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IL COMODINO DEI SERPENTI – Il comodino di Massimiliano Borelli (marzo 2014)

IL COMODINO DEI SERPENTI – Rubrica dedicata ai libri sul comodino

Il comodino di Massimiliano Borelli

Massimiliano Borelli è nato a Roma nell’incipit d’aprile del 1982. Ha un dottorato, una copia del Giovane Holden con il disegno di Ben Shahn in copertina, la prima edizione dell’Oblò di Adriano Spatola, delle biglie. Ha pubblicato un libro sulle Prose dal dissesto degli anni Sessanta e uno su Manganelli. Attualmente lavora come redattore e editor, in particolare con L’orma e West Egg.

Teju Cole, Città aperta (Einaudi, 2013. Trad. di Gioia Guerzoni). Romanzo d’esordio dello scrittore nigeriano, è una flânerie tra le strade di New York, che dalle strade di New York si diparte fino all’Europa e ritorno, e divaga tra i fantasmi di un presente colto in presa diretta, di un ferito passato prossimo e di un passato remoto rimosso. Una scrittura fatta di digressioni e incontri, distrazioni e zoomate, che tasta la superficie delle vie per sondarne il sottosuolo, per scoprire infine che «ciò che sembrava essere svanito del tutto, all’improvviso esisteva ancora».

Silvio D’Arzo, All’insegna del Buon Corsiero (Greco & Greco, 2011. A cura di Andrea Casoli). Quest’«avventura terrena d’altri tempi» D’Arzo la scrisse poco più che ventenne, e la pubblicò da Vallecchi nel 1942. Mentre la guerra incrudiva, dunque, c’era un ragazzo a Reggio Emilia che si dava a una storia trasognata e sospesa in un settecento fittizio e teatrale, dove un funambolo veniva a increspare le acque chete di un paese di pianura. Ma si badi, quel funambolo odora di zolfo e c’è del satanico nella sua apparizione.

Giacomo Leopardi, Con pieno spargimento di cuore. Lettere sulla felicità (L’orma editore, 2012, a cura di Marco Federici Solari). Un «Pacchetto» che mette in mostra un Leopardi inatteso, vicino al mondo, agli individui che lo popolano. Lettere che contengono «grida di furore, luminose parole di affetto, consigli pratici su come affrontare il dolore, reiterati inviti a non arrendersi mai, a dare testimonianza di una vita intensa e travagliata, ostinatamente volta a comprendere il mondo, a sperimentare vie di esistenza possibili senza mai abdicare alla ricerca di una felicità praticabile per sé e gli altri» (M.F.S.).

Diabolik. Dietro la porta chiusa. Non manca mai, da qualche tempo, un numero del “re del terrore” delle sorelle Giussani (uno a caso, in disordine, con una predilezione per le ristampe e le seconde ristampe, gli «Swiisss»). Efferato assassino e ladro finissimo, con Eva Kant vive da qualche parte a Clerville, in una splendida villa modernista. Le trame che lo coinvolgono sono prevedibili e spesso cavillose (e c’è sempre un trucco, un marchingegno o un qualche veleno che lo salva da Ginko, armi segrete apprese in gioventù dal mentore King), ma il piacere del fumetto sta tutto – per me – nel formato, nello scricchiolio della copertina, nei disegni dantan, nelle icastiche battute a effetto.

Davide Orecchio, Città distrutte. Sei biografie infedeli (Gaffi, 2011). «[…] e mi chiedo quali regole nascoste ci costringano a naufragare, ad arenarci come relitti», così uno dei sei personaggi al centro dei racconti sebaldiani di uno scrittore-storico, che nella storia e nelle pieghe dei suoi archivi trova la materia per le sue invenzioni. Un libro denso di una scrittura nervosa e calibrata al grammo, dove esistenze volatili e destinate alla risacca vengono carpite e riscattate dalla letteratura, in un piccolo campionario a contrappelo del Novecento.

