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Stalin+Bianca – Iacopo Barison

Stalin+BiancaFUORI STRADA – Rubrica di approfondimento della piccola e media editoria “extra-capitolina”
di Emanuela D’Alessio

«In un angolo del locale, una ragazza giovane sta disegnando a matita. Quando mi alzo per andare in bagno, do un’occhiata al disegno e il soggetto sembra essere un arcobaleno. Un arcobaleno in bianco e nero disegnato a matita. Tornato dal bagno, chiedo al ragazzo della dubstep se ha mai visto un arcobaleno. Lui risponde di no, perché siamo quasi coetanei, e intanto giocherella con l’allarga lobo».

Dopo aver letto queste parole mi sono resa conto che sulla copertina di Stalin+Bianca, il secondo titolo della collana Romanzi che Tunué ha affidato a Vanni Santoni, c’è proprio un piccolo arcobaleno senza colore, disegnato a matita. Nessuno, nel romanzo di Iacopo Barison, ha mai visto un arcobaleno, se ne parla, si cerca di scoprire le ragioni della sua scomparsa, al massimo lo si disegna in bianco e nero.
Già dalla copertina, quindi, possiamo farci un’idea di che cosa ci aspetta all’interno, a voler interpretare i segni. L’arcobaleno è l’emblema collettivo di armonia e speranza, e al suo cospetto è difficile non provare almeno un fremito di emozione e stupore. Un arcobaleno in bianco e nero, invece, sembra la negazione di tutto questo, la fine della speranza perché si è smarrito il futuro. Ma se ad aver visto un arcobaleno solo in fotografia sono adolescenti, ci accorgiamo che anche il presente è stato compromesso.
È così che si sentono i due giovani protagonisti Stalin e Bianca, vivono un presente contaminato dall’assenza di certezze e prospettive, circondati da adulti indifferenti se non ostili, da un contesto sociale desolato e degradato.

«Nel nostro quartiere ci sono persone, finestre aggiustate col nastro adesivo, lampioni spenti. Le persone guardano sempre in basso, e vanno di fretta. Non vedranno la pioggia radioattiva, o il meteorite che supera la stratosfera pronto a trasformarli in cenere. Oggi, ad esempio, non hanno visto la neve cadere dal cielo. Nel nostro quartiere ci sono negozi chiusi, firme sui muri e topi che attraversano la strada col semaforo lampeggiante. Il nostro quartiere rappresenta il tramonto della classe media».

Stalin sta per compiere diciotto anni, gli piacerebbe avere qualche certezza, sapere che la sua vita prima o poi cambierà. Ogni mattina cerca di rendersi presentabile ma non si sente mai felice. Lui e Bianca sono più fragili e vulnerabili degli altri, lui non riesce a tenere a freno la rabbia, lei è cieca, ma hanno le loro insensate o straordinarie passioni: per Stalin è una videocamera, la porta con sé ovunque per girare i frammenti di quel film che lo renderà famoso; per Bianca sono le poesie ed «è innamorata di un mondo che non ha mai visto». Insieme si compensano e si sostengono, e insieme decidono di intraprendere il loro viaggio verso un futuro imprecisato, perché non è importante dove andare ma quello che si vuole abbandonare.

«Lasceremo la Vespa e ci metteremo in viaggio. Andremo dove vogliamo, e faremo le nostre esperienze e non avremo né vincoli, né obblighi, né orari da rispettare. Ci dissolveremo nell’aria, e i chilometri ci faranno crescere. Io scriverò poesie e tu, invece, girerai dei film e diventerai famoso».

Non è così che ci si sente di fronte alle scelte rese inevitabili dallo scorrere del tempo? E quando, se non l’adolescenza, è il momento delle scelte irrevocabili ed estreme? Ma Barison non ci racconta solo una storia di adolescenti in fuga, ambisce a qualcosa di più complesso e a volte ci riesce.
Mettendo a fuoco solo Stalin e Bianca e lasciando tutto il resto in secondo piano, sfocato e sfumato, ci accompagna attraverso luoghi privi di qualsiasi indizio geografico, ci fa incontrare persone senza volto e senza nome, quasi sempre adolescenti in fuga e alle prese con vite precarie e marginali oppure adulti relegati al ruolo di tristi comparse su una scena spettrale, distopica. Ci fa sentire il freddo e la fame, il sonno e la stanchezza, la disperazione e l’attesa di un domani che stenta a svelarsi, «perché il mondo ha smesso di girare, è arrivato a un punto morto». Ci avverte che la realtà è una grande bolla che ovatta i suoni ed è sempre pronta a diventare un incubo. Ci fa assaporare un’aria che sa di sconfitte.
Così facendo ci racconta un’altra storia, quella di un’epoca contemporanea che mostra i segni di un declino inarrestabile. Ci mostra fabbriche abbandonate e palazzi incompiuti, città fantasma e baracche in rovina, addirittura un museo del degrado ambientale e un locale dedicato alla fine del mondo, per confermare il fallimento universale di una promessa. «Il progresso è come un boomerang. Questa è l’epoca in cui il boomerang ritorna indietro».
Ma nemmeno questa è la storia più importante né la migliore del romanzo, a mio parere, troppo pervasa da atmosfere apocalittiche e perturbanti che appesantiscono il ritmo narrativo, altrimenti veloce ed efficace, asciutto e anche poetico.
La storia più bella, che ci commuove e un po’ ci rassicura, è proprio quella di Stalin+Bianca, dove il + del titolo riassume con straordinaria semplicità il senso, anch’esso universale, dell’esistenza. È una storia d’amore quella che Barison ha voluto raccontare, perché Stalin e Bianca sono una sola entità, a dispetto delle loro diversità e dell’insostenibile difficoltà di vivere, si prendono per mano e provano a non spaventarsi di fronte all’assenza di un arcobaleno.
E noi, congedandoci dalla lettura, ci chiediamo: siamo ancora in tempo per tornare a vedere gli arcobaleni insieme ai nostri figli?

