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Otto anni nei boschi narrativi #6 Laura Fusconi

Titolo?
Otto anni di editoria indipendente. Le interviste di Via dei Serpenti
Editore?
Via dei Serpenti
Uscita?
Settembre 2019

Riprendiamo i nostri assaggi di Otto anni di editoria indipendente. Le interviste di Via dei Serpenti con Laura Fusconi, giovane scrittrice all’esordio con Volo di paglia, per Fazi, un anno fa.
La prima intervista a Via dei Serpenti risale ad agosto 2018.  La nuova è di luglio 2019.
Qui uno stralcio.

Qualche parola su Volo di paglia
Grazie a Volo di paglia ho conosciuto persone bellissime, librai e lettori che con la loro passione mi hanno contagiato e mi hanno dato energie positive e voglia di fare. Ho visto posti e vissuto momenti che non dimentico più: il prosecco di Conegliano, il pesce di Ascoli, il giardino di una ex vetreria a Milano nord, la passeggiata nei luoghi del romanzo – dalla chiesa di Verdeto al castello di Boffalora – fatta insieme ai ragazzi della terza media di Agazzano: avevano letto tutti il libro, e guardavano, chiedevano, volevano sapere cosa era cambiato, cosa era invece rimasto uguale.
Grazie alla scrittura ho rivissuto emozioni e situazioni appartenute all’infanzia che credevo dimenticate: scriverne per me significa capirne il senso, vedere collegamenti che al tempo erano nascosti, i fili che legano le cose. E, soprattutto, significa dare ai ricordi un’intensità che altrimenti non avrebbero.
In Volo di paglia c’è un po’ di tutto questo [cinema], c’è tanto di Bertolucci, da Novecento a Io ballo da sola, ci sono i campi di grano di Io non ho paura di Gabriele Salvatores e i colori di L’uomo che verrà di Giorgio Diritti.

Il futuro
Ho alcuni punti fermi e faccio del mio meglio per vivere il presente, per il resto lascio che le cose accadano e cerco di accettarle. In quello che sto scrivendo adesso racconto di come la vita sia scandita da punti nodali che ne determinano il corso. Parlo di equilibri saltati, di incontri che salvano, di traumi che inizialmente possono sembrare solo negativi, ma che alla lunga diventano un’occasione. Anche questa volta sono storie del piacentino: la realtà contradditoria della provincia, dove alla libertà dello spazio geografico si contrappone di frequente la ristrettezza della mentalità degli abitanti, caratterizzata da meschinità, pregiudizi e spesso vigliaccheria, è qualcosa che rifiuto, ma che al tempo stesso mi affascina approfondire.

RACCONTI ITALIANI #3 – Intervista a Laura Fusconi, una voce che arriva dal passato

RACCONTI ITALIANI – rubrica dedicata al racconto italiano contemporaneo

di Emanuela D’Alessio

Laura Fusconi, piacentina, ha 28 anni, lavora come grafica e appena può scappa in campagna per leggere e disegnare. Scrive storie per piacere. «Ci sono storie ovunque, alcune sono così belle che è un peccato vadano perse». Per scrivere ci vogliono pazienza e umiltà, ma più di ogni altra cosa «prepararsi a sputare sangue». A settembre uscirà il suo primo romanzo, Volo di paglia,  nato da una fotografia di sua madre del 1981,  «lei bella come il sole al castello di Boffalora, dove aveva affittato una stanza per l’estate». La “voce” di Laura Fusconi arriva dalla sua infanzia, dalle letture di Roald Dahl, dal suo film preferito Novecento, dalle fotografie della nonna.

Sei nata a Castel San Giovanni, in provincia di Piacenza, pochissimi anni fa, dopo gli studi classici ti sei dedicata alla grafica e alla scrittura, passando dalla scuola Holden di Torino. Hai scritto qualche racconto ma sei subito arrivata al romanzo, di cui aspettiamo l’uscita a settembre. Ebbene, che cosa fai in attesa di trovare il tuo primo libro in libreria?
In realtà continuo la mia vita di sempre: lavoro come grafica nel reparto creativo di un’azienda di Lodi e nei weekend scappo in campagna, a Verdeto, dove posso leggere, disegnare con gli acquerelli e farmi viziare dalla cucina di mio padre.
Certo, il pensiero del libro in uscita rende belle anche le giornate con trentasette gradi passate sui binari ad aspettare treni in ritardo.