Aby Warburg, Il rituale del serpente (Adelphi, 20114. Trad. di Gianni Carchia e Flavio Cuniberto). Prima di lasciare la clinica di Kreuzlingen dove era andato a curare le sue crisi nervose, Warburg pronunciò di fronte al pubblico di pazienti e medici questa leggendaria conferenza, di cui più tardi ebbe a vergognarsi per le carenze che vi ravvedeva. È tuttavia un vivido resoconto del suo incontro con gli indiani Pueblo e i loro rituali, sulle tracce della presenza simbolica della figura del serpente, collegamento tra vita terrestre e mondo ctonio.

James Eade, Scacchi for Dummies (Hoepli, 2013. Trad. di Lorenzo Flabbi). Poche parole bastano: un metodo per imparare il giuoco degli scacchi. Prima o poi, ce la si farà.

Qui gli altri comodini.

Il comodino di Massimiliano Borelli

 

Torna Flep!, il Festival delle Letterature Popolari

Dal 19 al 22 settembre torna Flep!, il Festival delle Letterature Popolari, organizzato e diretto dagli autori del collettivo TerraNullius. Qui i nostri post sulla prima edizione.
Il bus a due piani, simbolo della manifestazione partita lo scorso anno dal parco Meda (Tiburtino), in questa seconda edizione farà tappa all’Aranciera di San Sisto, una serra in stile Liberty a pochi metri dalle Terme di Caracalla.

Il Flep! vuole riavvicinare la società civile alla cultura alta, ai valori della nostra tradizione letteraria e artistica, convinti che l’arte in tutte le sue sfaccettature sia l’unico motore ‘sano’ della civiltà.
Anche in questa edizione il Flep! sarà infatti un contenitore di iniziative che spazierà dai reading alle esposizioni fino alla musica. I festeggiamenti per il bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi saranno occasione per un’insolita presentazione–concerto con un quartetto d’archi dell’orchestra della Tuscia Opera Festival che accompagneranno la lettura di brani tratti da È così bella cosa il ridere. Lettere di un genio compreso di Giuseppe Verdi (L’Orma editore). Nella galleria d’arte del Festival, Ipercontemporanea, si potranno ammirare le foto di Tano D’Amico, le tavole di Mauro Biani e il lavoro della rivista WATT.

Il festival ospiterà importanti nomi della scena letteraria italiana: Wu Ming 1, Filippo Tuena, Davide Orecchio, Rosella Postorino, Davide Enia, Renzo Paris, Franco Limardi, Marco Petrella, Marco Philopat, Gianfranco Calligarich, Jakuta Alikavazovic e molti altri.

Segnaliamo in particolare: 

Venerdì 20 – ore 19:30 – incontro con Davide OrecchioCittà distrutte (Gaffi). Qui la nostra recensione e intervista.

Sabato 21 – ore 17:00 – incontro con Giovanni GrecoMalacrianza (Nutrimenti). Qui la nostra recensione.

Sabato 21 – ore 18:30 – incontro con Jakuta AlikavazovicLa bionda e il bunker (66thand2nd). Qui la nostra intervista a Isabella Ferretti, editrice di 66thand2nd.

Sabato 21 – ore 19:00 – incontro con Emanuele TononIl nemico (Isbn). Qui la nostra intervista.

Domenica 22 – ore 17:00 – incontro con Sandro BonvissutoDentro (Einaudi). Qui la nostra recensione.

Domenica 22 – ore 20:00 – Narrazioni per immagini #5 “Senza alternativa”: WATT MAGAZINE – mostra e incontro con i curatori Leonardo Luccone e Maurizio Ceccato. Qui i nostri approfondimenti su WATT.

Domenica 22 – ore 21:00 – incontro con Lorenzo Flabbi e Marco Federici Solari – è così bella cosa il ridere (L’Orma). Qui la nostra intervista agli editori.

Qui tutte le informazioni e il programma.