Nota sull’autore
Iacopo Barison è nato a Fossano (Cuneo) nel 1988. Nel 2010 ha pubblicato il suo primo romanzo, 28 grammi dopo (Voras) tratto dal suo blog. Suoi racconti e articoli sono apparsi su numerosi siti e riviste. Collabora con minima&moralia. Stalin + Bianca (2014 ) è edito da Tunué, nella nuova collana Romanzi.

Per approfondire
La recensione  su Patria Letteratura
La recensione su Linkiesta

L’intervista su Via dei Serpenti a Vanni Santoni, il curatore della collana Romanzi

Approfondimento Tunué

Stalin+Bianca
Iacopo Barison
Tunué, collana Romanzi, 2014
pp. 175, € 9,90

Dettato — Sergio Peter

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FUORI STRADA – Rubrica di approfondimento della piccola e media editoria “extra-capitolina”

di Anna Castellari

Non sia detto mai che non amo la letteratura dialettale, la memorialistica, gli sperimentalismi. No, ho una formazione linguistica e come molti sanno, amo leggere non solo in lingua straniera, ma anche in dialetto. Il dialetto, che linguisticamente non ha alcuna differenza con la lingua, ma è solo una lingua che — politicamente, numericamente — non si è affermata, mi è molto caro, sono certa che va preservato anche attraverso la nuova letteratura, sempre in maniera spontanea e vivace, senza forzature.

In questo, Sergio Peter è riuscito nell’intento. Il suo Dettato, che dalla casa editrice Tunué viene presentato come un “romanzo”, ha sicuramente il pregio di valorizzare la lingua locale, quella delle valli attorno al lago di Como, dandogli nuova vita attraverso le sperimentazioni. Verso la fine del volume ci sono alcune lettere, riportate o riprodotte attraverso mimesi linguistica non si sa, che fanno piombare il lettore non solo in un’altra cultura, ma anche in un’altra epoca. Così anche la sperimentazione poetica, sempre nelle ultime pagine, è da vedersi come una sorta di riappropriazione della cantilena della lingua locale, cantilena da cui, forse, scaturisce la poesia (nell’antichità non era altro che una conseguenza delle storie raccontate oralmente, si vedano i poemi epici).

Tuttavia, questo libro è molto difficile. Il ruolo degli autori è quello di sconfinare, dice Peter. Sì, sconfinare serve a conoscere ciò che è altro da sé, serve ad allargare i propri orizzonti. Ma questo sconfinamento pecca, in maniera alquanto contraddittoria, di autoreferenzialità: è davvero complicato seguire il filo del discorso, i luoghi vengono presentati in maniera dettagliata ma sfugge il loro nesso nella storia. Sì, a un certo punto l’autore racconta di un padre scomparso prematuramente, e capiamo (finalmente) qual è il fil rouge che unisce tutto il libro.

Ma se gli esercizi di stile sono cosa buona e giusta, a mio parere (umile parere) essi dovrebbero essere funzionali a una storia per poter rendere quella narrazione davvero intellegibile e se si vuole che arrivi a tutti. Invece questa narrazione è troppo debole, rimane sospesa, non arriva mai a un punto e io, lettore, a pagina 15 mi innervosisco. Probabilmente è un mio limite, probabilmente non sono addestrata a leggere per il piacere di leggere, specie in tempi di stimoli continui che riceviamo oggi, ma forse nemmeno dieci anni fa avrei saputo apprezzarlo.

Eppure, la scrittura di Sergio Peter merita. Forse un po’ di editing in più, forse dirigerla verso un sentiero meno difficoltoso avrebbe fatto bene al libro. Che, si badi bene, non è affatto un romanzo. Pur apprezzabile come exercice de style, questa raccolta di riflessioni che ruotano attorno all’infanzia e alla morte del padre di Peter, a un immaginario culturale e collettivo di una valle chiusa, un’analisi antropologica interessante e ben articolata, non è affatto un romanzo. Perciò, se vi aspettate questo non leggetelo. Ma se volete conoscere una voce sicuramente nuova e interessante del panorama attuale, beh, allora Dettato è il libro che fa per voi.