Raccontare storie è, per te, una conseguenza di cosa: vocazione, necessità, casualità?
Raccontare storie per me è un piacere: mi diverto a inventare situazioni e personaggi, a scrivere dialoghi e a cacciare qua e là dettagli, pezzi di frasi e di persone che mi hanno colpito. Ci sono storie ovunque, alcune sono così belle che è un peccato vadano perse. Mi piace fermarle sulla carta. Avere l’impressione di riuscire in qualche modo a trattenerle.

Hai frequentato la celebre scuola Holden che, nel tuo caso, sembra aver determinato ottimi risultati. Devo quindi ricredermi sull’effettiva utilità delle scuole di scrittura?
I due anni della scuola Holden sono stati un tempo mio in cui ho potuto chiedermi se scrivere era davvero quello che volevo fare. Il confronto quotidiano con tanti ragazzi di talento ha rappresentato per me uno stimolo e un’occasione fondamentale per riflettere. Lì ho incontrato Leonardo Luccone, che mi ha subito colpito per la sua sensibilità e il suo gusto in ambito letterario.
Per quanto riguarda le scuole di scrittura in generale, credo che possano rappresentare una palestra significativa: certo non insegnano propriamente a scrivere, ma letture, incontri, discussioni, analisi ed esercizi aiutano a focalizzarsi meglio sulla scrittura e a trovare la propria voce. Il rischio da scongiurare è quello dell’appiattimento e dell’omologazione, perché l’originalità e l’anticonformismo non sempre vengono premiati.

Da una parte ci sono le scuole di scrittura con costi di iscrizione anche elevati, dall’altra i forzati del self publishing, sempre più numerosi e incoraggiati dalla prospettiva di celebrità a costo zero e senza intermediari. In mezzo ci sono gli agenti letterari, ad esempio Oblique Studio che ti rappresenta, e in un angolo le centinaia di manoscritti nelle case editrici con l’unica prospettiva di prendere polvere. Che cosa c’è di giusto e sbagliato, necessario e superfluo in questo scenario?
Non mi ritengo la persona adatta per dire cosa c’è di giusto o di sbagliato in tutto questo: sono l’ultima arrivata. Nel mio piccolo, parlando della mia esperienza, penso che le parole chiave siano pazienza e umiltà. La pazienza perché il tutto e subito non esiste, e l’umiltà per non credere che quello che hai scritto sia da Nobel e tu un genio incompreso perché al 99% non lo sei. Penso sia sbagliato voler pubblicare a tutti i costi senza confrontarsi: puoi piangere finché vuoi, ma è fondamentale ascoltare le critiche, tutte, tornare e ritornare testa china sul proprio lavoro, lasciare da parte presunzione e arroganza che non portano a niente, trovare un buon agente, cercare di pubblicare su riviste, online e soprattutto cartacee e, più di ogni altra cosa, prepararsi a sputare sangue.

Soffermiamoci sul tuo racconto Le bambole non muoiono, una storia dai toni fiabeschi che, come tutte le favole, si nutre di mistero e magia, sempre in bilico tra realtà e fantasia, con un finale che lascia un brivido di inquietudine. Il tuo sguardo contemporaneo si sofferma sugli echi del passato per restituire voce a chi non è più. Uno sguardo profondo e intenso che suscita sorpresa e incanto. Da dove arriva questo sguardo?
Arriva dalla mia infanzia, dai miei genitori, dalle domeniche passate nella casa delle zie di mia madre, dai libri di Roald Dahl che leggevo da piccola, dalle storie che inventavo per terrorizzare mia sorella e da quelle che raccontava mio fratello non facendomi dormire la notte. Arriva da Novecento di Bertolucci che è il mio film preferito, dalle foto che mia nonna tirava fuori da una scatola di latta che teneva sopra l’armadio.

I tuoi racconti sono comparsi, oltre che sulle rassegne di Oblique, su alcune riviste letterarie. Qual è o dovrebbe essere il ruolo delle riviste letterarie nel mondo (ristretto) dell’editoria: palestre di scrittura, trampolini di lancio, luoghi culturali alternativi, rifugio per disillusi?
Le riviste letterarie sono un’occasione per chi vuole scrivere, una tappa fondamentale nel percorso di un autore dato che rappresentano il primo momento di confronto con l’editoria e il pubblico. Leggerle è piacere per la cura, l’attenzione ai dettagli e alla qualità che le caratterizzano.

