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Fiori di rovina – Patrick Modiano

Recensione di Rossella Gaudenzi

Una tarda domenica di novembre e un uomo che, sotto la luna, erra per le vie di Parigi. Vaga come un sonnambulo, posa gli occhi su vie e scorci nei quali inciampa, sollecitato da sensazioni indecifrabili o ricordi nitidi, fino a che qualcosa ne arresta i passi. In rue des Fossées-Saint-Jacques si sorprende a fotografare un evento avvenuto decenni prima: al civico 26, il 24 aprile 1933, il suicidio per ragioni misteriose di una giovane coppia.
Così inizia Fiori di rovina, la seconda opera di Patrick Modiano pubblicata da Lantana dopo Riduzione di pena (2011). Romanzo breve, stringato, elegante, che è lo scorrere la mappa di una Parigi della memoria. Dai fatti di cronaca del ’33 alle ricerche traumatiche delle inspiegabili vicende di famiglia il passo è breve: i piedi portano laddove i misteri della coppia suicida, Urbain e Gisèle T., si intrecciano a quelli personali. Le tremolanti mani di Modiano plasmano figure del passato, Claude Bernard, la bionda danese Jacqueline, il controverso Philippe de Pacheco: «Il destino di un uomo ricercato per spionaggio a favore del nemico e di cui non si sapeva se fosse uscito vivo dal campo di Dachau mi lasciava perplesso. Per quale concatenazione di circostanze era stato trascinato in questa situazione contraddittoria? Pensavo a mio padre che aveva vissuto tutte le incoerenze del periodo dell’Occupazione, di cui non mi aveva detto quasi nulla prima che ci lasciassimo per sempre. Ed ecco che, intravisto appena, anche Pacheco si eclissava senza avermi dato spiegazioni».
Fiori di rovina è il romanzo delle domande senza risposta. Contiene, più che il girovagare alla ricerca della verità, l’andare errando, ossia il cadere in errore perché si sfiorano indizi ma alla verità non ci si arriva mai: «Annotavo via via qualcosa. Senza averne chiaramente coscienza, cominciavo il mio primo libro. Non era una vocazione né un dono particolare spingermi a scrivere, ma molto semplicemente l’enigma di un uomo che non avevo nessuna possibilità di ritrovare, e tutte quelle domande che non avrebbero mai avuto risposta. Dietro di me, il juke-box diffondeva una canzone italiana. Un odore di gomme bruciate si spandeva nell’aria. Una ragazza avanzava sotto il fogliame degli alberi del boulevard Joudan. La sua frangia bionda, i suoi zigomi e il suo vestito verde erano la sola nota di freschezza in quell’inizio di pomeriggio d’agosto. A che pro sforzarsi di risolvere dei misteri insolubili e seguire quei fantasmi, quando la vita era là, molto semplice, sotto il sole?».
Torna nel romanzo l’eco ossessiva di un episodio centrale della vita del narratore: l’arresto del padre ebreo nel 1943, già presente in Riduzione di pena e fil rouge di buona parte dell’opera di Patrick Modiano.
L’autore convince con frasi brevi che con mira da cecchino fanno centro, sono piene e scarne al contempo, agili, precise, in un equilibrio perfetto di pieni e vuoti: «Noi giocavamo per pomeriggi interi tra vasche e statue rotte, pietre e foglie secche. Le lancette dell’orologio non camminavano. Indicavano eternamente le cinque e mezza. Quelle lancette immobili ci avvolgevano in un silenzio profondo e rassicurante. Basta restare nel viale e niente cambierà mai ».
Come postfazione è stato scelto il saggio critico di Norbert Czarny Una certa magia («Quinzaine Littéraire», n. 576, aprile 1991).

