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Prestami le ali: un’avventura per uscire dalla schiavitù

SCARABOCCHI – La rubrica dedicata alla letteratura per bambini e ragazzi 

di Rossella Gaudenzi

«Che brutta cosa togliere la libertà a qualcuno. Portarlo via da casa sua. Portarlo lontano dalla sua mamma».

Igiaba Scego, scrittrice e giornalista romana di origine somala, collabora con «Internazionale» e firma una rubrica di libri per bambini e ragazzi. Il suo ultimo romanzo pubblicato in Italia è Adua (Giunti Editore, 2015). Nel 2017 ha pubblicato per Rrose Sélavy Editore (qui la nostra intervista all’editore Massimo De Nardo) il suo primo libro per bambini, Prestami le ali, impreziosito dalle incantevoli illustrazioni di Fabio Visentin.

Ho conosciuto Igiaba Scego nel tardo pomeriggio di un sabato d’ottobre al Pigneto. Non è un caso che dopo poche battute il discorso abbia virato sul mondo dei blog e delle loro potenzialità. Una settimana prima a Mogadiscio un attentato, definito l’11 settembre della Somalia (Adama Munu su «Internazionale»), ha ucciso oltre trecentocinquanta persone e ne ha ferite più di duecento: «E nessuna testata giornalistica ha voluto spendere uno spazio degno della portata della strage. Un blog in cui dare notizia e fare informazione seria credo sia una possibile soluzione, ci penso da tempo, perché le persone vogliono sapere, conoscere i fatti, questo è un dato che riscontro continuamente».

Prestami le ali nasce da un tuo viaggio di ricerca a Venezia durante il quale hai scoperto, attraverso il dipinto di Pietro Longhi Clara al Carnevale di Venezia, l’esistenza della rinoceronte Clara, ridotta a fenomeno da baraccone nel XVIII secolo. Come è nata costruita la storia di Clara?
Mi trovavo a Venezia per “Remapping the Ghetto” dell’Università Ca’ Foscari, progetto per il quale sono rimasta un mese in città. L’idea era quella di raccontare il ghetto, partendo da quello veneziano, nelle sue varie accezioni: ghetto fisico, ghetto della contemporaneità e via dicendo.
È nel Museo Ca’ Rezzonico, davanti il quadro Clara al Carnevale di Venezia di Pietro Longhi, che ho trovato il mio punto di partenza: il corpo della rinoceronte Clara come ghetto, come mancanza di libertà. Sono molto attenta agli animali – nel mio libro precedente, Adua, uno dei protagonisti è l’elefante – e sono sempre rimasta colpita e turbata dall’usanza di offrire rinoceronti come doni coloniali a re e sovrani. La riduzione in schiavitù degli uomini trova un corrispettivo nella prigionia degli animali ed è sostanzialmente la condizione dei subalterni, degli uomini del Sud del mondo. Osservando il rinoceronte del quadro ho subito colto la sofferenza: un animale che sta male circondato da maschere, una serie di elementi che cozzano gli uni con gli altri. Che cosa ci fa un rinoceronte a Venezia in mezzo alle maschere? Ho iniziato a indagare ed è stato interessante scoprire che la protagonista del quadro fosse la rinoceronte; ho scritto un racconto per adulti – ancora custodito nel mio pc – e mentre scrivevo pensavo costantemente a quanto sarebbe stato bello ricavarne un racconto per bambini.