Sergio Peter, Dettato
Libro della collana diretta da Vanni Santoni
Tunué, 2014
pp. 112, € 9,90

Nota sull’autore
Sergio Peter è nato a Como nel 1986. Ha studiato filosofia all’Università Cattolica, laureandosi con una tesi di Estetica. Ha pubblicato racconti in riviste cartacee e online. Vive a Milano. Questo è il suo primo romanzo.

Per approfondire
Consigli di lettura: Sergio Peter presenta “Dettato” (Tunué)
Dettato di Sergio Peter

Il progetto editoriale descritto in un’intervista per Via dei Serpenti a Vanni Santoni

Approfondimento Tunué

Tunué narrativa

Le interviste dei Serpenti: Vanni Santoni

FUORI STRADA – Rubrica di approfondimento della piccola e media editoria “extra-capitolina”

A partire da maggio 2014, Tunué, casa editrice specializzata in graphic novel e saggistica pop, lancia una nuova collana dedicata alla narrativa e diretta da Vanni Santoni e che verrà presentata al Salone del Libro di Torino il 10 maggio (alle ore 14 nello Spazio Autori).
Scrittore e giornalista, autore pubblicato da Feltrinelli, Mondadori e Voland tra gli altri, e creatore – insieme a Gregorio Magini – del metodo Scrittura Industriale Colletiva (qui trovate l’intervista a Santoni e Magini in occasione dell’uscita di In territorio nemico, primo romanzo scritto con il metodo SIC e pubblicato da minimum fax nel 2013), Vanni Santoni ha risposto ad alcune  domande sulla sua nuova avventura editoriale. 

Vanni SantoniRaccontaci in poche parole che cosa è (per te) Tunué.

Lo faccio raccontandoti il momento in cui per la prima volta entrai in contatto con essa: era un Lucca Comics di qualche anno fa, e quando mi trovai a passare accanto al loro stand uno di loro, poteva essere Emanuele di Giorgi, mi fermò e con baldo piglio da mercante mi disse se mai avrei voluto, se mai avrei potuto potuto, privarmi di due capolavori, e mi mostrò due volumi a fumetti che non avevo mai sentito dire. Mi lasciai persuadere e li acquistai. Non mentiva, dato che si trattava di Perché ho ucciso Pierre di Ka & Alfred e Rughe di Paco Roca, picchi altissimi del fumetto europeo contemporaneo. Da lì mi rimase la certezza del fatto che si trattasse di un editore di grande qualità, e fui dunque molto felice quando, anni dopo, mi vennero a cercare per dirigere la  futura collana di narrativa.

Come nasce l’idea di una collana di narrativa in una casa editrice specializzata in graphic novel e fumetto?

Dopo essersi affermata nel campo del graphic novel, credo che aprire anche alla narrativa fosse un passo naturale per una casa editrice che tra l’altro coltivava già un rapporto privilegiato con la narrativa italiana contemporanea – basti pensare agli adattamenti a fumetti di romanzi usciti in questi anni come Il tempo materiale di Giorgio Vasta, Uno indiviso di Alcide Pierantozzi o Canale Mussolini di Antonio Pennacchi. Inoltre Tunué si è sempre distinta, anche nel fumetto, per la capacità di trovare e lanciare nuovi talenti, ed è quello che stiamo facendo con le prime uscite, Stalin+Bianca di Iacopo Barison e Dettato di Sergio Peter.

Qual è il progetto editoriale della collana? Esordienti, classici, recuperi? Solo italiani o anche stranieri? Quanti titoli sono previsti in un anno?

Fin dall’inizio abbiamo deciso di non darci limiti, se non quello di fare romanzi italiani. In generale la linea è quella che un tempo si sarebbe detto “di ricerca”, come prova del resto il fatto che Peter è un esordiente assoluto e Barison quasi (prima di Stalin+Bianca aveva soltanto pubblicato con un piccolo editore un testo tratto dal suo blog), ed esordienti o quasi saranno anche vari dei prossimi autori che pubblicheremo. È chiaro che l’identità della collana non prevede di pubblicare classici o testi più o meno antichi; non escludo invece, se ve ne sarà la possibilità, l’idea di fare qualche “recupero” mirato di testi recenti e validi ingiustamente finiti fuori catalogo, come già meritoriamente hanno fatto il Saggiatore con Ultimo parallelo di Tuena e Last love parade di Mancassola, o minimum fax con Lo spazio sfinito di Pincio o Assalto a un tempo devastato e vile di Genna. Per ora, comunque, cerco soprattutto nuovi autori: l’attività mi esalta, anche perché per ora ha dato frutti molto buoni. Faremo quattro titoli l’anno.

Da cosa nasce la decisione di pubblicare i testi con licenza Creative Commons?