Nota sull’autore
Patrick Modiano (Boulogne-Billancourt, 1945) è uno degli autori francesi più importanti del XX secolo. Ha esordito nel 1968 con La place de l’Etoile cui hanno fatto seguito, tra gli altri, La ronde de nuit, Rue des Boutiques obscures (premio Goncourt), Quartier perdu, Voyage de noces, Un cirque passe. È sceneggiatore del film di Louis Malle Cognome e nome: Lacombe Lucien. In Italia è edito da Einaudi, Guanda, Lantana. Nell’aprile 2012 con Dora Bruder ha vinto il premio Grinzane Bottari Lattes, sezione «la Quercia». Dopo Riduzione di pena (2011) e  Fiori di rovina (2012), per Lantana editore uscirà nel 2013, a chiusura della trilogia, Primavera da cani.

Per approfondire:
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Patrick Modiano, Fiori di rovina
Traduzione di Maruzza Loria

Lantana, 2012
pp. 124, euro 13,50

Recensione in progress: Rossella Gaudenzi sta leggendo Fiori di rovina di Patrick Modiano (Lantana)

Il boulevard Saint-Michel questa domenica sera è annegato in una nebbia di dicembre, e mi fa venire in mente l’immagine di una strada, una delle poche del Quartiere Latino – la sola, credo – che appaia spesso nei miei sogni. Ho finito per riconoscerla. Scende dolcemente verso il boulevard, e il contagio del sogno sulla realtà fa sì che la rue Cujas per me resterà sempre immobile nella luce di inizio anni Sessanta, una luce tenera e limpida che associo a due film di quel periodo: Lola e Adieu Philippines.

 

da Fiori di rovina di Patrick Modiano

dozzini l'uomo che manca

Le interviste dei Serpenti: Giovanni Dozzini

L'uomo che manca - Giovanni DozziniDopo la recensione e la presentazione del libro L’uomo che manca (Lantana) concludiamo il nostro approfondimento con l’intervista a Giovanni Dozzini, scrittore perugino nato nel 1978, editor e giornalista, laureato in giurisprudenza. Ha esordito nel 2005 con il romanzo Il cinese della piazza del pino (Midgard Editore).

Intervista di Eleonora Rossi

Da dove nasce L’uomo che manca? Qual è la sua genesi, quale la scintilla iniziale?
La scena iniziale del romanzo ricalca una scena in cui mi sono realmente imbattuto qualche anno fa, da cronista. La dinamica – un muratore che cade da un’impalcatura e atterra su un palo, rimanendone trafitto – è la stessa, anche se cambiano la collocazione e altri particolari. Mentre ho cominciato a scriverla ho capito che dietro poteva esserci una storia complessa, mi sono dato del tempo e l’ho sviluppata.

Il tuo secondo romanzo si impernia su un episodio tragico: un incidente sul lavoro. Quello che affronti è un tema difficile e impegnativo. Come mai questa scelta? Avevi intenzione, all’inizio, di assumerti un impegno o di scrivere un romanzo di denuncia?
La definizione di romanzo impegnato ci sta, quella di romanzo di denuncia no. Per me la letteratura, come e più di ogni altra forma d’arte, è un atto di grande rilevanza sociale, e come scrittore non potrei evitare di occuparmi di ciò che nella società funziona peggio. Naturalmente questo non vuol dire che prima di scrivere un romanzo debba elaborare una tesi ben precisa da sostenere e sviluppare, naturalmente prima di tutto viene la forza narrativa e il valore letterario di ciò che scrivo – altrimenti scriverei saggi, o reportage. Lo stesso L’uomo che manca non è semplicemente «un romanzo sugli incidenti sul lavoro»: la vicenda di Altim Popi è il pretesto per indagare personaggi, rapporti, dinamiche sociali. Quello che si dovrebbe presumere di trovare in ogni buon romanzo, insomma. 

Un tema difficile, dicevo, perché spesso – anche alla luce di come vengono trattati gli incidenti sul lavoro e le morti bianche dalla cronaca – chi se ne occupa rischia di sfociare nella retorica. Tu, invece, a mio parere, eviti di fare questo errore concentrandoti sui tuoi personaggi e sulla complessità del reale che è alla base di tutte le storie, soprattutto le più tragiche. Come hai trovato questa chiave?
Non saprei dirlo, esattamente. La mia intenzione era quella di raccontare una storia, di costruire personaggi plausibili e significativi, di evitare i cliché e di complicare il più possibile la vita al lettore. Perché nulla è scontato, in nessuna storia umana. Detto ciò, ho cercato di evitare la tentazione di dare connotazioni militanti ai personaggi stessi – ognuno ha le proprie, più o meno pronunciate, contraddizioni – e ai loro rapporti. Da scrittore, ho voluto mettere a disposizione del lettore tutta una serie di elementi. Poi sta a lui farsi un’idea precisa di come stanno le cose.