Ho tenuto un laboratorio per bambini alla Scuola Elementare Carlo Pisacane di Torpignattara in concomitanza con la festa annuale della scuola, Taste de World – Festa Internazionale per musica, cibo, persone. Sono stata invitata e anziché parlare di me, rischiando di annoiare i bambini, ho deciso di parlare della rinoceronte. Si è subito creato uno scambio vivace, attraverso giochi e indovinelli e contemporaneamente un profondo lavoro di lettura del quadro, i bambini si sono entusiasmati. Che cos’è Venezia? Che cosa ci fa un rinoceronte a Venezia? Che cosa vedete nel quadro? «La cacca!», è la prima risposta, quindi la prima cosa che mettono a fuoco. Dopo questa esperienza ho deciso di fare un tentativo: non ho mai scritto una favola e ho voluto provarci. Oltre alla rinoceronte Clara, al gatto Gigi e alla rondinella ho inserito i protagonisti, due bambini: Ester l’ebrea, relegata nel ghetto, e il servetto somalo Suleiman. Sono arrivati da una doppia esperienza. La prima è quella vissuta nel ghetto: per un mese ho attraversato la città, ho parlato con le persone, ho visitato sinagoghe e il Museo Ebraico, sono andata a teatro a vedere Il mercante di Venezia di Shakespeare, ho gustato i dolci tipici. La seconda è stata la presenza dominante dei “moretti” veneziani nell’iconografa del luogo. Persino in albergo c’è il moro incatenato che regge la candela, così come nei gioielli, all’interno dei musei; da afro-discendente sono colpita da questi molteplici simboli di schiavitù. I due bambini, insieme alla rinoceronte Clara, hanno in comune un problema di schiavitù. Come possono i tre personaggi uscire da questo stato di oppressione? Volevo spiegare la schiavitù e la libertà ai bambini, che comprendono immediatamente e alla perfezione.
Prestami le ali è un’avventura per uscire dalla schiavitù. Man mano inserivo spunti, animali, vicoli, tutto ciò che ricordavo della città nella sua quotidianità, schivando i simboli turistici e stereotipati (come le gondole e i canali). Parallelamente ho studiato la storia della rinoceronte indiana Clara, piuttosto straziante: sedata continuamente per essere trasportata in Europa e morta molto giovane.

Come è stato scelto il titolo Prestami le ali?
Lo abbiamo scelto io e Massimo De Nardo, l’editore di Rrose Sélavy. Volevamo giocare con l’idea delle ali ma allontanarci da un titolo che suonasse come Storia di una gabbianella e del gatto che le prestò le ali di Luis Sepúlveda. Il concetto del prestare le ali da parte del leone di San Marco era centrale: il leone rappresenta un potere illuminato. Non nascondo di essere andata con la mente ai bambini della Scuola Carlo Pisacane e al tema dello Ius Soli. Il “potere” dovrebbe permettere di emanare leggi che consentano di vivere tutti con gli stessi diritti. Il leone rappresenta dunque un potere illuminato.

Il libro presenta personaggi molto diversi tra loro: Clara, Suleiman, Ester, il gatto Gigi e la rondinella. Quale ti somiglia di più?
Mi immedesimo in entrambi i bambini. Sono un’afro-discendente nata in Italia e il razzismo è stato una costante della mia infanzia; oggi sono corazzata e come strategia, quando sono arrabbiata, scrivo. Da bambina non avevo gli strumenti per difendermi. In Italia imperversa secondo me un razzismo istituzionale: mancano le leggi, c’è una paura crescente, l’incapacità di raccontare il cambiamento che sta vivendo il nostro Paese; è mancata la classe dirigente che non ha gestito la conoscenza reciproca, l’accoglienza, l’inclusione sociale e il fenomeno molto esteso della migrazione. Non si possono mischiare il figlio di migrante, il migrante che si trova in Italia per motivi di lavoro, lo studente, il rifugiato politico. C’è migrante e migrante e si deve iniziare a spiegare questa parte di popolazione agli altri, dovremmo conoscerci, anche perché paradossalmente gli stereotipi vengono assorbiti dai migranti stessi: conosco molte donne arabe razziste.
Il razzismo lo vedo con i miei occhi ma riesco a combatterlo, da piccola non ne ero capace e ciò che mi ha aiutata maggiormente è stata la lettura; nei libri della biblioteca scolastica o assegnati dalla maestra io ritrovavo me stessa: Marco, il protagonista del racconto Dagli Appennini alle Ande di Edmondo De Amicis, mi somigliava. I libri mi hanno dato degli strumenti per spiegarmi al mondo. A Ester e Suleiman ho voluto fornire strumenti di forza da dare al rinoceronte, che è completamente arreso.