Credo che di questi tempi pubblicare in CC sia, prima ancora che un piccolo dovere morale, una necessità storica. Lo faccio sempre con i miei libri – quando gli editori me lo permettono – e ho subito proposto l’idea a Tunué, che l’ha prontamente accolta. Lo stesso vale per la questione del prezzo di copertina, che è anch’esso un parametro di accessibilità: ho chiesto espressamente che fosse basso, e Tunué è riuscita a esaudire la richiesta portandolo alla cifra, straordinaria di questi tempi per l’editoria non di massa, di 9.90 euro.

Tunué narrativa

Le copertine dei primi due libri in uscita per la nuova collana di narrativa di Tunué

Chi cura il progetto grafico della collana e quali sono le sue caratteristiche?

Il progetto grafico di Romanzi di Tunué è opera dello studio Tomomot di Venezia. Prima ancora di cominciare avevo espresso la volontà di un piano grafico ridotto al minimo, senza fronzoli e possibilmente senza immagini – pensa che inizialmente avevo proposto questo come modello – e sono felice che anche quest’idea, che non è un vezzo ma viene dalla volontà di porre anche il testo al centro, e dire al lettore che non gli vendiamo specchietti, lucciole o perline, ma romanzi, sia stata accolta. Ovviamente poi rispetto alla mia aspirazione al rigore (non mi dispiaceva neanche l’idea di  fare dei quaderni neri, anni ’40) serviva anche un’impronta di originalità e freschezza che credo Tomomot abbia centrato in pieno.

I primi due libri della collana sono Dettato di Sergio Peter e Stalin+Bianca di Iacopo Barison. Saranno presentati in anteprima nazionale il 10 maggio a Torino. Tu che cosa puoi dirci, senza bruciare l’anteprima?

Sono due romanzi molto diversi tra loro, accomunati dalla giovane età degli autori, rispettivamente classe ’86 e ’88, e dalla qualità della scrittura, che per me è sempre il parametro fondamentale di scelta. Altrove avevo definito Dettato come uno stereoscopio di visioni nostalgiche, solo apparentemente bucoliche, che ricorda Walser, ma anche il Celati di Narratori delle pianure e il Calvino delle Città invisibili; Stalin+Bianca è invece un melodramma adolescenziale, un piccolo e immaginifico “road-novel” che ricorda il Miguel Angel Martín più lieve, ma anche, nei sottotoni distopici, l’influenza certe atmosfere di Cronenberg e DeLillo.

Com’è stato il lavoro di editing sui primi due testi della collana? Sei intervenuto molto? È stato lungo e laborioso? Hai qualche principio che guida il tuo lavoro di editor?

Nessun principio vincolante, se non quanto ho imparato dai bravi editor con cui ho avuto la fortuna di lavorare per i miei libri. Anzitutto che l’editing è un processo maieutico: più che “intervenire” si deve agevolare la fuoriuscita del vero testo, che a volte sta nascosto sotto cose inutili, o rimane in parte inespresso a causa di vicoli ciechi o insufficiente consapevolezza da parte dell’autore delle proprie reali intenzioni o vocazioni stilistiche. Sia con Barison che con Peter abbiamo fatto un lavoro lungo e certosino, ma sempre improntato al rispetto, anzi alla valorizzazione, dell’anima di ciascun romanzo.

Questa è la tua prima esperienza come editor. Qual è stato il percorso che ti ha portato a ricoprire questo ruolo?

Avendo cominciato a scrivere in una rivista autoprodotta che faceva regolarmente riunioni dedicate all’editing dei reciproci racconti, avevo già sviluppato un minimo di sensibilità in questo senso, e in effetti già facevo l’editor a livello informale: spesso tra amici capita di scambiarsi le bozze per un giro di editing “fuor di casa editrice”… Quando trovi mio nome nei ringraziamenti di qualche romanzo uscito in questi anni, di solito è per un lavoro di questo tipo. Al di là di ciò, penso che sia stato il progetto SIC – Scrittura Industriale Collettiva ad aver avuto il ruolo più cruciale nel formarmi in questo senso: l’attività di compositore di un’opera SIC ha diversi punti in comune con l’editing, senza dimenticare che a lunghi e dettagliati processi di editing abbiamo sottoposto tutti i lavori prodotti con il nostro metodo, e specialmente In territorio nemico.

Credi che per uno scrittore il mestiere di editor risulti più “facile”, più naturale o invece c’è il rischio che il proprio stile influenzi il lavoro sui testi altrui?

L’editing è un processo empatico, di rapporto con l’autore – o, ancor più precisamente, di agevolazione del rapporto tra l’autore e il suo testo, e dunque non credo, almeno nel mio caso, che lo stile che l’editor ha quando scrive i suoi libri influenzi troppo il lavoro che viene svolto sui libri altrui.