Al centro del romanzo c’è la vicenda di Altim, operaio albanese di una ditta edile che si ritrova in un letto d’ospedale dopo essere precipitato da un’impalcatura mobile nel cantiere in cui stava lavorando. Attorno a lui, alla sua vita, gravitano diversi personaggi: la moglie Jonilda, il figlio Igli, la giovane dottoressa Marta, il giovane avvocato De Falco e poi l’Uomo che manca. Dove li hai incontrati, questi personaggi? Sei stato ispirato da persone reali, oppure sono i figli di una tua creazione letteraria?
In ogni personaggio c’è qualcosa di qualche donna e qualche uomo che ho avuto modo di conoscere nella mia vita, e poi naturalmente c’è il frutto della mia immaginazione. Potrei dire da dove viene l’integrità di Marta Dragone e da dove viene l’occhio velato di Jonilda Popi, potrei spiegare da dove vengono l’ansia di Alessandro De Falco e l’arrivismo di Marcella Cozzolino, ma non aggiungerei niente al romanzo.

A chi di loro ti senti più legato?
Difficile da dire. Ma il più simpatico, per me, resta il piccolo Igli. È un bambino, è sveglio, è più spaesato che spaventato, e sta cominciando a ragionare sul concetto di identità – lui, figlio di albanesi nato in Italia che non potrà essere italiano finché non avrà compiuto diciotto anni. Tra l’altro, proprio poiché si tratta di un bambino, è stato il personaggio più impegnativo da raccontare – com’era, più o meno, la mia mente quasi trent’anni fa?

Leggendo il tuo libro mi sono fatta l’idea che sia una sorta di romanzo corale in cui il narratore assume via via il punto di vista e la voce dei diversi personaggi. Ad alternarsi a questo coro c’è la voce solista dell’Uomo che manca. I suoi brani sono più lirici e distaccati rispetto alla narrazione (anche visivamente, poiché sono trattati in corsivo). Ci puoi chiarire il perché di questa collocazione così «a margine»?
Qualche tempo fa, dopo una mia recensione al loro romanzo Altai, i Wu Ming misero in allerta i lettori del mio giornale: bel pezzo, dissero, ma attenti agli spoiler. Insomma, spiegare quella voce forse sarebbe spiegare troppo.

A mio parere Alessandro De Falco – il giovane e ambizioso avvocato difensore della ditta edile per cui Altim lavora – può essere considerato il vero protagonista del tuo libro: è l’individuo più complesso e contraddittorio. È quello che, nel bene o nel male, e seppur condannabile per le scelte, è più vicino ad un (anti)eroe contemporaneo: compie un percorso parabolico, mentre tutti gli altri sembrano come cristallizzati nella propria dimensione. È così anche per te?
Decisamente. De Falco è un essere umano, debole e presuntuoso e spaventato come tutti gli esseri umani. Il suo percorso è – beh, hai ragione – parabolico, e accidentato, e un po’ schizofrenico. De Falco rimugina, vive fino in fondo le sue contraddizioni, e alla fine della storia è un uomo completamente diverso da quello che era all’inizio. Gli altri personaggi, a ben vedere, si muovono di meno.

