FUORI CAMPO – Rubrica dedicata all’illustrazione e al fumetto
di Emanuela D’Alessio
Diari di viaggio, appunti, disegni. Pochi tratti o minuziosi dettagli, testimonianze reali di suggestioni e incontri. Una tradizione antica, fatta di mappe, notazioni ed illuminazioni. Da Marco Polo a Chatwin. Questo è Road Trippin, il progetto che Riccardo Fabiani ha deciso di autoprodurre lanciando una campagna di crowfunding.
Riccardo Fabiani è nato a Motta di Livenza (Treviso) nel 1979. È laureato in Arti Visive. In quarta elementare ha scoperto che disegnare è il modo migliore di parlare con il mondo. Da allora non si è più fermato. Incontra l’arte contemporanea in varie burrascose relazioni, concluse con litigi e promesse di eterna vendetta. Illustra la sua visione ironica dell’umanità allineandola con quella tragica dell’editoria. Intende continuare così, fino a che fama, o morte, non sopraggiunga.
Chi è Riccardo Fabiani? Da dove viene e dove vuole andare?
Sono un disegnatore. Quando guardo le cose che mi circondano mi chiedo come sarebbe tratteggiarle su di un foglio. A volte mi definisco un artista senza essere del tutto sicuro dei requisiti richiesti per dirsi tale. Provengo dal reame della pittura che ho amato, trascurato e riscoperto. Voglio arrivare alla gente, parlare per immagini a più persone possibili, per instillare il dubbio e appannare gli specchi delle certezze. Voglio che il mondo abbia paura dell’arte e che si ricordi di non poterne fare a meno.
Road Trippin – Clock Ticking
Quando e come hai iniziato a disegnare e come ti sei avvicinato al mondo dell’illustrazione?
Ho cominciato a disegnare davvero in quarta elementare. La maestra aveva spiegato la storia della battaglia di Maratona e ci aveva affidato il compito di illustrare la drammatica corsa di Filippide. Il disegno del mio soldato venne diverso da come mi aspettavo; più realistico, più accurato. La maestra mi accusò di non averlo eseguito da solo. Seppi allora che disegnare sarebbe stato il mio modo di comunicare con il mondo. Mi sono avvicinato all’illustrazione considerandola una sorella minore dell’arte pittorica classica, ma ho imparato presto a riconoscerne la totale indipendenza e le leggi interne, precise e spietate. Cercando di diventare fumettista, ho compreso che prediligevo le splash page, le immagini singole e ricche, alla narrazione progressiva per vignette.
La tua ultima pubblicazione è stata su WATT 3.14, la rivista di Oblique e Ifix studio, dove hai illustrato il racconto di Davide Orecchio Contro nessuno. Puoi spiegarci come è nato il progetto?
Perseveranza. Ho scoperto il progetto WATT tramite il blog di Oblique, prima dell’uscita del numero 0. Ho inviato più volte i miei lavori per le scouting nights (il loro originale sistema di reclutamento talenti). Ma alcune cose non erano ancora delineate nel mio approccio, e questo rendeva meno incisiva la mia opera. Nel 2012 ho eseguito una serie di chine acquarellate per il libro Inchiostri di Andrea Biscaro, edito da Lieto Colle. Quelle tavole avevano la lucidità che prima d’allora latitava. Ero finalmente riuscito a centrare il bersaglio; Maurizio Ceccato e Leonardo Luccone mi contattarono per illustrare il racconto di Davide Orecchio.
WATT – Il banchetto del rondone – Narrazione di Davide Orecchio “Contro nessuno”
Che cosa ne pensi di questa commistione parola-immagine così sperimentata in WATT, della tendenza a mescolare e confondere differenti forme di narrazione?
Reputo WATT una delle più riuscite forme sperimentali dell’editoria italiana. La cifra vincente sta nella sua motilità; ogni agente coinvolto è chiamato a rimettersi in discussione, a confrontarsi con segni alieni e parole inattese. Persino i registi dell’operazione devono scendere in campo per creare nuove e impreviste alchimie.
Da dove viene l’ispirazione per i tuoi “segni”?