Quali sono i canali attraverso cui trovi i libri da inserire nella collana? Manoscritti, riviste letterarie, blog, consigli di altri scrittori…

Il primo canale a cui guardo è senz’altro quello delle riviste letterarie, oggi per lo più online. Per questo mi è spiaciuto molto sapere della recente chiusura di Scrittori Precari, che tra tutte era quella che più si dedicava alla ricerca e pubblicazione di nuovi talenti, ma ovviamente le varie Nazione Indiana, Carmilla, minima&moralia e le più recenti ma già affermatissime Le parole e le cose e Doppiozero, così come la stessa Via dei serpenti, costituiscono letture quotidiane imprescindibili, anche al di là dello scouting, visto che ormai il dibattito letterario si è spostato per lo più in rete. Fin da quando ho cominciato a cercare autori mi sono mosso su tre canali: quello dei manoscritti che arrivano direttamente, e copiosamente in casa editrice, un afflusso che possiamo oggi considerare fortunato, dato che ci ha dato Dettato; quello degli autori che mi vengono suggeriti da colleghi di cui mi fido e di cui conosco la competenza; e quello dei giovani autori che scopro in giro per la rete o su rivista, come è stato il caso di Iacopo Barison, che scovai addirittura su MySpace, diversi anni fa, e che da lì ho sempre seguito.

Quali autori consiglieresti di leggere a chi vuole scrivere? Quali sono stati gli scrittori di riferimento nella tua formazione letteraria?

Ho sempre letto molto, ma da quando ho deciso di fare questo mestiere ho letto così tanti romanzi da rendere difficile fare elenchi o tracciare genealogie senza commettere ingiustizie. Forse il mio scaffale aNobii può dare un’idea, anche se è decisamente incompleto, anzi è più una specie di minuscola campionatura, fatta anche secondo parametri puramente affettivi.
Di certo a chi vuole scrivere consiglio anzitutto di leggere tanto: una dieta solida e variata di classici, senza dimenticare di inserire qualche grande romanzo contemporaneo, e saltuariamente anche qualcosa di recentissimo e non necessariamente grande, dato che per capire dove sta andando la letteratura occorre anche seguire i propri contemporanei.
Le mie basi profonde stanno per lo più nel romanzo francese e russo del diciannovesimo secolo e nella poesia inglese dello stesso periodo, ma negli ultimi anni ho lavorato molto anche sulla letteratura americana e italiana, e sulla poesia tedesca e francese, del Novecento. Sono solo all’inizio.

Quest’anno le candidature al Premio Strega sono state numerose e assai variegate. A parte la tua personale previsione (se vuoi) sul vincitore,  ha ancora senso parlare di Premi letterari in questi tempi di self-publishing e libri digitali?

Credo che abbia certamente senso parlare di premi letterari se servono a orientare il lettore e (azzardo) il “canone”. Purtroppo negli ultimi anni i premi – i pochi, o meglio i due, che ancora hanno effetti sulle vendite – sono stati sfruttati dalle case editrici come “acceleratori commerciali”, il che ha svilito tale funzione, ma prima di sputare sui premi a priori bisogna tener conto di quanto ci sia in realtà voglia e richiesta di orientamento. Il punto è magari trovare il modo di rendere più votato alla qualità il processo selettivo. Magari noi, che non facciamo altro che seguire il campo letterario, non lo vediamo, ma molti lettori sono abbastanza disorientati: ho amici, e parlo di lettori forti, che vengono spesso a chiedere cosa comprare, specie sulla contemporanea, perché in un contesto in cui le collane principali di molti grandi editori possono includere di tutto, dal trash alla letteratura più alta, in cui le uscite si moltiplicano e la loro durata si riduce, chi non dedica davvero il grosso del suo tempo a seguire la scena può trovare difficoltà a scegliere “a buio” o anche solo a “vedere” le uscite buone nel delirio di nuovi libri che si accavallano l’uno sull’altro prima di finire anzitempo nelle tenebre. Ben vengano dunque i premi, a patto di saper mettere anche in discussione le loro modalità di selezione, e ben vengano nuovi esperimenti in questo senso, penso ad esempio al premio Dedalus-Pordenonelegge che, sia pur con diversi limiti strutturali e un regolamento che, nel suo continuo mutare, aveva portato molti giurati alla disaffezione, proponeva ai lettori delle classifiche assai più interessanti e rappresentative del “buono” letterario di quelle di vendita, o delle cinquine dei premi più noti. Tra l’altro il bisogno di orientamento rimane e diventa anzi ancor più disperato nell’era del self-publishing, il cui problema centrale, ancor più che per l’editoria tradizionale, è proprio la selezione: in un oceano di testi che non hanno neanche passato il vaglio della selezione editoriale (vaglio che, pur nei limiti impliciti al fatto che l’editoria è anche commercio, rimane ancora piuttosto valido), come può il lettore “beccare” quello buono, o almeno decente? Credo che questo sia il vero nodo interno all’intera questione del self-publishing, ma il paradosso è che la risposta altro non è che tutta una serie di filtri, processi produttivi, di identificazione, categorizzazione, riconoscimento e comunicazione che prende oggi il nome di “editoria”: non credo sia del  resto un caso che i principali concorsi legati al mondo del self-publishing mettono in palio non servizi o vantaggi in tale ambito, ma la pubblicazione con editori tradizionali di buona reputazione.

Un’ultima curiosità: quali libri ci sono in questo momento sul tuo comodino?