Gaffi editore: nuovo progetto grafico affidato a IFIX di Maurizio Ceccato

La casa editrice romana di Alberto Gaffi ha deciso di rinnovare veste grafica e progetto editoriale. La ristrutturazione è stata affidata a uno dei migliori art-designer italiani nel campo dell’editoria, Maurizio Ceccato, che ci spiega brevemente la sua idea: «Ho cominciato snellendo le collane della Gaffi portandole da sei a due: Godot per la narrativa e Ingegni per la saggistica. La grafica aveva bisogno sia per la saggistica sia per la narrativa di essere riconoscibile e che fosse racchiusa sotto un solo insieme. Con i due non-colori, il bianco e il nero, ho differenziato la narrativa dalla saggistica. L’iconografia è tutta illustrata (no foto) con disegni, sketch, collage e mentre nella narrativa l’uso delle immagini è a tutto colore con un’impostazione tra il vintage-pop e un certo retro-surrealismo, la saggistica è incentrata su illustrazioni in bianco e nero, con una predilezione per i tratti a incisione e a china e una visione retro. L’uso di una carta lievemente tamburata e non plastificata chiude il packaging del progetto».

dallo sketchbook di Maurizio Ceccato

Contaminazione e sintesi sono i concetti cardine del nuovo progetto.  Contaminazione per quello che riguarda l’iconografia, sintesi per la convergenza di tutte le collane in un solo formato grafico.
Il nuovo progetto parte dalla necessità di semplificare la varietà di collane della casa editrice e combinarle con un’impostazione che dia grande risalto all’immagine illustrata.
La grafica prende spunto dall’impostazione dei vecchi manifesti cinematografici con un’immagine che copre i due terzi dello spazio di copertina lasciando al titolo e all’autore quello incorniciato nel riquadro in basso. Lo sfondo di copertina sarà caratterizzato dai due non-colori cardinali, bianco o nero, a seconda che il volume sia rispettivamente un  romanzo o un saggio.
Vediamo qui le copertine dei primi due volumi firmati da Ceccato: per la saggistica Partenze eroiche di Franco Cordelli, uscito a gennaio, per la narrativa Le condizioni della luce di Fabio Ciriachi, in libreria dal 16 febbraio.

Le interviste dei Serpenti: Davide Orecchio

di Emanuela D’Alessio

Proseguono le interviste di Via dei Serpenti con Davide Orecchio, storico con la vocazione dello scrittore, autore di Città distrutte (Gaffi), la sua opera di esordio che ha vinto nel 2012 il Premio Mondello, il Premio Volponi e il Supermondello. Qui la nostra recensione.

Dovendo scrivere la sua biografia, magari infedele, che cosa direbbe di Davide Orecchio?
Che non ha ancora una biografia perché ci sta lavorando. Direi che è una persona in cammino, un po’ come tutti.

Città distrutte è il suo libro di esordio, pubblicato dopo una lunga gestazione e numerosi rifiuti. Il perché dei rifiuti non è importante, può spiegarci invece come è nato l’incontro con Gaffi?
La gestazione in realtà non è stata lunghissima. Lo scrissi in un anno circa. L’incontro con l’editore, invece, è avvenuto grazie a Raffaele Manica, che pubblicò uno dei racconti su «Nuovi Argomenti» e in seguito propose a Gaffi la raccolta.

Si cimenta con un genere insolito, la biografia fittizia, la biografia verosimile ma infedele, appunto, dove si mescola la verità delle fonti documentali con la narrazione dell’immaginazione. Perché ha scelto questo genere e perché il titolo Città distrutte?
La scelta del genere corrispondeva a diverse esigenze che avevo. Volevo pubblicare su «Nuovi Argomenti» e a una rivista occorrono testi brevi. Non mi sentivo adatto al racconto ma, per la mia formazione di storico e per certe letture che avevo adorato in quegli anni, ero più incline al ritratto, alla biografia letteraria e d’invenzione. Così sono nati i primi due “brani”, Éster Terracina ed Eschilo Licursi, e su questa coppia (proposta inizialmente a «Nuovi Argomenti») è cresciuto il resto del libro. Il titolo cita un frammento dal diario di mia madre (Oretta Bongarzoni/Betta Rauch). Un diario nel quale, appunto, mia madre si definisce come «una città distrutta».

