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EFFETTO DOMINO: Periferie – Cose da pazzi – Evelina Santangelo

EFFETTO DOMINO – Rubrica di approfondimento tematico

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Foto di Uliano Lucas

 

Periferie
Perciò veniamo bene nelle fotografie di Francesco Targhetta (Isbn, 2012)

L’estraneo di Tommaso Giagni (Einaudi Stile Libero, 2012)
Cose da pazzi di Evelina Santangelo (Einaudi, 2012)
Dentro di Sandro Bonvissuto (Einaudi, 2012)

 

Recensione di Luisa Badolato

Rafael, Richi, il figlio malato della signora Franca, la professoressa Rita, Nunzio, la zecca di Eros, il pinnolone di Lillo, Cetti, Salvo, Fiorella, Estella, Marcello Lomunno, Vito il barbiere, la uomina di Rosi, Maura la Grossa, Lilla la Stronza, la Larva, Bumma, Ciccia e Fifa, i cani.
A piazza Spina, nei sobborghi di Palermo, tutti hanno qualcosa da dire, urlando, sussurrando nel pettegolezzo, affondando nei propri pensieri, ma le parole si perdono a volte, le voci si confondono, qualcuno non vuole parlare più, perché stroncato dalla fatica o alienato dalla disoccupazione; Rafael è solo un bambino, e le cose dei grandi vorrebbe non capirle così bene, vorrebbe fossero solo chiacchiere, come a scuola quando la maestra urla di fare silenzio e dopo un po’ tutto tace: «La professoressa Rita fa schioccare le labbra sottili che sembrano disegnate a penna sulla faccia bianca. “Domani, – dice. Se non la fate finita. Tutti però”. E lo dice con una voce strana, che sembra parlare non a loro in particolare ma a tutti quelli che, per una qualche ragione, non la fanno finita».
Come in un serraglio, o in una guerra, ogni tanto qualcuno assesta un colpo, vince o perde a seconda che il destino gli abbia o meno spianato la strada. Ma chi soccombe è perduto per sempre, non gli resta che la rassegnazione, la malattia e la morte come abitudine, o il disperato brividino del gratta e vinci. Chi ha una trattoria piazza i tavoli fuori e fa i soldi, poi costruisce un locale megalusso nella miseria del vicoletto, dice di sì alla mafia, agli strozzini, dà la mano ai potentucci, pesta i piedi a chi vuole sporcarsi le mani solo di lavoro onesto e dissentire civilmente.
«Se un giorno divento un gabbiano, le cacate che mi debbo fare non sono normali. Sulla testa di tutti. A partire da mio fratello Nunzio sino al coglione di Eros, escludendo mia madre, tua madre, Fiorella e pure la professoressa Rita va’, per stavolta».
Nella lingua spigliata dei vicoli, ma poetica del lirismo dei vinti, l’autrice dipinge i tratti di un microcosmo che porta addosso le ferite di una nave che affonda, con dentro le scommesse della società, le facili certezze dei politici, le deboli speranze della povera gente che almeno per un giorno ha provato a fidarsi, è andata in corteo a sentire un comizio, ha issato una bandiera sconosciuta, per poi ritrovarsi a constatare che è meglio andar via, provare a dimenticare, rifarsi una vita lontano dal puzzo di fogna della piazza, dalle bassezze dei suoi abitanti, dalle frustrazioni familiari che pure erano le proprie traballanti radici, l’unica cosa che si possedeva in realtà: «Così se Rafael dovesse scrivere un tema sulla sua famiglia, forse gli basterebbe disegnare loro tre seduti intorno al tavolo con i capelli scombinati e gli occhi da rana. La famiglia Lomunno che fa colazione dopo una notte come quella. Questi pensieri però appartengono a quel genere di cose che non può dire nemmeno a Richi. Lo sente già: “Solenni minchiate, indiano”. È da quando ha finito la prima media, dall’inizio della scorsa estate, per l’esattezza, da quando il suo amico Richi è partito, per l’esattezza dell’esattezza, è da allora che, sempre più spesso, si ritrova a pensare cose che non può più dire e che, forse, ormai non dovrebbe nemmeno pensare, se non fosse il piscialetto che è». 