La pelle di Curzio Malaparte, Gli imperdonabili di Cristina Campo, Middlemarch di George Eliot (in rilettura), Beloved di Toni Morrison, Underworld di Don DeLillo, la nuova edizione dei Romanzi di Luigi di Ruscio, Da cosa nasce cosa di Bruno Munari, Mumin e la cometa di Tove Jansson, Tulips & Chimneys di E.E. Cummings. E spero che arrivi presto il corriere così che possa aggiungere le copie fresche di stampa di Dettato e Stalin+Bianca (che in libreria arriveranno il 15 maggio).

Approfondimento Tunué

FUORI STRADA – Bookcity 2013: la festa del libro che Milano voleva (4)

FUORI STRADA – Rubrica di approfondimento della piccola e media editoria “extra-capitolina”

di Anna Castellari 

Lo scorso anno, 2012, si è tenuta la prima edizione di Bookcity. Un paio di settimane dopo c’è stata anche la prima edizione di Writers, festival di scritture e di scrittori ai Frigoriferi Milanesi, centro nevralgico della creatività milanese, dove, tra gli altri, trova posto l’editore “volutamente” piccolo Marcos y Marcos. In quell’occasione, incontrai Gianni Biondillo, scrittore noir milanese che spesso capita tra Pordenone, Mantova, Torino… mi ha detto: «C’era gente l’altra volta a Bookcity, c’è un sacco di gente adesso a Writers. Si vede che questo genere di manifestazioni la città le voleva».

Era vero. Quest’anno, la seconda edizione di Bookcity è stata ancora più grande – e faticosa. “650 eventi”, quasi il doppio dello scorso anno, “1200 ospiti, centotrentamila presenze, 182 sedi, 200 editori, 950 classi di scuole. E + di 100 poesie lette”. Così twitta, orgoglioso, il @ComuneMI, l’account del Comune di Milano, che organizza la manifestazione. Non si sa, quest’anno, con quanta soddisfazione da parte dei cittadini. Due risposte di due utenti della manifestazione la dicono lunga sul festival: “E il vuoto totale”, scrive@miaenne, “il mio bookcity sabato scorso l’ho passato in libreria del mondo offeso, mica a far pubblicità all’expo” replica polemico @igggy1427. Cinguettii a parte, è chiaro che una manifestazione del genere era ciò di cui aveva bisogno Milano per ricordarsi di essere la città dell’editoria.

Non si può parlare di Bookcity in generale, perché per ragioni di grandezza dell’evento, di distanze e di stanchezza fisica del week end è molto difficile seguirlo per intero. Perciò ognuno parla del proprio Bookcity, di come ha vissuto individualmente un evento collettivo, che riporta i milanesi in uno dei luoghi-simbolo della città tra i meno frequentati dai suoi cittadini – come il Duomo, anche il Castello Sforzesco è frequentato prevalentemente da turisti e pochissimo da milanesi.

Il Castello Sforzesco, centro nevralgico degli eventi legati alla manifestazione era davvero addobbato a festa: luci blu e psichedeliche si riflettevano dentro e fuori; nel frattempo, alcuni attori di Campo Teatrale, i cosiddetti “uomini-libro”, leggevano ai passanti brani da libri più o meno noti, muniti soltanto di una minitorcia per leggere, fermando ignari passanti.

Il mio Bookcity è stato abbastanza defilato, salvo che per un evento in Sala della Balla al Castello Sforzesco, nel quale seguivo l’associazione con cui collaboro da tempo, PoesiaPresente. Dome Bulfaro, accompagnato dalla chitarra di Francesco Marelli, leggeva stralci di Milano Ictus, il crollo del Duomo di Milano immaginato in un’opera teatrale; ha interpretato le poesie di ZibaKarbassi, poetessa iraniana che grida la propria indignazione contro la violenza perpetrata nei confronti delle donne, nella sua terra d’origine; e poi è stata la volta del libro in versi per bambini di Patrizia Gioia, che leggendo Tita su una gamba sola ha dato voce a una bambina alle prese con i suoi piccoli, grandi problemi quotidiani in una Milano ormai perduta, quella delle case di ringhiera e dei giochi in cortile.

L’altro evento, per me significativo, soprattutto perché con il lavoro attuale non posso più partecipare attivamente, è stato l’aiuto che ho potuto dare nuovamente a quel bellissimo laboratorio di idee e di creatività che è La Grande Fabbrica delle Parole, voluto da Francesca Frediani e Barbara Martelli di Terre di Mezzo. Nel corso dei laboratori, che si svolgono da qualche anno, si fa scrivere a ogni bambino partecipante un finale a un libro scritto tutti assieme. Sia questo finale scritto, disegnato o anche solo immaginato, il risultato è sempre che ognuno dei piccoli partecipanti, attraverso una ferrea organizzazione che prevede un editore dietro le quinte a stampare e a rilegare fogli, si porta a casa un libro. A significare che la cultura non è qualcosa di altro, di lontano dal proprio mondo, ma di vicino e di “creabile” con la propria testa e le proprie mani. Ospiti di questo appuntamento sono state due sorelle straordinarie: le autrici proprio del libro che ha dato il titolo al laboratorio, La grande fabbrica delle parole, Valeria Docampo e Noelia Blanco. Valeria ha disegnato, in tempo reale e dipingendolo con brillanti tempere, bellissime illustrazioni, per la gioia dei piccoli partecipanti.