A fare da sfondo alla tua storia e alle vicende dei tuoi personaggi c’è Perugia e la sua provincia: il centro storico cittadino, l’immediata periferia, i paesi limitrofi. Perugia è la città in cui vivi, in cui lavori e allo stesso tempo risulta una perfetta metafora della provincia italiana. Perché questa scelta? È solo perché è un posto che conosci bene, oppure perché si presta ad essere un suggestivo luogo letterario?
L’una e l’altra cosa. Perugia e l’Umbria sono i luoghi che conosco meglio, e allo stesso tempo sono molto attratto dalle piccole cose che succedono nei piccoli posti. La provincia italiana tende a interessarmi più delle metropoli, forse perché le metropoli ce le hanno già raccontate in tutti i modi. E poi almeno l’80% degli italiani vive in paesi o città con meno di mezzo milione di abitanti.

Oltre ad essere un autore sei anche giornalista e ti occupi di letteratura sulle pagine culturali di Europa. Mi piacerebbe sapere da te come giudichi lo stato della letteratura italiana contemporanea. Ci sono degli autori italiani che puoi consigliarci?
Domanda infida. Non è facile dipingere un quadro che metta insieme tutti. In generale, credo che chi fa narrativa, in Italia, tenda a specchiarsi troppo in se stesso. Soprattutto gli under 40. Allo stesso tempo, come si fa ad avere un polso della situazione esaustivo? Io recensisco molti stranieri, e anche se mi occupassi esclusivamente di italiani potrei star dietro solo a una piccola parte di loro. Comunque, certo, ci sono bravi autori. Non faccio nomi, ma consiglio un paio di titoli recenti: Città distrutte di Davide Orecchio e La generazione di Simone Lenzi.

In un recente articolo uscito sulla Lettura del 9 settembre Chiara Valerio parla di una «catastrofe narrativa» che affliggerebbe la letteratura italiana contemporanea. Riassumendo molto, per Valerio, tra le varie cause di questa catastrofe, ci sarebbe il clima istaurato dal ventennio berlusconiano: «La nostra catastrofe è perciò un tempo privo di spessore nel quale è impossibile edificare l’opera». Tu che cosa ne pensi?
Difficile, difficile. Un po’ vale quanto detto prima: c’è molta autoreferenzialità, poca attenzione alla lingua e alle architetture narrative. Colpa di Berlusconi? Non lo so. Di sicuro il cataclisma culturale in cui abbiamo vissuto nel suo ventennio lo pagheremo a lungo, e non solo in letteratura. Anzi, il che è più grave, soprattutto altrove. Io credo che in tempi del genere, quando i media faticano terribilmente a fare bene il proprio lavoro, spetti agli scrittori raccontare come stanno le cose. E ai registi, ai musicisti, ai comici. Se mi chiedi quanti siano gli scrittori che si sono presi questa responsabilità, ultimamente, allora non ho dubbi: molto pochi. Molto più semplice scrivere di paranoie, sesso e ossessioni varie. Chi c’ha provato e continua a provarci sono soprattutto gli autori di noir. Carlotto e compagnia, insomma.

Che libri ti piacciono di solito? Quali sono gli autori che preferisci leggere? Cosa, invece ti fa chiudere un libro prima della fine?
Altro terreno insidioso. Da quando leggo per lavoro, mi capita molto spesso di chiudere un libro prima della fine. Anzi, di solito molto, molto prima della fine. Do una possibilità solo ai libri ben scritti: se lo stile è sciatto, o banale, o caricaturale, o troppo “corsodiscritturacreativizzato”, lascio perdere. Poi – nel senso che è possibile rilevarli e ragionarci su solo dopo – viene la storia, la struttura, vengono le idee, i riferimenti più o meno dichiarati. La letteratura è questa, d’altronde. Quanto al solito giochino dei nomi, che ovviamente mi diverte: Philip Roth ha sempre perlomeno qualcosa di buono da dirmi, Ian McEwan ha un talento enorme così come Cormac McCarthy, Javier Cercas è un narratore e un intellettuale formidabile. E poi, tra i viventi, Toni Morrison, Norman Manea, David Peace, Enrique Vila-Matas. E, beh, Gabriel Garcia Márquez, il mio eroe da sempre.