Nota sull’autrice
Evelina Santangelo, nata a Palermo nel 1965,  è laureata in Lettere Moderne. Ha collaborato con il quotidiano «L’Ora», ha lavorato come redattrice ed editor per la Narrativa italiana e inglese presso Einaudi.  I suoi racconti e romanzi hanno vinto numerosi premi. Tra le sue opere: La lucertola color smeraldo (Einaudi 2003), Il giorno degli orsi volanti (Einaudi 2005), Senzaterra (Einaudi 2008). Per Einaudi ha tradotto Firmino di Sam Savage e ha curato l’edizione di Terra matta di Vincenzo Rabito.
Il suo sito è www.evelinasantangelo.it/

Per approfondire:
Leggi l’intervista a Evelina Santangelo su Letteratitudine
Leggi la recensione su Il Sole 24 Ore

Evelina Santangelo
Cose da pazzi
Einaudi, 2012
pp.336, 21 euro

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EFFETTO DOMINO: Periferie – L’estraneo – Tommaso Giagni

EFFETTO DOMINO – Rubrica di approfondimento tematico

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Foto di Uliano Lucas

Periferie
Perciò veniamo bene nelle fotografie di Francesco Targhetta (Isbn, 2012)

L’estraneo di Tommaso Giagni (Einaudi Stile Libero, 2012)
Cose da pazzi di Evelina Santangelo (Einaudi, 2012)
Dentro di Sandro Bonvissuto (Einaudi, 2012)

 

Recensione di Rossella Gaudenzi

L’estraneo di Tommaso Giagni, nella disperata ricerca di un’appartenenza, è un ventenne senza nome. Si muove tra due emisferi: la Roma delle Rovine, la città-bene dalla quale proviene, stantia e dall’odore di polvere, e la pittoresca già nel nome Roma di Quaresima, quella delle periferie, dove è nato ma non è vissuto. Piena di sorprese quest’ultima, ricca di personaggi antropologicamente interessanti, caricaturali, ma dai risvolti immancabilmente duri. «A veder bene, vorrei solo trovare una dimensione giusta per me. In questi vent’anni mi sono sempre sentito come un nano stordito da architetture gigantesche, ingombranti. Di là non se ne accorgeranno nemmeno, che dai bordi più in ombra mi sono spostato al di fuori del confine. Sono qui per imparare a dare del tu alla vita, e le maniere brusche e gli strattoni – ché le carezze non ho mai capito in che verso bisogna darle». Il protagonista, voce narrante dell’opera, sembra voler tornare alle origini, rientrare addirittura nel grembo materno – lui che una madre non l’ha più e quasi non l’ha mai conosciuta – per provare a trovarlo quel senso di appartenenza.
L’estraneo lascia l’appartamento del centro, padre portinaio e sorella e valica i confini, muove i primi passi nella Roma di Quaresima, trova una stanza in affitto, programma la vita futura, vuole studiare arte all’università. È stato lasciato da Alba, prima e unica ragazza della sua vita, e nel ménage da borgata incappa in Marianna, anch’essa proveniente dalla Roma delle Rovine e con in testa unicamente l’intento di spezzare il filo con la realtà borghese e sperimentare tutto il suo contrario.
La borgata fagocita. L’estraneo cerca di toccare e di sporcarsi le mani con il Viale, il Quartiere, fatti di  bar, sale scommesse, palestra: «Al bancone, nessuno viene a servirmi. Dal retro arrivano gli scatti e le musichette delle slot. Non me la sento più di ordinare dell’alcol. Prenderei un caffè al Fernet come mio padre, ma ho paura che – invece che da maschio rude – sembri una cosa da vecchio. Il tintinnio delle monete vinte là dietro copre i miei passi affannati dietro l’uscita». Ci prova a costruire una nuova mappa e a farci entrare nuovi soggetti: personaggi di borgata con cui interagisce senza pregiudizi, libero da sovrastrutture schiaccianti: «In questa stretta che si è venuta a creare, ci raggiunge anche Eros. Allora Sandro, così, in mezzo alla strada, nel cuore di Roma, quattro anni dopo la morte di Liboni, prende a urlare: “La disoccupazione / gi ha dad’ un bel mestiér’”, e subito tutti: “Mestiere / di merda / cara-biniere!” gli vanno appresso, e ricominciamo una, due, tre volte. Ivano e Jacopo cantano abbracciati, la tardona fa il saluto romano, Eros si è rimesso la cravatta e certo non si tira indietro nei cori. La mia voce magari nell’insieme non si distingue – la tengo bassa, sono un po’ incerto sulle parole – ma c’è».
La lingua utilizzata dal giovanissimo Tommaso Giagni è infallibile e irresistibile. L’autore gioca con i registri, coinvolto in un intreccio di stili, tra una lingua puntuale, precisa e nitida e dialoghi – e incursioni – in crescendo, nella lingua dialettale. L’estraneo è un’opera prima sul rapporto tra centro e periferia in senso lato, tra senso di appartenenza e spaesamento, tra interno ed esterno. Privo di giudizi, privo di retorica, privo di ipocrisia. A ispirare gli eserghi dei quattro capitoli che compongono l’opera: Siti, Volponi, Pessoa, Pasolini.