Infine, l’ultimo incontro che ho seguito nel corso di Bookcity è stato quello con Andrea Vitali, che durante una merenda informale con i lettori, tutti molto interessati e interattivi, ha raccontato l’aneddotica che gli si presenta di continuo nel suo mestiere di medico condotto in provincia di Como, e che gli ispira i suoi libri. Tutto intorno, nel raccolto spazio Logan, nei pressi del castello, la mostra I gatti di Merk, con le illustrazioni feline, bellissime, del fratello Giancarlo Vitali, poi pubblicate sull’omonimo libro edito Cinquesensi, per la collana iVITALI. Una chiacchierata divertente, intellettuale, ricca di stimoli.

Questa è la Bookcity che vorrei: piccola, raccolta, informale, divertente, leggera. Speriamo che anche il prossimo anno si moltiplichino eventi come quelli che ho vissuto e vi ho appena descritto.

FUORI STRADA: Book City (3)

FUORI STRADA – Rubrica di approfondimento della piccola e media editoria “extra-capitolina”

Un altro appuntamento di Book City con il mondo dell’illustrazione:

21 novembre – Never Judge A Book By Its Cover

Effearte presenta “Never Judge A Book By Its Cover”, mostra collettiva di 13 artisti che esplora il mondo dell’illustrazione e dell’editoria, focalizzandosi sulle copertine di libri.

Il mondo delle copertine, da sempre in continua evoluzione, nell’ultimo decennio si è spinto in territori che tempo fa era impossibile immaginare grazie al contributo di art director visionari, di editor coraggiosi e non per ultimo di formidabili artisti che hanno messo la loro arte a disposizione del mondo editoriale.

Gli artisti in mostra: Atelier Vostok, Alice Beniero, Andrea Cavallini, Maurizio Ceccato, Aldo Cosomati, Lorenzo Lanzi, Chris Martin, Emiliano Ponzi, Guido Scarabottolo, Shout, Gaia Stella, Riccardo Vecchio, Olimpia Zagnoli.

FUORI STRADA: Book City (2)

FUORI STRADA – Rubrica di approfondimento della piccola e media editoria “extra-capitolina”

La nostra selezione di appuntamenti con l’illustrazione e la traduzione.

Gli appuntamenti con l’illustrazione, la grafica, il fumetto, le copertine dei libri

Giovedì 21 – h. 14:30
Copertine a prova di store (workshop professionale a cura di AIE). Con Giovanni Peresson
Politecnico Bovisa, Via Durando 10
Workshop professionale. Quali sono gli elementi che rendono appetibile una copertina? In libreria, ma anche in uno store on line? Secondo quali criteri si progetta il layout di una collana? Quali…
Con Giovanni Peresson, Gianmarco Senatore, Margherita Pillan, Mario Piazza, Giacomo Callo, Claudia Tarolo, Lorenzo Lanzi, Davide Surace, Serena Bellinello .

Giovedì 21 – h. 15:00
Studi aperti. Dietro le quinte del lavoro editoriale: dalla grafica all’illustrazione e di nuovo alla grafica
Ex-colorificio, via Montevideo, 6
La progettazione dei libri, dal progetto grafico al lavoro di illustrazione e all’impaginazione. Le scelte del grafico, le scelte dell’illustratore, il rapporto tra contenuto e immagine nei libri. Conversazioni con Aurora…
Con Aurora Biancardi, Giuliana Donati, Giulia Orecchia.

Giovedì 21 – h. 18:00
Quanto vale l’immagine di copertina. Con Guido Scarabottolo.
Associazione Illustratori, Via Evangelista Torricelli 18
Guido Bau Scarabattolo, si occupa di illustrazione e grafica da quasi 40 anni, nell’ultimo decennio cura e illustra le copertine per Guanda. In occasione di Studi aperti, gli illustratori incontrano il…
Con Guido Scarabottolo.

Giovedì 21 – h. 18:30
Designing interaction. Quando i libri diventano App (workshop professionale a cura di AIE)
IED, Via Sciesa 4
Workshop professionale. Se i libri si scaricano sui tablet e le copertine diventano icone, per catturare l’attenzione del lettore come si deve riprogettare la grafica di ebook e app editoriali? I bisogni…
Con Cristina Mussinelli, Lorenza Negri, Caterina Pinto, Dario Albini, Luca Infante, Antonio Misseri, Barbara Corti.

Venerdì 22 – h. 11:00
La conferenza degli illustratori
Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, via Riccione 8
Con l’illustratore Peter Sìs, Ivan Canu, direttore Mimaster, e Matteo Codignola di Adelphi, incontro a cura di O.P.P.I. – Mimaster con la partecipazione di Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori. L’illustratore Peter…
Con Peter Sìs, Matteo Codignola, Ivan Canu.

