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I consigli dei Serpenti per l’estate 2018 – Pierluigi Lucadei

Pierluigi Lucadei, l’autore della nostra rubrica Musica per camaleonti, consiglia:

Matteo B. Bianchi – Yoko Ono. Dichiarazioni d’amore per una donna circondata d’odio (add, 2018)
Perché non odiare Yoko. È possibile amare la musa più vituperata della storia del rock: anzi, se si conosce la sua vita e il suo percorso artistico e musicale, amarla diventa quasi necessario. Artista provocatoria e ostinatamente anticonvenzionale, dal 1968 al fianco di John Lennon, Yoko Ono ha visto rivalutare la sua opera soltanto in tarda età. Oggi ha ottantacinque anni e la sua figura è circondata dal mito ma per decenni ad accompagnarla c’è stato solamente l’odio più becero: Matteo B. Bianchi ci spiega perché nell’ultimo volume dell’apprezzabile collana Incendi di add editore.

Michael Imperioli – Il profumo bruciò i suoi occhi (Neri Pozza, 2018)
Educazione reediana. Noto come attore, soprattutto per il ruolo di Christopher Moltisanti nella serie “I Soprano”, Michael Imperioli si dimostra anche abile narratore con il suo primo romanzo, che racconta la formazione del giovane Matthew nella torrida estate del 1976 a New York. Dopo la perdita del padre e del nonno, il ragazzo si trasferisce con la madre dal Queens alla zona più rock di Manhattan. A prenderlo in simpatia c’è uno strano individuo magro, ossigenato e vestito di nero che vive nello stesso palazzo e che, in realtà, è un’autentica leggenda: Lou Reed.

Phillipp Winkler – Hool (trad. di Riccardo Cravero, 66th and 2nd, 2018)
Sporchi e (ultra)violenti. Altro romanzo d’esordio, stavolta di un giovane scrittore tedesco, Hool racconta il lato oscuro della Bundesliga e del suo tifo. Ambientato nella grigia Hannover, racconta la storia di Heiko, figlio di padre alcolizzato e abbandonato dalla moglie quando i figli erano ancora piccoli, cresciuto subendo la fascinazione di uno zio teppista. Un libro da non perdere per chiunque abbia sperimentato l’amore cieco, senza compromessi, per una squadra di calcio. Un libro dal ritmo inarrestabile, certamente ultraviolento e sconcertante, scritto con un linguaggio che ricicla slang da hooligan e slogan da rapper, ma con un’anima fatta di pulsante poesia suburbana.

Alessandro Leogrande – La frontiera (Feltrinelli, 2015)
Strumentario per l’intelligenza. Questa è l’estate della retorica leghista del “chiudiamo i porti” e di un razzismo sempre più pericoloso. Forse non c’è un momento migliore per (ri)scoprire Alessandro Leogrande, scomparso improvvisamente lo scorso anno a soli 40 anni, e studiarne le tante storie attraversate da berriere, mentali e fisiche. Le pagine de “La frontiera” sono uno strumentario giornalistico-letterario quanto mai utile per chi ha voglia di scavare più nel profondo il concetto di migrazione e per chi non ha paura di fare i conti con una verità troppo poco raccontata. «Da qualche parte nel futuro, i nostri discendenti si chiederanno come abbiamo potuto lasciare che tutto ciò accadesse».

 

#2 – La verità arrabbiata di Jonathan Coe e Thom Yorke

MUSICA PER CAMALEONTI – Rubrica dedicata ai suoni della letteratura

di Pierluigi Lucadei

jcIl nuovo romanzo di Jonathan Coe, Numero undici, prende lo spunto iniziale dalla tragica fine di David Kelly, massimo esperto di biotecnologie e ispettore ONU in Iraq che aveva svelato al mondo le menzogne di Tony Blair nel caos geopolitico post 11 settembre.