Devo molto ai libri, alle storie, alle leggende. Sono un cannibale visivo, mi nutro di ogni cosa che vedo e leggo. Ritaglio notizie bizzarre, conservo immagini grottesche, foto sbagliate. Guardo molto alla storia dell’arte, cerco di coltivare lo straniante. Contrasto la mia tendenza al narcisismo con l’utilizzo di strumenti inadeguati, cercando di trarne il massimo vantaggio. Disegno e dipingo per difendermi, per attaccare, per conquistare nuovi brani di realtà, come faceva Alberto Giacometti.
Inchiostri – Osceni innominabili concetti
Quali sono metodo e tecnica del tuo lavoro e come affronti un nuovo progetto?
Cerco di usare pochi strumenti e la mia palette è ridotta all’essenziale. Uso una matita da carpentiere della Rexel Derwent, che ha un segno nero, spesso e aggressivo. Dei pastelli a olio, soprattutto bianchi e ocra. Vedendomi lavorare si potrebbe pensare che io abbia delle propensioni masochistiche: completo il disegno preparatorio, mi perdo nei dettagli. Poi scelgo il punto più delicato, più riuscito, e mi ci accanisco, lo travolgo, lo copro di velature, lo raschio, ci disegno nuovamente sopra. Tratto male i miei lavori, cerco di conservare l’approccio del monaco che lavora a un mandala di sabbia: voglio che i miei disegni abbiano le mie stesse cicatrici. Se devo lavorare su commissione scelgo la tecnica più vicina allo spirito della richiesta, e mi chiedo sempre se posso deformarla o spingerla oltre i suoi limiti naturali. In generale prediligo medium che non mi lasciano possibilità di ripensamenti (china, inchiostri, pirografia).
A proposito di nuovi progetti, che cos’è Road Trippin e perché la decisione di autoprodursi?
Road Trippin è un punto a capo. Si tratta di una stratificazione di ricordi ed esperienze di viaggio raccolte durante dieci anni. In ogni viaggio ho portato dei taccuini che ho riempito di schizzi, pensieri e disegni. Guardando indietro ora ho sentito l’esigenza di raccoglierli e dare loro una forma definita, così ho deciso di trarne una pubblicazione. Ho deciso di tentare la strada dell’autoproduzione perché voglio che il libro conservi in massima parte la spontaneità e la freschezza dei carnet da cui sarà tratto; voglio essere libero di inserire ciò che desidero e poter fare cose normalmente sconsigliate in editoria. Nella produzione finale ci saranno cartoline non rilegate, segnalibri, ritagli. Non volevo rischiare che queste scelte venissero compromesse o ridimensionate da un editor.
Come sta andando la campagna di crowfunding?
A rilento. Ho ricevuto molte attestazioni di stima e un gran numero di condivisioni, ma la verità è che i donatori più generosi sono esteri per il momento. Rimangono circa due settimane al termine della campagna e sto intensificando gli sforzi. Ci sono perks (ricompense) a partire da 10 euro; tutti pezzi realizzati a mano, con tirature limitate. Segnalibri, disegni, copie del libro ultimato e persino dipinti ad olio per le donazioni più generose.
L’Ankou – Vendetta
Un altro tuo progetto si intitola L’Ankou, lo spettro di Tristan Corbière. Di che cosa si tratta?
Un incontro fortunato. Un vecchio libro abbandonato che un giorno ha attratto la mia attenzione. Tristan Corbière è un poeta misconosciuto scoperto postumo da Verlaine. Un eccentrico outsider verso il quale ho provato istantanea empatia. Tristan incarna l’epitome della poesia, con una nitidezza dolorosa. Nelle sue righe, pare di vedere l’andatura dinoccolata di quel giovane che sognava il mare, che si lasciava lambire dalla bruma del mondo, desideroso di immergervisi, ma rimaneva condannato alla battigia. Le sue poesie vibrano stoccate e io mi sono lasciato ferire; ho creato una serie di illustrazioni che cercano vanamente di restituire il bagliore che imperversa nella sue rime. Il progetto si è concretizzato in un blog.