I personaggi delle sei biografie risultano assai diversi, per genere, carattere, professione, attraversano differenti periodi della storia. La diversità è reale e casuale o, al contrario, come ci è parso di cogliere, le loro vite risultano tasselli di un mosaico che raffigura le varie forme di dolore in cui l’esistenza può essere declinata?
L’elemento non casuale del libro sono io. Nel senso che tutte le vicende hanno a che fare con me, mi coinvolgono biograficamente. Ma anche questo, forse, potremmo considerarlo un caso. Dipende dalla filosofia della storia che ciascuno di noi adotta. L’ultima parte della sua domanda è già la mia risposta: nell’irrelazione evenemenziale tra i fatti e le vite che ci capita di testimoniare, compresa la nostra, cerchiamo un significato che in realtà, e molto spesso, sta già nel senso che attribuiamo e che corrobora la nostra tesi, la nostra lettura filosofica ed esistenziale. Di fronte alle vite degli altri e nostre è molto difficile avere un atteggiamento “scientifico”, falsificazionista nel senso di Popper. Non si è quasi mai disposti a cambiare idea, piuttosto se ne cerca la conferma. E la mia tesi, in questo libro, era quella della città distrutta: fallimenti in vita che però meritano d’essere raccontati, città “ricostruite” con la scrittura.

Quasi tutti i personaggi del suo libro traggono ispirazione dalla storia di persone realmente esistite, il regista russo Tarkovskij, il sindacalista molisano Nicola Crapsi, il filosofo Wilhelm von Humboldt, i suoi genitori. Che cosa ha ispirato la scelta delle coppie personaggio reale-personaggio fittizio?
Ho attinto alla costellazione di storie che mi accompagnano da sempre. Epoche e personaggi che ho studiato, sui quali ho condotto ricerche, oppure che mi hanno semplicemente appassionato, o con i quali ho una complicità “biologica”.

Soltanto la figura di Éster Terracina, la giovane donna argentina che sacrifica la propria vita per restituire una madre a suo figlio, sembra non trovare riferimenti in alcun personaggio reale. C’è una spiegazione per questa asimmetria?
Éster Terracina è la prima biografia che scrissi. Non ricordo perché scelsi proprio quella storia e non altre. Ma non avevo ancora chiaro lo schema, il gioco letterario che avrei adottato nei testi successivi. La biografia che ispira le successive nel binomio persona/personaggio è, in realtà, quella di Eschilo Licursi, ispirata a Nicola Crapsi, un sindacalista sul quale avevo condotto molte ricerche con l’obiettivo di una biografia “vera”. Obiettivo purtroppo, o per fortuna, mancato. E in quel fallimento c’è il germe delle biografie fittizie: se non riesci a raccontare la persona, per incapacità o insufficienza di documenti e testimonianze, allora tanto vale inventare il personaggio, varcare il confine, fare letteratura e non storiografia.

Nelle numerose recensioni che hanno accolto Città distrutte vengono elencati prestigiosi riferimenti letterari cui si richiamerebbe la sua opera, da Borges a Bolaño, da W. G. Sebald a Danilo Kiš. A parte confermare l’erudizione dei recensori, lei che cosa pensa di questa tendenza ad attribuire comunque una paternità letteraria, a citare necessariamente le fonti? È d’accordo con questa affiliazione?
Più che di fonti, parlerei di modelli. Sono modelli altissimi. Non nego di essere stato influenzato dagli autori che cita. E non mi dispiace che mi si attribuiscano paternità letterarie. L’importante è che le attribuzioni siano azzeccate. Certo, sono grandi scrittori. Ma, in fondo, se uno deve scegliersi dei punti di riferimento, dei maestri di scrittura, è meglio cercarli tra i grandi che tra i mediocri, no?