Da raffinato cultore delle sette note (tra le sue grandi passioni gli Smiths e gli High Llamas), Jonathan Coe ha sempre riempito i suoi romanzi di musica. Stavolta non succede. Numero undici procede freneticamente dalla prima all’ultima pagina, attraverso salti temporali e colpi di scena continui, senza una vera e propria colonna sonora. C’è una canzone, però, che suona di tanto in tanto nel romanzo, una canzone che è, a sua volta, ispirata alla vicenda di David Kelly. Si intitola Harrowdown Hill ed è contenuta in The Eraser, il primo disco solista di Thom Yorke dei Radiohead.

Harrowdown Hill è il bosco dove è stato trovato il corpo senza vita di Kelly, nell’Oxfordshire. In un’intervista con il giornalista Andrew Gilligan, lo scienziato rivelò l’infondatezza del dossier sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein che il governo Blair aveva usato come pretesto per attaccare l’Iraq. Il 29 maggio 2003 Gilligan parlò delle scoperte di Kelly alla BBC, scatenando un terremoto politico. Il 17 luglio Kelly morì nel bosco, a meno di un chilometro dalla sua abitazione, secondo la versione ufficiale a causa dei tagli ai polsi autoinfertisi a scopo suicidario. Per alcune incongruenze medico-legali, per l’incredibile tempismo e l’evidente convenienza politica per la premiata ditta Blair-Bush, il suicidio generò più di un sospetto.

I personaggi di Numero undici sono molto colpiti dalla morte di Kelly. Per bocca della sua protagonista Rachel, Jonathan Coe non lascia spazio a dubbi sull’opinione che si è fatto riguardo la vicenda. «La morte è un evento definitivo. Può essere un’affermazione banale, ma quello che sto cercando di dire è che fu a Beverley, quella settimana, che per la prima volta capii davvero cosa volesse dire. Sì, dev’essere stata questa la vera ragione per cui non ho mai dimenticato la morte di David Kelly. Prima di allora non mi era mai capitato di pensare alla morte come a una realtà. In un certo senso, fu quello il primo decesso nella mia famiglia. Fino a quel momento non sapevo niente della guerra con l’Iraq, ma ora era chiaro che qualcosa era cambiato, come se una linea di demarcazione fosse stata oltrepassata. Una persona di valore era morta e niente poteva riportarla in vita. E il nostro primo ministro aveva le mani sporche di sangue».

Ma Rachel è soltanto una ragazzina impressionata dalla morte solitaria di uno scienziato nel mezzo di un bosco. Laura, invece, è un’adulta, una professoressa, ed anche attraverso la sua voce il messaggio di Coe è il medesimo. «C’è un momento in ogni generazione in cui questa perde la sua innocenza. La sua innocenza politica. È quello che la morte di David Kelly ha rappresentato per noi. Fino a quel momento, eravamo stati scettici nei confronti della guerra in Iraq. Sospettavamo che il governo non ci dicesse tutta la verità. Ma il giorno in cui Kelly morì, una cosa divenne assolutamente chiara: la faccenda puzzava. Che si trattasse di un suicidio o di un omicidio non era così importante. Una persona perbene era morta e, in un modo o nell’altro, erano state le bugie costruite attorno alla guerra a ucciderla. Tutto qui. Nessuno di noi poteva più fingere che a governarci fossero delle persone oneste».

Thom Yorke non ha amato Tony Blair più di Jonathan Coe, anzi. In un’intervista di pochi mesi fa ha addirittura accusato lo staff di Blair di averlo ricattato quando, nel 2003, si era rifiutato di incontrare il primo ministro e di farsi fotografare con lui.
E la morte di Kelly ha colpito a tal punto il musicista inglese da ispirargli quella che, per sua stessa ammissione, è la canzone più arrabbiata che abbia mai composto. Harrowdown Hill, appunto.
Yorke non intende cavalcare l’ambiguità, vuole invece urlare al mondo nel modo più chiaro possibile di non credere alla versione del suicidio. È la voce di David Kelly quella che parla a Thom Yorke:

«Don’t walk the plank like I did/you will be dispensed with/when you become inconvenient
(Non superare il limite come ho fatto io/si sbarazzeranno di te/appena sarai diventato scomodo)
Up on Harrowdown Hill/the way you used to go to school/that’ where I am/that’ where I’m lying down
(Su a Harrowdown Hill/lungo la strada che facevi per andare a scuola/è lì che mi trovo/è lì che giaccio)
Did I fall or was I pushed?/Did I fall or was I pushed?/And where’ the blood?/And where’ the blood?
(Sono caduto o sono stato spinto?/Sono caduto o sono stato spinto?/E dov’è il sangue?/E dov’è il sangue?)”