Ci racconti il rapporto con le illustrazioni del veneziano Fabio Visentin?
Le illustrazioni di Prestami le ali rappresentano una svolta, perché il libro non sarebbe quel che è senza l’incontro felice con Fabio Visentin. L’illustratore ha letto la storia, ne ha colto la dimensione favolistica oltre a quella settecentesca e ha voluto rendere questa dimensione attraverso illustrazioni meravigliose. Fabio Visentin ha grande esperienza, è veneziano e della sua città ha scelto di rappresentare aspetti particolari e non scontati. Ci tenevo tantissimo alla rappresentazione del Carnevale: la storia si svolge durante questa festa che fa parte della tradizione del nostro Paese ma che stiamo perdendo. Oggi si festeggia Halloween ma sempre di meno il Carnevale, festa che amo molto: è il momento della trasgressione, del travestimento, del cambiamento di identità.

Portando il tuo libro in giro per l’Italia, a contatto con bambini e adulti di luoghi ed età differenti, hai avuto qualche sorpresa?
I bambini capiscono tutto e subito, questa è la sorpresa per me più bella: è un pubblico coinvolto che si diverte, interagisce, pone domande. Mi arricchisco e mi rimetto in gioco ogni volta. Mi piacerebbe trasformare il libro in opera teatrale da portare nelle scuole: i bambini seguono, si appassionano (sogno addirittura di farne un cartone animato, ma questo progetto è pressoché irrealizzabile).
Prestami le ali e spiega il razzismo e la schiavitù in modo non didattico ed è un libro in cui tutti i bambini possono rispecchiarsi, qualunque sia la loro origine. Purtroppo tra i libri per bambini pochissimi hanno titoli sulle minoranze, con personaggi principali latinos, afroamericani, americani asiatici, ecc. Quando ciò accade si rischia di cadere in storie pietistiche. In Italia ci sono poche eccezioni, mi viene in mente, ad esempio, il bel lavoro di Patrizia Rinaldi capace di inserire le diversità nelle sue storie.

Quando hai pensato per la prima volta di scrivere per i bambini?
Ho già scritto per ragazzi. Nel 2003, incontrando Della Passarelli, editrice di Sinnos, al Salone del Libro, le ho chiesto sfacciatamente di scrivere della Somalia attraverso la storia di mia madre, per la collana I Mappamondi. Ne è uscito il libro La nomade che amava Alfred Hitchcock, testo molto adatto ai ragazzi. Stavolta però ho voluto scrivere per bambini perché, nel frattempo, ho imparato. Curo per «Internazionale» la rubrica sui libri per bambini e ragazzi: l’ho fortemente voluta perché mi apriva un mondo, essendo da anni, forse da sempre, relegata a scrivere di guerre e di violenza. Ho iniziato con le recensioni per ragazzi e inoltrandomi in questo mondo ho imparato. Sicuramente continuerò a scrivere per bambini e ragazzi, ho varie idee, tra cui quella di scrivere un fumetto; un buon ritmo sarebbe alternare un libro per adulti con un libro per bambini e ragazzi. Ciò che so per certo è che le mie storie, come è avvenuto finora, nasceranno o dalla meraviglia o dalla rabbia.


Cosa leggevi da piccola?
L’intera opera di Agata Christie fatta eccezione per Sipario, perché non volevo che Hercule Poirot morisse, e tantissimi fumetti: Topolino, Diabilok, Alan Ford. Senza dimenticare che la mia formazione è cinematografica. Da bambina ho visto una quantità  stratosferica di film.

Cosa c’è da leggere sul tuo comodino?
In questo momento sto leggendo due libri di donne: L’età dell’innocenza di Edith Wharton (Corbaccio, 1993) e La ragazza con la Leica di Helena Janeczek (Guanda, 2017). Sono solita leggere due libri contemporaneamente, purché molto distanti tra loro.

Igiaba Scego è una scrittrice italosomala nata a Roma nel 1974. Collabora con «Internazionale», «Lo straniero», «la Repubblica», «il manifesto». Tra i suoi libri: Pecore nere, scritto insieme a Gabriella Kuruvilla, Laila Wadia e Ingy Mubiayi (Laterza, 2005); Oltre Babilonia (Donzelli, 2008); La mia casa è dove sono (Rizzoli, 2010, Premio Mondello 2011); Roma negata. Percorsi postcoloniali nella città (con Rino Bianchi, Ediesse, 2014); Adua (Giunti Editore, 2015); Prestami le ali (Rrose Sélavy Editore, 2017).