Quali invece, se ce ne sono, i suoi riferimenti letterari italiani?
Il primo italiano che ho amato è Italo Svevo. Lo lessi intorno ai vent’anni. Altri nomi che mi vengono in mente sono il Goffredo Parise dei Sillabari, Silvio D’Arzo per Casa d’altri, Italo Calvino per Le città invisibili. Tra i contemporanei mi piacciono molto Emanuele Trevi ed Ermanno Cavazzoni.

Si sta parlando in questo ultimo periodo di “internettuale”, una nuova figura di intellettuale che utilizza i nuovi media, soprattutto i social, per esprimersi e comunicare. Lei sembrerebbe rientrare perfettamente nella categoria: ha un suo blog personale, scrive sul sito Nazione Indiana ed è presente su Facebook e Twitter. Qual è il suo rapporto, come scrittore, con questi social network? In che modo le piace partecipare e cosa le interessa seguire?
Lavoro su internet dal 1999, da prima di essere uno scrittore edito. Ci sto per professione, mestiere e adesso anche come scrittore. I social network non sono il mio forte, io sono più un tipo da internet 1.0. Ma cerco di adeguarmi. Li uso soprattutto per distribuire notizie, disseminare contenuti miei e altrui che mi stanno a cuore. Quanto al blog e a Nazione Indiana, le considero piattaforme che consentono sinestesie espressive: non sempre e non solo scritture, ma relazioni tra testi, audio, immagini, video che possano essere percepite dal fruitore digitale. Un’opportunità unica e impossibile sul libro cartaceo.

Qual è la sua riflessione sullo stato della letteratura in Italia?
Non ho le competenze per rispondere in modo adeguato. La mia impressione, per quello che vale, è di una scena molto vitale, frammentaria e caotica. Escono libri bellissimi dei quali nessuno si accorge. E libri mediocri che ottengono ribalte immeritate. I piccoli e medi editori pubblicano quasi sempre cose interessanti. I grandi editori un po’ meno. Tutto il movimento, nel suo complesso, mi sembra deficitario di una certa autorevolezza. E l’offerta è superiore alla domanda, ma questa non è una considerazione molto originale, lo ammetto.

Il 2013 è appena iniziato, quali sono i suoi progetti per i prossimi mesi o semplicemente i buoni propositi?
Sto completando la revisione di quello che dovrebbe essere il mio prossimo libro. Non so nemmeno più a quale numero di revisione sia arrivato. È un lavoro che sto seguendo da anni, da prima di Città distrutte che, invece, in primavera uscirà per una nuova ristampa (mi sembra la quinta) e con una nuova copertina. Poi ho bisogno di più tempo, soprattutto per leggere. Ne ho davvero bisogno.

C’è un libro che non vorrebbe mai smettere di leggere?
I Racconti di Čechov.

Altre interviste a Davide Orecchio
Su Les Flaneurs
Su Terra Nullius

La  recensione Emanuela D’Alessio di Città distrutte. Sei biografie infedeli.