Il testo è straordinariamente esplicito per gli standard di Yorke e necessita soltanto di un paio di chiarimenti. Harrowdown Hill è poco lontano dai luoghi dove Yorke è cresciuto: questo, oltre a spiegare il particolare orrore del cantante per la morte di Kelly, spiega il verso «the way you used to go to school». Il verso «and where’ the blood?» si riferisce, invece, al fatto che la quantità di sangue trovata vicino al cadavere non sarebbe stata sufficiente a causare la morte: soltanto uno dei tanti dettagli misteriosi e mai fino in fondo chiariti che hanno portato molti ad abbracciare la tesi dell’omicidio.

A dieci anni dalla sua uscita, ascoltare Harrowdown Hill avendo bene in mente la vicenda David Kelly mette ancora i brividi. La contemporanea lettura di Numero undici di Jonathan Coe dona all’ascolto un tocco di gotico e un po’ di sana paranoia.

Jonathan Coe è nato a Birmingham nel 1961 e vive a Londra. Ha scritto tre biografie (di Humphrey Bogart, James Stewart e B.S. Johnson) e numerosi romanzi. Numero undici è il suo ultimo romanzo.

Thom Yorke, nato nel 1968, è un musicista britannico, voce solista del gruppo rock Radiohead. Il suo album di debutto come solista, The Eraser, è stato lanciato il 10 luglio 2006 nel Regno Unito e l’11 luglio negli Stati Uniti.

Numero undici
Jonathan Coe
Traduzione di M. Castagnone
Feltrinelli, 2016
pp. 381, € 19

IL COMODINO DEI SERPENTI –
Il comodino di Pierluigi Lucadei (ottobre 2015)

IL COMODINO DEI SERPENTI – Rubrica dedicata ai libri sul comodino

Il comodino di Pierluigi Lucadei

Pierluigi Lucadei (San Benedetto del Tronto, 1976) di mestiere fa il medico legale, ma scrive da molto tempo prima di diventare medico. Si occupa di musica e letteratura sul Mucchio Selvaggio, sul blog minima&moralia e sul quotidiano online Il Mascalzone. Nel 2014 ha pubblicato, per Galaad,  Ascolti d’autore, raccolta di venticinque interviste ad altrettanti scrittori, tra i quali Hanif Kureishi, Michael Chabon e Niccolò Ammaniti, sul tema della musica, con una postfazione di Nicola Lagioia.

Oltre al libro che sto leggendo, sul mio comodino trovano sempre posto dei libri già letti che, di tanto in tanto, torno ad aprire per una rilettura a salti, mirata o casuale che sia. Si tratta di raccolte di racconti, saggi musicali, biografie. Oppure dei miei romanzi preferiti.

Tutto potrebbe andare molto peggio, Richard Ford (Feltrinelli, 2015). È il libro che sto leggendo in questo momento, preso in prestito da mio padre, dopo averglielo regalato per il suo compleanno. Il Frank Bascombe di Richard Ford condivide con il lettore il suo sguardo di ghiaccio e tanto basta per immortalare un momento, quello del dopo uragano, che rischia di far crollare le certezze dell’uomo medio oltre che la sua abitazione. Pagina dopo pagina, sembra di essere lì, sulla costa del New Jersey spazzata da Sandy, a misurare il peso del superfluo, a inventariare lo sporco di una vita e a capire che rimorsi, lutti e sconfitte valgono lo scintillio di una gioia inespressa.
Frase sottolineata: «Di un bell’uragano che va per le spicce si può dire che rimette la vita in prospettiva. Vale sempre la pena di notarlo, quando non ci sentiamo precisamente come credevamo che ci saremmo sentiti. Facile a dirsi, naturalmente, dal momento che io non abito più qui».