Note sull’autore
Tommaso Giagni nasce a Roma nel 1985. Ha partecipato a varie antologie, tra cui: Voi siete qui (minimum fax 2007), Il lavoro e i giorni (Ediesse 2008), Ogni maledetta domenica (minimum fax 2010). L’estraneo (Einaudi 2012) è il suo primo romanzo.

Per approfondire
Leggi la recensione su
minima&moralia 
Leggi l’intervista a Tommaso Giagni su Nazione indiana

Tommaso Giagni
L’estraneo
Einaudi, 2012
pp. 156, euro 14,50

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EFFETTO DOMINO: Periferie – Perciò veniamo bene nelle fotografie – Francesco Targhetta

EFFETTO DOMINO – Rubrica di approfondimento tematico

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Foto di Uliano Lucas

 

Periferie
Perciò veniamo bene nelle fotografie di Francesco Targhetta (Isbn, 2012)
L’estraneo di Tommaso Giagni (Einaudi Stile Libero, 2012)
Cose da pazzi di Evelina Santangelo (Einaudi, 2012)
Dentro di Sandro Bonvissuto (Einaudi, 2012)

 

Recensione di Caterina Di Paolo

Ronald D. Laing è l’autore della geniale raccolta di poesie Mi ami. Un giorno sua figlia ancora piccola, sfogliando quel libro, gli disse: “Papà, ti hanno fregato! Nel tuo libro c’è più bianco che parole!”
Il segreto della poesia – e il suo puzzare di fregatura ai non avvezzi – sta forse in tutto quel bianco. Gli sbrodoloni, i prosastici, quelli che amano il nero, si sentono intimamente lontani e diversi dai poeti, in modo un po’ stupido e cieco. La definizione “poeta”, del resto, ormai è una macchietta anche più di “scrittore”. Ma non è solo per questo, per la stupida e istintiva simpatia per la prosa, che Perciò veniamo bene nelle fotografie è definito “romanzo in versi”. Se una raccolta di poesie – come una di racconti – permette un randagismo che non è proprio del romanzo, di questo libro non si può dire proprio lo stesso. Alcuni personaggi tornano, nomi sfuggenti: Mara, Teo, Dario; come tornano i luoghi: i Murazzi, via Tiziano Aspetti, il Nazionale. Insieme questi versi hanno forte, della poesia, il senso di sospensione e non detto – in una certa misura di assoluto – che l’economia di parole impone. Non ci si può sprecare in una poesia, si può renderla lunga e vorticosa inanellando elenchi di nomi e aggettivi, ma la forma della frase, il pensiero della narrazione, sarà radicalmente diverso da quello considerato primo nella narrativa.
Il libro in questione, dunque, è atipico: e questo illumina il tema, purtroppo familiare a tutti e un po’ sdrucito, della precarietà e della provincia. Il protagonista, un aspirante professore, si trova a vivere con altri trentenni costretti a far vita universitaria, o a tornare nella casa dei genitori per un periodo, a rincorrere amori mentre è rincorso dalle bollette, con tutto il senso di fallimento conseguente che conosciamo bene.
La periferia di natura e splendore sommesso e agonizzante; le biciclette per passare in mezzo agli sguardi bigotti; Padova piccola e contraddittoria al centro del Veneto di fantasmi industriali; e il lavoro che non c’è, c’è poco, c’è in forme anomale – la ricerca incessante di una catena che renda liberi di vivere normalmente; tutto questo è sospeso come le parole che non riempiono la riga intera, e si dilungano per pagine magari, ma sempre formate da frasi precise e concise in modo quasi crudele.