La casa editrice Rrose Sélavy alla ricerca del bello

SCARABOCCHI – La rubrica dedicata alla letteratura per bambini e ragazzi 

di Rossella Gaudenzi
La piccola casa editrice Rrose Sélavy veleggia alla ricerca del bello. Nata nel 2014 a Tolentino, delizioso centro del maceratese, per volontà dell’editore e scrittore Massimo De Nardo, si distingue per la cura dell’oggetto libro nel panorama dell’editoria per ragazzi.
Quanto a illustrazioni, la casa editrice si può pregiare di splendide tavole di firme famose quali Gianni De Conno, Fabio Visintin, Paolo D’Altan. Tra gli scrittori del catalogo ce ne sono molti che non avevano mai scritto  per ragazzi, come Loredana Lipperini, Carlo Lucarelli, Sandra Petrignani e Igiaba Scego (a breve l’intervista sul suo Prestami le ali).

Massimo De Nardo ci racconta la sua avventura editoriale.

Partiamo dal nome della casa editrice, Rrose Sélavy, ricercato, ricco di suggestioni e diversi piani di lettura. Ci racconti la genesi di questo nome?
Nasce da una passione per Marcel Duchamp, tra i più interessanti artisti della cultura “visiva” del Novecento (per non dire “pittorica”, dal momento che Duchamp aveva smesso di dipingere). Assieme a Picasso, ha reso tutto possibile, nelle arti figurative, e, al tempo stesso, reso tutto impossibile. C’è una foto, notissima, scattata da Man Ray (altro straordinario personaggio) che ritrae Duchamp vestito (non travestito) da donna. Man Ray ha scritto sulla foto: “Rrose Sélavy alias Marcel Duchamp”. E questa inversione di identità è già di per sé un pensiero concettuale, ironico, giocoso. Le opere di Duchamp hanno più di cento anni, ma per noi, e non solo per noi, rappresentano ancora la modernità. Difficile non essere “duchampiani”. Il nome Rrose Sélavy è parte di una dedica che Duchamp fece al suo amico Picabia. È anche un anagramma: la vita è passione (eros). Un bel po’ di cose, quindi. Che abbiamo fatto nostre.

Quando e perché hai pensato di avventurarti nella creazione di una casa editrice per ragazzi? E a quale fascia d’età si rivolge Rrose Sélavy?
Pubblicavamo una rivista trimestrale, Rrose, sulla creatività. L’idea di un inserto si è poi trasformata in un vero e proprio progetto editoriale (era il 2014), l’attuale collana di libri illustrati per ragazzi, Il Quaderno quadrone. Siccome il nostro destino non è scritto da nessuna parte, succede che – citando Cristina Campo – si possa «realizzare l’impossibile attraverso l’impossibile». Oggi le collane sono tre: Il Quaderno quadrone, Il Quaderno cartone (per i lettori più piccoli), Il Quaderno Ready Made (romanzi brevi, non illustrati). L’età dei nostri lettori: dai quattro ai sedici anni. Una misura anagrafica certo molto elastica, dentro la quale ci sono anche i lettori adulti. Dipende ovviamente dalle storie che proponi.

Quante persone lavorano presso la casa editrice e come sono distribuiti i ruoli? Quanti titoli pubblica annualmente Rrose Sélavy?
Tre (due responsabili tutto-fare e un grafico editoriale). Coerenti con il fatto che siamo una piccolissima casa editrice. Pubblichiamo quattro o cinque titoli, con il desiderio di farne qualcuno in più, senza però oltrepassare quel limite oltre il quale può diventare più difficile seguire con la giusta attenzione i singoli titoli, come invece facciamo.

«Ciò che sta caratterizzando questa nostra piccola casa editrice è l’aver coinvolto scrittori e scrittrici che non avevano mai scritto per ragazzi. Continueremo così».  Quali sorprese e scoperte sono scaturite da questa scelta editoriale?
È stata una scelta che in qualche modo ci ha contraddistinto, anche se non sono mancate le difficoltà, specialmente in questo settore che è abituato un po’ alle etichette di genere. La sorpresa, all’inizio, eravamo noi a farla nascere negli altri: una piccolissima casa editrice che si presenta con autori di alto livello. Le scoperte sono quotidiane, a volte piacevoli altre meno: cercare gli autori, coinvolgere gli illustratori, spostare poi la creatività verso la realtà commerciale nei rapporti con i distributori, le librerie, i lettori. Costruire esperienza sugli errori e sui successi, ogni momento, come per qualsiasi altro lavoro autonomo.