Non parleremo ovviamente del tuo romanzo, Volo di paglia, perché lo faremo quando lo avrò letto. Però posso chiederti di raccontare rapidamente la sua gestazione, che mi sembra sia stata abbastanza lunga, e ancor prima, la sua idea originaria e l’incontro con Leonardo Luccone.
Del romanzo posso solo dire che è stato un lavoro lungo e bellissimo, non si arriva mai alla fine: ancora adesso non ci credo; forse quando lo vedrò in libreria incomincerò finalmente a realizzare. L’idea originaria è una fotografia di mia madre: 1981, lei bella come il sole al castello di Boffalora, dove aveva affittato una stanza per l’estate.

Scrittori e libri non possono fare a meno delle librerie, che restano sempre l’anello più debole della filiera editoriale. Confesso di non sapere affatto se Piacenza sia o meno una città viva sul piano culturale e letterario. Né conosco il contesto librario piacentino. Puoi fornire tu qualche indicazione?
La mia città ospita da sempre festival culturali di caratura nazionale: il mio preferito era Carovane, che ha portato in Italia scrittori come Luis Sepúlveda e Paco Ignazio Taibo II.
Lì, da ragazzina, avevo incontrato Bianca Pitzorno: era stata un’emozione farmi fare la dedica su Ascolta il mio cuore, quando ancora mi stavano antipatiche tutte le bambine che si chiamavano Sveva ed ero sicurissima che avrei chiamato mia figlia Prisca. Ora il posto di Carovane è stato preso dal festival blues Dal Mississippi al Po, che alla letteratura ha aggiunto la musica. In città ci sono tre librerie indipendenti (Fahrenheit, Bookbank, Romagnosi) che costituiscono importanti punti di aggregazione.

Come dovrebbe essere la tua libreria ideale e ti è capitato di entrarci almeno una volta?
Una via di mezzo tra Shakespeare and Company a Parigi, Strand a New York e City Lights a San Francisco: un posto pieno di divani e corridoi stretti, dove puoi passare ore a vagare tra gli scaffali e a parlare coi librai e con altri lettori.

Che tipo di lettrice sei (ordinata, compulsiva?) e qual è stato fino ad ora il tuo percorso di lettura?
Leggo molto, da sempre, di tutto. Quando trovo uno scrittore che mi è affine divento compulsiva e leggo tutto quello che trovo di suo. I primi che mi vengono in mente sono Cesare Pavese, Haruki Murakami, Irène Némirovsky, Kent Haruf, Alice Munro, Marilynne Robinson ed Elizabeth Strout. A proposito, non smette di emozionarmi il pensiero che il mio Volo di paglia uscirà proprio nella stessa collana dei romanzi Olive Kitteridge, I ragazzi Burgess, Resta con me, Amy e Isabelle.

Che cosa c’è da leggere sul tuo comodino in questo momento?
In questo momento La famiglia Aubrey di Rebecca West. In pianta stabile La luna e i falò di Cesare Pavese, Il fucile da caccia di Inoue Yasushi, La banda dei brocchi di Jonathan Coe e tutto il teatro di Sarah Kane.

 

 

I consigli dei Serpenti per l’estate 2018 – Laura Fusconi

Laura Fusconi*, autrice di Volo di paglia, in libreria a settembre per Fazi, consiglia:

 Elizabeth Strout – Resta con me (trad. di Silvia Castoldi) Fazi, 2010
«Io odio Dio» è un’affermazione che, pronunciata dalla figlioletta di un pastore protestante, basta a stravolgere le dinamiche relazionali tra gli abitanti di un piccolo paese del Maine: la mentalità provinciale e bigotta si mostra in tutta la sua grettezza, fino ad annientare chiunque ne diventi la vittima. Mi piace la compassione con cui la Strout mostra la fragilità dell’essere umano, lasciandogli sempre però una possibilità di riscatto.
È uno di quei libri che leggeresti anche ai semafori, non tanto per vedere come va a finire, ma per la delicatezza e la maestria con cui l’autrice riesce a coinvolgerti nella vita e nell’atmosfera di West Annett, paese che per la sua universalità potrebbe essere ovunque.
Chi ha amato Pastorale americana di Philip Roth troverà parecchi punti di contatto tra i protagonisti dei due romanzi, Tyler Caskey e Seymour Levov: la bontà, l’innocenza e la profonda onestà intellettuale.

Laura Fusconi è nata a Castel San Giovanni (Piacenza) nel 1990. Dopo il liceo classico e una laurea in Graphic Design&Art Direction alla Naba, si è diplomata nel 2015 al college di scrittura della Scuola Holden. Il suo primo romanzo, Volo di paglia, uscirà il 30 agosto per Fazi.