I racconti, John Cheever (Feltrinelli, 2012). I sessantuno racconti che nel 1979 sono valsi il Premio Pulitzer allo scrittore del Massachusetts mettono in scena la tragicità di una middle-class intrisa di mondanità e da essa come immalinconita, abbandonata, deturpata. L’agognato sogno americano è la trama su cui si legano le esistenze virate in blu dei personaggi, persi in un senso di attesa che raramente si materializza, colti più spesso nell’attimo della lotta per non corrompere la propria anima. C’è nei racconti un circospetto pessimismo, una disperazione non urlata, apparentemente sotto controllo, ingabbiata negli ingranaggi della modernità e lì relegata al silenzio.
Frase sottolineata: «Cash cantò, pregò, e si mise in ginocchio, ma in chiesa non riusciva mai a sentire altro che la propria estraneità al regno dell’infinita misericordia di Dio, e, a dire il vero, non credeva nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo più di quanto ci creda il mio bull-terrier».

La fortezza della solitudine, Jonathan Lethem (Il Saggiatore, 2010). Jonathan Lethem è figlio di un artista e di un’attivista politica che negli anni Settanta fecero la scelta controcorrente di andare a vivere in un quartiere di Brooklyn a netta maggioranza afroamericana. Proprio come Dylan Ebdus, il protagonista de La fortezza della solitudine, romanzo con la rara capacità di contenere un mondo, magnificamente reale e allo stesso tempo fantastico. Superati i trent’anni, trovo sempre più difficile restare inchiodato a un romanzo così come mi succedeva quando di anni ne avevo diciotto. Con La fortezza della solitudine è successo: l’ho letto alcuni anni fa e l’onda della sua suggestione continua a cullarmi, tanto che da qualche settimana il libro è tornato sul mio comodino, pronto per essere riletto.
Frase sottolineata: «Sfuggendo alla mia ferita avevo affamato la mia vita, mi parve improvvisamente di capire. Mi perdevo in finte e schermaglie a cinquemila chilometri dal fronte interno».

Bardot Deneuve Fonda, Roger Vadim (Rizzoli, 1986). Una delle autobiografie più piacevoli che possa capitare di leggere. Roger Vadim aveva il dono della leggerezza, nel cinema, nella scrittura, nella vita. Anche quando raccontava fatti drammatici, lo faceva con la consapevolezza di poter cogliere l’irripetibilità di un attimo e tramutare il destino in stile. Scandaloso pigmalione, ha molto vissuto e molto amato, soprattutto donne bellissime, soprattutto bionde. Brigitte Bardot, Catherine Deneuve e Jane Fonda sono quelle che ha scelto per riassumere un’intera esistenza passata a sedurre donne e a orchestrare la loro ascesa a mito.
Frase sottolineata: «Non mi rendevo conto che le donne, ossessionate dall’amore eterno, temono molto le nuove relazioni. «Mi amerai sempre?» significa: «Ti prego di non lasciarmi innamorare di qualcun altro». Per la maggior parte degli uomini, queste parole dimostrano che essi hanno il dominio incontrastato del cuore di una donna. Ma è vero esattamente il contrario».

Badlands, Alessandro Portelli (Donzelli, 2015). Se è vero che buona parte dell’America continua ad avere un’idea di se stessa che non corrisponde al vero, le canzoni di Springsteen non si sono mai tirate indietro dallo smascherare questo equivoco. Alessandro Portelli, professore di Letteratura angloamericana alla Sapienza, mette in relazione versi e musica del Boss con il contesto storico, culturale e sociale, misurando con competenza e rigore la distanza tra il sogno americano e una realtà fatta di cecchini giovani ed impauriti mandati ad uccidere in guerre inspiegabili (“Devils & Dust”), di uomini alienati ed annientati dal lavoro in fabbrica (“Factory”) o di gente ammazzata solo per il colore della pelle (“41 Shots”).
Frase sottolineata: «Se c’è un punto in cui Bruce Springsteen rompe decisamente con la tradizione della letteratura e del cinema americano è qui: non si fugge via dalle donne e via dalla società; si fugge in due, uomo e donna insieme, gettando i semi utopici di un mondo altro di cui la coppia è l’embrione».