Soffermiamoci sul progetto editoriale Il Quaderno quadrone, che esalta innanzitutto la bellezza dell’oggetto libro.
Quello che una storia racconta non esiste se un libro non viene aperto. Pensiero ovvio. Che porta a dire che l’aspetto esteriore ha una sua responsabilità nel farci desiderare di aprire un libro. Un libro va realizzato con criteri tecnici ed estetici: tipo di carta, lettering, formato, grafica di copertina, impaginazione, rilegatura. Noi siamo partiti da questa linea di condotta, e cercheremo di mantenerla.

La casa editrice è promotrice di cultura in senso lato tra i banchi di scuola attraverso laboratori di scrittura per la scuola primaria e secondaria. Quale impatto ha questa attività sul territorio e quante energie richiede? Va considerata attività necessaria?
Estremamente necessaria. I nostri laboratori sono improntati “rodarianamente” sulla scoperta delle parole, sulla ricerca dei significati, sul racconto fantastico, sul gioco espressivo. Coinvolgere le scuole nei progetti di scrittura è una responsabilità non di poco conto, perché oltre a interessare le insegnanti (in genere, quasi tutte donne) e gli alunni ci sono anche le famiglie e, in maniera più ampia, i cittadini consapevoli.

Rrose Sélavy è una casa editrice che ha sede a Tolentino, splendido paese messo in ginocchio dal terremoto del 2016. Lo scorso novembre è uscito L’altra notte ha tremato Google Maps, di Michela Monferrini. Il libro ha avuto un discreto successo. Letteratura come esperienza di condivisione, come catarsi?
La letteratura è – se così posso dire – la vita degli altri che facciamo nostra. Michela Monferrini, che nel suo libro racconta il terremoto di Amatrice, pur affrontando una realtà carica di dolore è comunque riuscita con intelligenza e sensibilità a raccontarci una storia delicata, i cui protagonisti sono una nonna, suo nipote tredicenne Giordano e una ragazzina, Elisa, con la quale Giordano scambia una serie di sms tra cronaca dell’evento drammatico e sentimenti personali. La domanda del nipote tredicenne: «Come portare la nonna che non cammina più in un posto che non c’è più» è risolta attraverso Google Maps, che ci fa vedere Amatrice com’era prima, ci fa di nuovo attraversare le sue strade. Questo elemento aggiunge valore narrativo a una vicenda che ha coinvolto emotivamente molti lettori. Condivisione e catarsi? Probabile che la letteratura serva anche a questo, e se così è evviva la letteratura.

Massimo De Nardo scrittore e al contempo editore. Che mestieri fantastici!  novembre 2012 (Il Quaderno quadrone, nuova edizione novembre 2016 con illustrazioni di Giulia Orecchia) e Maffin, marzo 2016 (collana Il Quaderno Ready Made).
Due identità che vanno molto d’accordo tra loro. Si aiutano a vicenda, e spero di ricavarne uno sguardo completo, oggettivo e partecipativo. Essere editore (nel mio piccolo) mi fa vedere più razionalmente l’altra parte di me che pretende di essere scrittore (nel mio piccolo).

Ultima domanda di rito: quali libri ci sono sul tuo comodino?
Uno solo, ma sta lì da tempo. Perché ho smesso di leggere a letto. Per il semplice motivo che leggo molto durante il giorno. Credo però che la domanda non volesse indicare un luogo o delle abitudini di lettura, ma sapere cosa legge chi si occupa, come me, di editoria per ragazzi. Non faccio delle distinzioni nette, importante è che le storie siano ben scritte e che abbiano qualcosa da dire. Mi ritrovo comunque a leggere di più i libri per adulti, anche se – come dico spesso durante i nostri laboratori di scrittura – è il modo in cui le racconti, le storie, a farle essere per adulti o per ragazzi.