Venerdì 22 – h. 15:00
Studi aperti. IllustrAzioni in corso, gruppo aperto di illustratori: illustrazione e impegno civile
Ex-colorificio, via Montevideo, 6
Il gruppo illustrAzioni in corso è un gruppo aperto di illustratori professionisti che lavora sullo scambio di esperienze, l’ideazione di progetti innovativi e la sperimentazione dell’illustrazione dentro e fuori dai…
Con Allegra Agliardi, Aurora Biancardi, Emanuela Bussolati, Giuliana Donati, Desideria Gucciardini, Giulia Orecchia, Francesca Zoboli, Anna Masini.

Venerdì 22 – h. 15:00
Franco Brambilla: illustrare le copertine di fantascienza
Associazione Illustratori, Via Evangelista Torricelli 18
Franco Brambilla, illustratore specializzato in sci-fi, crea copertine di libri e romanzi di questo genere per le più famose collane editoriali italiane: Urania e Urania Collezione, raccolta di classici di…
Con Franco Brambilla.

Venerdì 22 – h. 17:00
La carriera di illustratore tra copertine e megazine, tra clienti italiani ed esteri. Con Alessandro Gottardo alias SHOUT
Associazione Illustratori, Via Evangelista Torricelli 18
Alessandro Gottardo, alias Shout, illustratore molto noto, lavora da un decennio per clienti italiani e stranieri. Si è affermato sulla scena italiana e internazionale attraverso uno stile sintetico e concettuale.

Sabato 23 – h. 12:30
Raccontare i libri, un fatto di amore e… di colore. Con Marco Petrella e Christian Mascheroni
Sala Bertarelli
Marco Petrella racconta libri, li recensisce usando i fumetti. Bastano quattro vignette, o poco più. Così, dalle mani del suo alter ego, il libraio Arturo, passano le opere di Don…
Con Marco Petrella, Christian Mascheroni.

Sabato 23 – h. 15:00
Studi aperti. Dietro le quinte dei libri e delle illustrazioni, con Giulia Orecchia
Ex-colorificio, via Montevideo, 6
Molte illustrazioni e molti libri illustrati. Giulia Orecchia lavora dal 1980 come illustratrice editoriale e autrice, prevalentemente per l’infanzia. Ha illustrato testi di grandi autori, poesie e copertine e ha progettato…
Con Giulia Orecchia.

Sabato 23 – h. 16:30
Zerocalcare e l’invasione degli Zombi!
Sala Bertarelli
Il quartiere di Zerocalcare è sotto attacco zombi, rimangono solo dodici ore per fuggire! Dopo i successi de La profezia dell’armadillo, Un polpo alla gola e Ogni maledetto lunedì su…
Con Zerocalcare.

Gli appuntamenti con la traduzione

Venerdì 22 – h. 10:30
I mestieri del libro. La traduzione di un libro
Sale Panoramiche
Con Daniela Di Sora, Emilia Lodigiani, Martina Testa, Daniele Petruccioli, Laura Cangemi, Ilide Carmignani.

Venerdì 22 – h. 18:00
Il traduttore risponde: incontro con i lettori
Biblioteca Sormani – Sala del Grechetto, via Francesco Sforza 7
Con le docenti e i docenti di Traduzione di Milano Lingue
Con Bruno Osimo, Anna Ruchat, Elisabetta Svaluto, Gina Maneri, Laura Frausin, Margherita Crepax, Yasmina Melaouah, Franca Cavagnoli.

Sabato 23 – h. 19:30
Il traduttore racconta. Quattro sfumature di giallo
Libreria Internazionale Melting Pot, Via Vettabbia 3
Il traduttore è prima di tutto un lettore – un lettore implacabile, lo definiscono spesso gli scrittori tradotti – il lettore cui nulla sfugge: dalla perla in un testo che…
Con Emanuela Cervini, Andrea Di Gregorio, Dori Agrosì, Laura Frausin, Elena Sacchini.

Domenica 24 – h. 16:00
Il traduttore racconta. Gli occhi dell’eterno fratello. Con Ada Vigliani e Dori Agrosì
Libreria Internazionale Melting Pot, Via Vettabbia 3
Il traduttore è prima di tutto un lettore – un lettore implacabile, lo definiscono spesso gli scrittori tradotti – il lettore cui nulla sfugge: dalla perla in un testo che…
Con Dori Agrosì, Ada Vigliani.

Domenica 24 – h. 19:30
Il traduttore racconta. Francis Scott Fitzgerald. Con Franca Cavagnoli e Dori Agrosì
Libreria Internazionale Melting Pot, Via Vettabbia 3
Il traduttore è prima di tutto un lettore – un lettore implacabile, lo definiscono spesso gli scrittori tradotti – il lettore cui nulla sfugge: dalla perla in un testo che…
Con Franca Cavagnoli, Dori Agrosì.