Qui gli altri comodini.

Il comodino di Pierluigi Lucadei

Il comodino di Pierluigi Lucadei

Foto: Simon Cocks

I consigli per l’estate dei Serpenti (4):
John Lansdale e Mark Twain

di Lorena Bruno

infondoallapaludePuò capitare che d’estate, in riva al mare o all’ombra di un albero, venga voglia di libri avventurosi, magari per ricordare le letture fatte da piccoli, quando la fantasia accresceva il fascino di ogni particolare della storia; oppure per distrarsi da libri più impegnativi, che si divorano meglio sotto plaid caldi. Da piccola Il giornalino di Gian Burrasca mi divertiva, ma mi appassionavano di più le storie di Louise May Alcott; in seguito ho scoperto quanto possa essere piacevole un libro sulle avventure di ragazzi cresciuti in mezzo ai boschi.

Per questo consiglio In fondo alla palude di Joe R. Lansdale, pubblicato da Fanucci editore. Ambientato in Texas negli anni Trenta, racconta di Harry e della sorellina Tom (sarà un omaggio a Mark Twain?), che si inoltrano nel bosco per seppellire il proprio cane e si imbattono nel cadavere di una donna di colore. Tornando verso casa, nel buio scorgono l’Uomo-Capra, figura leggendaria di cui tutti parlano ma a cui credono in pochi. Raccontano tutto al padre che inizia a indagare su quell’omicidio. L’autore introduce così il tema del razzismo di quegli anni, quando il divario tra bianchi e neri non era questione che si potesse affrontare facilmente con il criterio dell’uguaglianza. Con uno stile scorrevole e con piacevoli punte di ironia, Lansdale conduce la narrazione senza esitazioni, attraverso gli occhi di un ragazzino che sta per diventare adolescente e che si scontra con la violenza, il razzismo e la morte. Il testo è molto ricco di suggestioni, l’ambientazione efficace è fatta della descrizione di fiumi e stagni, di ponti malandati e di case con i portici, di tensioni razziali, lavoro nei campi e chiacchierate dal barbiere, colorandosi di un’atmosfera noir.

twainPuò capitare anche che dopo aver letto In fondo alla palude venga la curiosità di approfondire la conoscenza di uno di quegli autori cui Lansdale deve molto, come Mark Twain. Il filone in cui il romanzo di Lansdale si iscrive fa riferimento a capolavori come Le avventure di Tom Sawyer o Le avventure di Huckleberry Finn, per cui al lettore curioso può venire in mente di spulciare lo scaffale della libreria dedicato allo scrittore americano; in tal caso potrebbe imbattersi in uno di quei libri che si discostano molto dal genere avventuroso dei personaggi come Huck o Tom e trovare Il diario di Eva (Feltrinelli). Tra queste pagine la voce femminile di Eva descrive i suoi primi giorni nel Paradiso terrestre, alla scoperta degli animali, delle stelle, dell’acqua e del fuoco, nonché del suo amore per Adamo. Si tratta di una voce molto consapevole, per essere quella di una donna nata solo da un giorno, che si nutre di mele e che si distingue dall’uomo per la sua sete di conoscenza, per il suo entusiasmo nella scoperta e per il suo acume. Eva si sente un esperimento e ragiona di conseguenza, sperimentando gli elementi, la gravità e sentimenti come la paura, quando scopre il fuoco, che la porta alla malinconia. Con un linguaggio semplice e uno stile che a tratti si fa molto poetico, Twain tratteggia i pensieri di una donna che si ritrova in vita da un giorno all’altro, consapevole dell’esistenza di Dio, che osserva il creato e che fa supposizioni sulla scomparsa della luna al mattino; in questa sua tensione verso la conoscenza e nell’entusiasmo verso le creature del Paradiso, Eva si sente molto distante da Adamo, da cui è comunque molto attratta. Le pagine del diario sono alternate alle illustrazioni d’epoca di Lester Ralph.