Con cadenza settimanale mi confronto con una delle poesie di Corbière, scrivo un mio breve componimento, e ripropongo il suo testo con in calce la mia immagine. Ormai è quasi come incontrare un amico al bar.
Qui hai sperimentato la commistione tra segni e poesia. In che cosa differisce, se c’è una differenza, dal più consueto rapporto con un testo narrativo?
Disegnare ispirati da una poesia ti lascia una certa libertà, soprattutto se si cerca di non essere didascalici. Un testo narrativo ha poche vie di fuga, è come una casa in mattoni, solida e stabile. L’illustratore può trovare le crepe, o limitarsi a decorare la facciata. La poesia è come una vecchia casa in legno, piena di aperture, spifferi, possibilità. Ti chiede di essere completata, compresa e abitata. E il risultato è in grado di smascherarti immediatamente; con i versi non si può bluffare.
Nei giorni scorsi da Scripta Manent è stata presentata ISOLA, una collana di poesie e disegni. Una nuova esperienza, hanno spiegato, dove sono prevalsi i suoni sulle parole. Che cosa ne pensi?
Mi sembra importante rivendicare la libertà dei mezzi espressivi; la fascinazione sonora è più immediata, anche se per l’uomo adulto risulta difficile prescindere dai significati riconoscibili delle parole. Quando questo accade, si sperimenta un potente paradosso; l’ingenuità di un bambino che scopre per la prima volta il mondo, unita alla malizia dell’uomo che quel mondo ha già depredato. Disegnare seguendo il suono è stata una buona idea, e ha prodotto opere davvero interessanti (penso alla coppia D’Agostino/Setola).
Ci sono artisti che hanno influenzato il tuo percorso di crescita?
Molti. Nelle arti visive Egon Schiele per il segno inesorabile e la spietata analisi dei corpi, Francis Bacon per aver restituito la carne alla pittura, Joseph Beuys per il suo approccio alla vita.Dall’illustrazione Mike Mignola con la sua drammatica sintesi, J. S. Alexander, Kent Williams.Il cinema, con David Fincher, i fratelli Cohen.Dalla letteratura, Robert Pirsig, Joe Landsdale, Douglas Adams, Philip Dick, Charles Bukowski.
C’è una casa editrice, italiana o straniera, di cui apprezzi particolarmente il lavoro?
Trovo interessante la minimum fax, mi piace il loro modo asciutto di presentare le opere. Hacca edizioni sta facendo dei piccoli capolavori.
Il mercato dell’illustrazione parla italiano? Quali sono oggi le opportunità per chi si dedica all’illustrazione?
L’illustrazione editoriale non sta attraversando un buon momento; sono sempre di più le case editrici che preferiscono affidarsi ai siti di fotografie stock, per risparmiare e abbreviare i tempi. Le cover di molti libri sono prevedibili e innocue. Ci sono poche illuminate eccezioni, ma nella maggior parte dei casi l’illustrazione è relegata al settore graphic novel, non riesce a coabitare nella narrativa regolare, soprattutto quella massificata. La via più battuta per chi si vota all’illustrazione è quella delle riviste e dei quotidiani. I lavori che si collocano al limite tra infografica e opera sono ancora spendibili. Assistiamo però alla stessa proliferazione che affligge il mondo della scrittura: tutti si improvvisano scrittori e quasi nessuno legge. Accade lo stesso per il disegno: molti si lanciano senza paracadute dal picco delle immagini, armati soltanto di Photoshop. Ma ci sono altre cose da scoprire, prima di saltare.
Infine, una domanda “fuori tema”: che cosa c’è da leggere sul tuo comodino?
Tengo sempre almeno tre libri sul comodino; quello in fondo potrebbe avermi deluso, ne ho sospeso la lettura ma potrei decidere di riprenderlo, quello in mezzo è una sorta di bibbia da consultare aprendola a caso e quello che sta in cima è la lettura che devo completare. Attualmente il libro in fondo è Quando la notte obbliga di Montero Glez, Salani. La bibbia nel mezzo, Azzeccare i cavalli vincenti di Charles Bukowski, Feltrinelli. In cima,L’età del fil di ferro e dello spago di Ben Marcus, Alet.
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