Città distrutte – Davide Orecchio

Recensione di Emanuela D’Alessio

Come non esiste un solo modo di “fare” letteratura, e lo conferma Davide Orecchio con questa opera prima pluripremiata, conturbante e commovente, lui che ha la formazione dello storico e la vocazione dello scrittore, così non esiste un solo modo di leggerla.
Città distrutte, è bene chiarirlo subito, è un’opera letteraria e di quelle sopraffine, nonostante il sottotitolo Sei biografie infedeli sollevi il dubbio di trovarsi al cospetto di altro. Dubbio immediatamente fugato dal risultato stupefacente e pienamente riuscito, quello di piegare la realtà storica degli archivi, delle ricerche documentali, delle testimonianze al volere della narrazione, mescolando la rigidità del resoconto biografico con l’arrendevolezza della creatività immaginifica, alternando i piani della verità e dell’invenzione, manipolando e plasmando senza regole e remore, trascinando il lettore in un altrove dove non esistono più i personaggi reali né quelli immaginati, ma soltanto l’autore e la sua voce struggente e vibrante che sperimenta le infinite sfumature del raccontare, interpretando con impegno il dolore e la malinconia, la gioia e l’entusiasmo, la delusione e la rassegnazione, la rabbia e l’offesa, la menzogna e il tradimento. E che cos’è questa se non letteratura?
Si può leggere Città distrutte in diversi modi. Si può andare in cerca di indizi per ricostruire le vere biografie nascoste dietro quelle “infedeli”, cominciando dal titolo che è un frammento raccolto da un manoscritto della madre dell’autore, quella Oretta Bongarzoni ispiratrice inconsapevole della vita di Betta Rauch, scrittrice e poetessa infelice che mai conobbe la notorietà. «Sono una città distrutta. Se Dio vuole, la storia è fatta di città distrutte e poi ricostruite». Ma la soluzione è presto svelata, ogni episodio si conclude con citazioni e riferimenti documentali che confermano il binomio persona/personaggio. E così sappiamo che dietro Eschilo Licursi, sindacalista molisano e deputato comunista morto nel 1964, c’è il vero sindacalista Nicola Crapsi sul quale Orecchio aveva concentrato le sue ricerche per scriverne una vera biografia. Nella vita del regista sovietico esiliato a Roma Valentin Rakar ritroviamo i pensieri del celebre regista di Nostalghia e Sacrificio Andrej Tarkovskij; gli anni romani del diplomatico prussiano Kauder sono ispirati dall’opera del filosofo Wilhelm von Humboldt; tra le pagine che raccontano Pietro Migliorisi, poeta e giornalista, prima fascista, poi comunista, si cela la vita di Alfredo Orecchio, padre dell’autore. L’unico personaggio senza riferimenti biografici reali è Éster Terracina, giovane argentina di origini italiane che scomparve a Buenos Aires nell’orrore della dittatura. «Ester si donò, salvò il bambino che non aveva messo al mondo, guardò il futuro e l’anticipò». Nomi e fatti sono inventati, avverte Orecchio, pur appartenendo a migliaia di vite e di morti che vi riconosceranno qualcosa di proprio.
Una volta superati i confini della realtà e dell’immaginazione non si prova alcun rimpianto della verità. Secondo Kipling una storia raccontata è una storia vera «finché dura il racconto», o per dirla con Elias Canetti: «Una storia ben inventata è comunque una storia, non una bugia».
Ed ecco un altro modo di leggere Città distrutte, attraverso le lenti di autori come Borges, Bolaño, W.G. Sebald di Gli emigrati, Marcel Schwob di Vite immaginarie, che hanno fatto delle biografie impossibili, immaginarie ma verosimili, un genere letterario. Danilo Kiš disse che la materia dell’immaginazione per essere credibile deve avere la forza del documento. Sono questi i modelli cui Orecchio fa riferimento, lo afferma lui stesso, lo hanno scritto nelle numerose e prestigiose recensioni del suo libro. A noi viene in mente anche Edgardo Franzosini e il suo racconto Grande trampoliere smarrito (pubblicato sulla rivista WATT 0,5 nel maggio 2012) dedicato ad Arthur Cravan, pseudonimo di Fabian Avenarius Lloyd, poeta e pugile inglese, nipote acquisito di Oscar Wilde. «Non una verosimile biografia di personaggio inesistente, ma una inverosimile biografia di personaggio esistente» (qui la nostra recensione).
Il libro di Orecchio si presta ancora a una differente lettura, quella più schiettamente storica. I personaggi reali e fittizi sono testimoni e protagonisti, a loro modo, del Novecento (con l’eccezione del prussiano Kauder, che passa dalle guerre napoleoniche alla decadenza di una Roma di inizio Ottocento), assistono al sorgere e all’infrangersi delle ideologie insieme al naufragio delle loro personali esistenze, passano attraverso due guerre mondiali, il fascismo, lo stalinismo, la dittatura dei colonnelli di Buenos Aires, combattono e si ribellano, rincorrono e sperimentano passioni politiche e vocazioni artistiche.
Città distrutte diventa così un libro di storia assai particolare dove date e avvenimenti, per quanto annotati con la precisione dello storico, si fanno pretesto per scendere negli abissi dell’esistenza e risalire in superficie con una nuova consapevolezza sulla follia e la ferocia dei regimi, sulla forza incontenibile che può avere il desiderio di libertà e di ribellione, sull’umiliazione dell’esilio, sulla malinconia dei sogni irrealizzati.
Le biografie di Città distrutte possono essere lette, infine, come biografie dello stato d’animo, non importa se di personaggi immaginari, verosimili o soltanto reali, perché la malinconia, la solitudine, le illusioni infrante, l’esilio della voce in cui soffocare il dolore per un amore interrotto e derubato o per l’insostenibile stanchezza del vivere, lo stupore o il sollievo per il tempo che passa e che tutto trasforma, sono temi universali che sopravvivono allo scontro tra letteratura e storia, tra verità e finzione.
«E il tempo che è un gioco di prestigio illudendoci che il nostro deperimento siano giorni e mesi, che la morte abbia bisogno degli anni, che il più semplice dei calcoli, una somma, causi i nostri cambiamenti, le nostre nuove orbite, fa l’unica cosa che sa: passa».

