rimpianti, a parte quando ripenso a quello che nel mio lavoro avrei potuto fare meglio. Volevo che la mia scrittura fosse della più alta qualità possibile, e nel complesso penso che lo sia. Ho riscritto i miei romanzi, o i miei racconti, almeno tre volte: una per comprenderli, la seconda per migliorarne lo stile, e la terza per costringerli a dire ciò che ancora dovevano dire.

Estratto di un articolo uscito sul New York Times il 20 marzo 1988. Riproduce il discorso tenuto da Bernard Malamud al Bennington College il 30 ottobre 1984, nell’ambito della serie di conferenze «Ben Belitt».

Di Bernard Malamud è appena uscito in libreria Per me non esiste altro. La letteratura come dono, lezioni di scrittura (minimum fax). Qui un estratto della prefazione del curatore Francesco Longo.