Musica per camaleonti #5 – Slumberland, il ritmo perfetto trasformato in prosa

MUSICA PER CAMALEONTI – Rubrica dedicata ai suoni della letteratura

di Pierluigi Lucadei

Slumberland non è il solito romanzo musicale, ma un ritmo travolgente che con un colpo di teatro Paul Beatty ha trasformato in prosa. Appena riproposto da Fazi con una nuova veste grafica dopo il trionfo dello scrittore losangelino all’ultimo Man Booker Prize con Lo schiavista, Slumberland mostra un Beatty al suo meglio, ironico, graffiante, disinibito e stonato.

slumberlandI fatti si svolgono in un luogo e un tempo cruciali per capire ciò che siamo diventati: Berlino, 1989. Il Muro non è ancora caduto (ma cadrà a metà del romanzo), e DJ Darky si reca in Germania per trovare il misterioso Charles Stone detto Schwa, nome di culto del free jazz di cui sono perse le tracce, l’unico in grado di completare il ritmo irresistibile scritto da Darky e di trasformarlo in qualcosa di imperfettibile, in una Gioconda musicale.
Darky ricorda per mezzo di suoni, memorizza attraverso fruscii, silenzi, frastuoni, e la sua incrollabile fiducia nel ritmo perfetto che ha in potenza lo porta a suggellare incanti sonori con la nonchalance del predestinato, a vivere la propria negritudine con l’imperturbabilità di un jazzista fumato, a sedurre donne come solo un vero alchimista sa fare. Si paga da vivere lavorando come jukebox sommelier allo Slumberland Bar, un locale nel quale l’amore platonico è bandito, in cui se sei nero e sai battere il piede a ritmo di funk hai altissime probabilità di ritrovarti seduto al tavolo «stretto tra donne bianche adoranti».
Cerca delle risposte e non ha ben chiare le domande, ma sa per certo che lo Schwa può aiutarlo a districare la sua matassa esistenziale, anche solo con una nota. L’amore stesso è un fenomeno acustico. Per non parlare dell’identità di un uomo privo di inni politici, interessato soltanto al suo beat salvifico, «la confluenza tra melodia e cadenza che trascende lo stato d’animo e il tempo. Un ritmo che si possa fischiettare, tamburellare sopra il bancone di una tavola calda, o sparare a tutto volume dagli altoparlanti merdosi e sottomodulari dello stereo della macchina, senza che perda mai la propria gravità marciata. Un ritmo che avrebbe spinto tutte le signore dentro la casa a esclamare “Ehi!”, senza però provenire da un rapper in concerto in presa a un assoluto bisogno di presenza scenica…. Un ritmo senza tempo, che non sarebbe mai diventato ‘buona vecchia musica’, ma sarebbe rimasto per sempre fresco come il pane francese».

Slumberland è un libro col quale scatenarsi, drizzare le antenne, aggrapparsi con le mani alle casse, sfondare muri per costruirne di nuovi, dipingerne i contorni con vernici improbabili, ubriacarsi di playlist da sogno, imitare un’esistenza funkadelica senza accorgersi di averne già vissute più di una, disfarsi dei luoghi comuni e decifrare il proprio io con la migliore lente d’ingrandimento che esista, la musica ovviamente.

Paul Beatty, nato a Los Angeles nel 1962, è stato il primo scrittore americano a vincere il Man Booker Prize, nel 2016 con Lo schiavista (Fazi) in cui ha immaginato, ribaltando la prospettiva, che un esponente della piccola borghesia afroamericana abbia uno schiavo e venga accusato di reintrodurre la segregazione razziale. La questione dei neri si trova anche in Slumberland, il libro precedente, uscito ora in Italia, sempre per Fazi editore. Paul Beatty vive a New York.

Slumberland
Paul  Beatty

Trad. di Silvia Castoldi
Fazi, 2017
pp. 320, 18,50 €

Butcher’s Crossing – John Willians

UNA STAGIONE DA LEGGERE Rubrica dedicata alle stagioni nei libri, perché ogni storia ha la sua stagione.

di Emanuela D’Alessio

PRIMAVERA – Butcher’s Crossing di John Williams

Tra la fine di marzo e i primi di aprile il tempo si stabilizzò e, giorno dopo giorno, con estenuante lentezza, Andrews vide la neve sciogliersi nella valle. Iniziò dai punti in cui era più sottile, col risultato che la valle, da piatta che era, si trasformò in un miscuglio di erba imbiancata e cumuli di neve sporca. I giorni divennero settimane e, grazie all’umidità che colava nel terreno con lo sciogliersi della neve e col caldo della bella stagione, l’erba nuova cominciò a spuntare in mezzo a quella rinsecchita dall’inverno. Un leggero strato di verde coprì il giallo-grigiastro del vecchio manto.