Cosa ha significato e cosa significa essere pubblicato da una piccola e giovane casa editrice romana come Lantana?
Ogni editore fa storia a sé, piccolo o grande che sia. In generale credo che i piccoli riescano ad avere più cura dei propri libri, a dispetto della minore forza promozionale, distributiva e commerciale. Lantana è un paradigma, in questo senso: il direttore editoriale Alessandra Gambetti ha grande esperienza e grande intuito. Senza i suoi preziosi consigli – mai, mai tradottisi in condizioni o sconfinamenti di sorta – L’uomo che manca sarebbe stato un romanzo peggiore. Poi, certo, la vita di un titolo del genere in libreria o sulla stampa è a dir poco ardua. I librai, specie quelli di catena, ti sostituiscono alla velocità della luce, e la critica letteraria è più attenta ai pedigree di autori ed editori che alla qualità dei libri. Andate a vedere chi è che pubblica i saggi o i romanzi di Tizio, e poi andate a vedere chi è che pubblica i libri che Tizio recensisce. Se Tizio recensisce un libro di Caio, state sicuri che un mese prima Caio avrà recensito un libro di Tizio. Ma la rete può darci una mano, a tutti. Servirà solo un po’ di tempo per assestarsi, per individuare un sistema di filtri credibile e autorevole: il rischio di internet è proprio quello di pagare la iper-diffusione delle opinioni, il difficile è capire a chi poter dar retta, di chi potersi fidare, chi quest’autorevolezza ce l’ha e chi non ce l’ha.

Quali sono i tuoi progetti futuri? Stai scrivendo cose nuove?
Sto sempre scrivendo cose nuove, da quasi vent’anni a questa parte. Resta da capire, come sempre, che ne sarà di loro.

Dozzini, a chi andrà il Nobel per Letteratura?
Già, è quasi ottobre! Spererei Roth, davvero. Ma i rumors, a quanto pare, gli mettono davanti Haruki Murakami e Bob Dylan. Che peraltro ha appena tirato fuori, a settant’anni e passa, un altro gran disco, e che il Nobel se lo meriterebbe tutto. Comunque, detto tra noi, il Nobel serve più che altro a noi giornalisti e ai lettori pigri che si lasciano volentieri guidare da una fascetta più rossa delle altre. Soldi a parte, certo. Ma uno scrittore mica scrive per soldi. Giusto?

dozzini l'uomo che manca

Presentazione di L’uomo che manca di Giovanni Dozzini all’Isola del Cinema

L'uomo che manca - Giovanni DozziniMartedì 7 agosto, alle 19, Giovanni Dozzini presenterà il suo romanzo L’uomo che manca (Lantana), libro del mese di dicembre 2011 della trasmissione radiofonica Fahrenheit, all’Isola del Cinema. All’incontro, che si terrà all’Isola Tiberina, zona schermo Tevere, insieme all’autore parteciperà Eleonora Rossi di Via dei Serpenti (qua trovate la sua recensione del romanzo L’uomo che manca).
Segue la scheda del libro.

«Dozzini racconta con sensibilità neorealista la nuova provincia italiana, tra la solitudine degli immigrati, le chiacchiere dei bar e un bel colpo di scena finale».

Daniele Castellani Perelli, Il Venerdì di Repubblica

«In questo Paese dove si parla di “tragica fatalità” e “morti bianche” ben venga un romanzo che imperniato su un incidente sul lavoro riesce a far riflettere sul baratro che ogni volta che qualcuno muore per lavoro si apre sui familiari e, dovrebbe, anche per tutta la nostra società».

Michele De Mieri, L’Unità

«È un romanzo sociale atipico, capace di mirare dritto allo stomaco, mettendo in discussione l’ordinaria visione delle cose, L’uomo che manca».