Nota sull’autore
Davide Orecchio, nato nel 1969 a Roma dove vive e lavora, è storico e germanista. Ha pubblicato racconti su «Nuovi Argomenti» e «Nazione Indiana», è direttore del sito d’informazione rassegna.it. Con Città distrutte, la sua opera d’esordio, ha vinto nel 2012 il Premio Mondello, il Premio Volponi e il Supermondello. I suoi blog personali: davideorecchio.wordpress.com e sullasfalto.blog.rassegna.it.

Per approfondire
Alessandro Toppi su
Pickvick
Filippo La Porta su Left-Avvenimenti
Matteo Marchesini su Il Foglio
Daniele Giglioli sul Corriere della Serra – La Lettura

Qui l‘intervista di Via dei Serpenti a Davide Orecchio

Città distrutte di Davide Orecchio
Gaffi, 2012
pp. 238, 15,50 €

Recensione in progress: Emanuela D’Alessio sta leggendo Città distrutte di Davide Orecchio (Gaffi)

Non è stato facile trovare una copia di Città distrutte, esordio seducente del romano quarantenne Davide Orecchio che ha vinto il Premio Mondello 2012 e il Premio Volponi 2012. Orecchio si misura con il genere biografico rivisitando frammenti di vita vissuta con  le lenti dell’immaginazione. Il risultato è sorprendente,  superati i confini tra realtà e finzione non si prova alcun rimpianto della verità.

«Quella notte entra nel giorno come si oltrepassa una frontiera scaduta ed Eschilo è consacrato nemico dei nemici del popolo».

«Eschilo si nasconde nel silenzio, nella manualità del lavoro scalando tralicci e diseppellendo congegni, sememorato di parole come se fossero scivolate nello squarcio che ha dentro».

«Se non sta in sede viaggia per regni rurali, affronta con Viafora strade di pietra, divallamenti e forre, bussa a porte di legno incrostate in villaggi che odorano di brace e castagne, varca recinti di pecore o minuscoli orti di broccoli, tiene brevi comizi dinanzi a pubblici di rughe e bambini, teste di donne coperte da feltri neri, gente che ficca le braccia nel petto come scudi».

dalla «biografia infedele» di Eschilo Licursi (1899-1964)  in Città distrutte