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Mentre la neve si scioglieva filtrando nel terreno in via di risveglio, la selvaggina divenne più numerosa: i caprioli comparvero lungo la valle, brucando i fili d’erba tenera e fresca. Erano così temerari che spesso si spingevano a poche centinaia di iarde dal campo. Al primo rumore alzavano la testa e drizzavano le piccole orecchie coniche, tendendo il corpo pronti a scappare. Poi, se il rumore non si ripeteva, ricominciavano a brucare, chinando i colli fulvi sull’erba in tante curve delicate. Le quaglie di montagna cantavano sulle cime degli alberi, posandosi di tanto in tanto tra i caprioli in cerca di cibo, con le loro piume screziate di grigio, bianco e marrone che si confondevano con il terreno. Con tanta selvaggina a disposizione, Miller non vagava più nella foresta. Quasi con sufficienza, cullando il piccolo fucile automatico di Andrews nella curva del gomito, si allontanava di pochi passi dal campo e, posando distrattamente il calcio sulla spalla, rimediava tutta la cacciagione necessaria. Gli uomini erano ormai satolli di carne di cervo, quaglie e alci. Quello che non riuscivano a mangiare marciva nel caldo sempre più intenso. Ogni giorno, Schneider si trascinava fino al passo per ispezionare la neve che lentamente si scioglieva tra loro e il mondo esterno. Miller guarda il sole e misurava con torve occhiate i lembi di terra nuda che si allargava verso il fianco della montagna, senza parlare. Charley Hoge continuava a leggere la sua Bibbia consunta, ma di tanto in tanto, come stupito, alzava la testa per guardare com’era cambiato il paesaggio. Prestavano meno attenzione al fuoco, che avevano tenuto acceso tutto l’inverno. Più volte lo lasciarono spegnere e dovettero riaccenderlo con l’acciarino che Miller teneva nel taschino della camicia.

butcher's crossingAndrews è un ventenne di Boston approdato a Butcher’s Crossing, uno sperduto villaggio del Kansas, in un mattino di primavera del 1873, in cerca di terre selvagge e di sé stesso. Miller è il migliore cacciatore di bisonti della zona, con un solo desiderio, tornare in una valle sperduta sulle montagne del Colorado dove anni prima aveva visto scorrazzare mandrie sterminate. Partiranno da qui verso un viaggio di caccia che si rivelerà drammatico e dal quale faranno ritorno sconfitti e perduti per sempre.
Butcher’s Crossing è il bellissimo romanzo di John Williams, pubblicato nel 1960 cinque anni prima di Stoner e dodici prima dell’acclamato Augustus con cui vinse il National Book Award.

In Italia dobbiamo all’editore romano Fazi (e alle traduzioni di Stefano Tummolini) la riscoperta di questo straordinario scrittore americano, rimasto sconosciuto inspiegabilmente fino a quando, nel 2012, è uscito Stoner, divenuto in breve caso editoriale dell’anno.
E ora ci sentiamo tutti un po’ orfani di John Williams, così come di Kent Haruf, e di quella letteratura americana spesso trascurata e dimenticata.

Qui le nostre recensioni di Stoner

Butcher’s Crossing
John Williams
Traduzione di Stefano Tummolini
Fazi, 2013
pp. 359, € 17,50

IL COMODINO DEI SERPENTI – Il comodino di Lorena Bruno (marzo 2015)

comodino_coverIL COMODINO DEI SERPENTI – Rubrica dedicata ai libri sul comodino

Il comodino di Lorena Bruno

Il problema del comodino di chi ama leggere è lo spazio. Se poi quello in questione è il comodino di una donna, oltre alle pile di libri si potrebbero trovare creme idratanti e altri oggetti del genere: con un po’ di immaginazione si può avere un’idea di come stia messo (male) il mio comodino.