Isabella Spagnoli, La Gazzetta di Parma

L’uomo che manca
Lantana Editore, 2011

160 pp, 15 euro

Una famiglia albanese perfettamente integrata. Di onesti lavoratori, direbbe un cronista del Tg2: Altim lavora in un cantiere edile nella campagna di Nocera Umbra, sua moglie Jonilda fa la barista in paese. I due figli gironzolano tra i rottami del terremoto del 1997. Oggi non c’è scuola, è un freddo mattino di marzo. Succede qualcosa: Altim cade da una piattaforma ed è ricoverato in rianimazione all’ospedale di Perugia. È questo il punto da cui traggono origine le storie che si intrecceranno nel corso del romanzo. Quella di Alessandro, il giovane e cinico avvocato che si occupa del caso e che cura gli interessi della ditta in cui è impiegato Altim. Quella di Marta, il medico che si occupa di Altim e ha a che fare con Alessandro nella sua maldestra ricerca di elementi utili alla difesa dell’imprenditore. Quella di Jonilda, sempre sullo sfondo, che si compone grazie ai racconti e le confidenze degli altri personaggi. Un romanzo che recupera una delle tradizioni più illustri della nostra narrativa, quella di Vittorini e di Pratolini, del neo-realismo, del romanzo sociale, dell’attenzione agli «ultimi». Una tradizione poco frequentata dalla generazione dei trentenni, e che invece proprio oggi ha una sua ulteriore ragione di esistere.

Giovanni Dozzini
Giovanni Dozzini (1978) vive a Perugia dove lavora come editor e giornalista. Nel 2005 ha pubblicato il romanzo Il cinese della piazza del pino (Midgard Editore).

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L’uomo che manca – Giovanni Dozzini

L'uomo che manca - Giovanni DozziniRecensione di Eleonora Rossi

Dramma al cantiere.
Incidente sul lavoro a Nocera: operaio in fin di vita
L’operaio è precipitato dal secondo piano mentre stava montando un’impalcatura con la piattaforma mobile. Un cedimento strutturale e il distacco di uno dei tiranti potrebbe essere stata la causa che ha poi fatto collassare la struttura metallica.

Questo è il titolo d’apertura di un quotidiano locale e l’operaio di cui parla si chiama Altim Popi. Nell’articolo non c’è scritto, ma il suo ultimo sguardo, prima di cadere nel vuoto e rimanere infilzato su un palo, lo rivolge a Goran, ragazzo macedone, uno in gamba, non come l’altro, l’italiano, che cominciava a bere vino fin dalle nove di mattina.
Altim è un albanese che ha lasciato il suo paese per venire in Italia. Ha trentanove anni, due figli, una moglie. Lavorava in un’impresa edile e quella mattina, come tutte le mattine, aveva iniziato la sua giornata mentre fuori era ancora buio. È «un uomo che non è morto attraversando un mare intero su una nave zeppa di gente coi capelli arruffati e le camicie a scacchi» ma che (probabilmente) «morirà su un letto d’ospedale con il ventre spappolato e le ossa spezzate e tutto il male che può fare al tuo corpo cadere da un cielo d’altezza». Continua a leggere

Novità da Lantana: in arrivo la collana il raggio verde

Il raggio verdeAd aprile arriva in libreria la nuova collana il raggio verde della casa editrice romana Lantana, dedicata alle pratiche e agli insegnamenti dei maestri della ricerca spirituale. Attraverso romanzi, autobiografie, e memorie si propone l’osservazione del reale e della natura per acquisire la consapevolezza di noi stessi e del nostro ruolo nel mondo.
Come per il nome della casa editrice, che deve il suo nome al film omonimo del regista australiano Ray Lawrence, un thriller inusuale che invita a riflettere sull’opportunità della comprensione, anche per questa nuova collana ci si è ispirati ad altro. Il «raggio verde», infatti, è un fenomeno ottico osservabile in particolari condizioni atmosferiche al tramonto o all’alba, quando per effetto della rifrazione si produce una striatura verde sulla sommità del disco solare. Questo fenomeno ha dato origine a una leggenda secondo la quale  «chi è stato tanto fortunato da percepirlo una volta, vede chiaramente nel cuore proprio e altrui» (Jules Verne, Le rayon vert).
I primi due titoli della collana, Insegnamenti di Gurdjieff. Diario di un allievo (in uscita il 20 aprile) e Nuovi insegnamenti di Gurdjieff. Viaggio nel mondo, sono di Charles Stanley Nott, editore e autore statunitense scomparso nel 1978.