In questo periodo accanto alle creme tengo Gli elisir del diavolo di E.T.A. Hoffmann nella bellissima edizione L’Orma editore, 2013 (traduzione di Luca Crescenzi),  un volume scuro dalla copertina in carta Fedrigoni materica provvista di bandelle con segnalibri staccabili molto eleganti. Gli appassionati sapranno di quale tipo di carta stiamo parlando, ma i neofiti, come me, possono trovare queste informazioni alla fine del volume, in un piccolo paragrafetto (il cosiddetto “finito di stampare”) che specifica inoltre che la carta su cui si legge il romanzo è invece la Lecta coral book; all’interno le testatine presenti in tutte le pagine sono molto curate, con un carattere particolare che si addice al periodo storico cui appartiene il romanzo e al suo genere letterario. Bastano questi elementi per capire che l’edizione in questione è stata curata nei minimi particolari ed è per questo preziosa a suo modo. Mi ha catturata una domenica a Campo dei Fiori, dove è stato bruciato Giordano Bruno e sotto la sua statua c’è una libreria dal nome che ha molto a che fare con il fuoco, Fahrenheit 451.
Il romanzo di Hoffmann narra la storia di un ragazzo che cresce in convento perché il padre ha voluto espiare le sue colpe abbandonando ogni bene materiale e abbracciando la vita monastica. Medardus, il protagonista, vuole a sua volta vivere da uomo di chiesa e diventa anche un abile predicatore. La sua posizione lo porta a conoscenza del fatto che nel suo convento c’è una preziosa reliquia, una bottiglia di elisir che il diavolo aveva offerto a Sant’Antonio per tentarlo nel deserto. Narrato in prima persona, lo stile aderisce pienamente al romanticismo dalle tinte fosche e trascina nelle avventure di Medardus. Non ho ancora finito di leggerlo, ma mi sembra che riconduca al filone letterario in cui il diavolo governa le azioni umane e mi ha ricordato per questo – e non per altro – Il Maestro e Margherita di Bulgakov.

L’altro volume sul mio comodino ha un titolo che per tanto tempo mi ha attratta e respinta allo stesso tempo. L’inconfondibile tristezza della torta al limone di Aimee Bender, pubblicato da minimum fax nel 2011 (traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan), occhieggiava dagli scaffali delle librerie senza che mi decidessi a comprarlo, finché un’addetta ai lavori non me lo ha consigliato caldamente. Sulla copertina c’è una fetta di torta molto invitante che ha un’ombra umana, infatti si tratta della storia di una ragazzina che scopre di avere un dono: nelle pietanze sente con chiarezza il sapore delle emozioni di chi le ha preparate. In questo modo impara a conoscere la sua famiglia senza filtro, scoprendone tutte le problematiche mangiando ciò che prepara la madre. Mi incuriosiva questo insieme di realismo nel racconto dei drammi di una famiglia americana come tante altre e l’elemento fantastico del dono della protagonista, che non fa che rendere ancora più reale il ritratto dei personaggi.

Il terzo volume sul comodino è Anima di Wajdi Mouawad, uno degli ultimi libri pubblicati da Fazi. Sulla copertina c’è un gigantesco serpente dai colori molto belli. Sono ormai a metà di questo romanzo insolito, dove i fatti sono narrati da un animale diverso per ogni capitolo. Un cane, un gatto, una zanzara, un ragno, un corvo e tantissime altre specie raccontano la storia di un uomo che trova sua moglie barbaramente uccisa e decide di inseguire il suo assassino per guardarlo in faccia. Lo stile, di volta in volta diverso, sembra assecondare il modo di pensare che può avere questo o quell’animale, ora molto schematico ora molto poetico e descrittivo. Tutti questi animali, nella molteplicità del loro sguardo, restituiscono una visione d’insieme insolita, soprattutto perché sentono gli uomini per come sono davvero, ne percepiscono l’aura.

L’ultimo è un libro del 1988 che ho trovato in una libreria dell’usato, in cui non è difficile trovare piccoli tesori. Il mestiere dell’editore di Valentino Bompiani, edizione Longanesi è una vera e propria galleria di brevi ritratti degli uomini più importanti che hanno fatto la storia dell’editoria italiana, in uno stile piano e godibile, raccontati da un eccellente editore. Aneddoti, citazioni, testimonianze. Da Le Monnier a Zanichelli, da Treves a Hoepli, da Rizzoli a Mondadori, le radici del mondo editoriale di oggi, che da quegli uomini e da quei valori è molto distante.

Qui gli altri comodini.

Il comodino di Lorena Bruno

Il comodino di Lorena Bruno