«Vorrei parlarti per messaggi predefiniti,
tipo sono in riunione, ti chiamo dopo
            o arrivo tardi, non aspettarmi
e consacrarti un’antenna telefonica

mascherata da cartello stradale,
o il suono degli allarmi il pomeriggio
alle sei, quando starai sul divano
meditando sulla penisola
per la cucina, e riempire mille moduli
del tuo codice fiscale, prenotarti
delle visite presto la mattina leggendo
nell’attesa la cronaca locale, guadagnare
con un gratta e vinci anche solo dieci
euro, per comprarne un altro e perderli
subito, ma voglio riservarti qualche brivido,
mica soltanto queste angosce
da pubblica amministrazione,
perché è ripido lo scivolo, lo sai,
e per dedicarti un mutuo alla radio
dicendoti ti amo dovrò aspettare
chissà quanto ancora, per riscoprire
la vita vera prenotandoci un agriturismo,
immersi in piscina, nel sapore
di ciambelle di Sora, con il rischio
di stancarci di tutto molto prima,
ascoltando i dischi di musica leggera
che si vendono solo in autogrill».

Perciò veniamo bene nelle fotografie: perché siamo fermi, nelle sabbie mobili di una vita su cui non abbiamo controllo, persi. E come in una fotografia, in questo libro le forme sono nette, ogni parola è necessaria come i contorni delle cose. Cambia solo il senso di movimento: questo libro scalpita senza senso di persecuzione, come istantanee di vere vite che spesso parlano più con i vuoti e silenzi che a parole.

Nota sull’autore
Francesco Targhetta è nato a Treviso nel 1980. È assegnista di ricerca presso l’Università di Padova.

Per approfondire
Leggi la recensione su doppiozero
Leggi la recensione/intervista su Subliminalpop

Francesco Targhetta
Perciò veniamo bene nelle fotografie
Isbn, 2012

pp. 247, 19,90 €

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EFFETTO DOMINO: la nuova rubrica di approfondimento tematico – Periferie

EFFETTO DOMINO – Rubrica di approfondimento tematico

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Foto di Uliano Lucas

Con EFFETTO DOMINO aggiungiamo un nuovo percorso a quello avviato con la piccola e media editoria romana. Scegliamo un tema e lo approfondiamo attraverso alcuni titoli,  indipendentemente dalla casa editrice e dall’anno di pubblicazione.

Inauguriamo la rubrica con il tema Periferie letto con Perciò veniamo bene nelle fotografie di Francesco Targhetta, L’estraneo di Tommaso Giagni, Cose da pazzi di Evelina Santangelo e Dentro di Sandro Bonvissuto.
Che cosa hanno in comune questi titoli? Sono usciti nel 2012. Sono opere prime di autori giovanissimi, ad eccezione di Evelina Santangelo, scrittrice palermitana di consolidata esperienza. Declinano il tema della periferia nelle svariate accezioni che la lingua consente, cedendo alle contaminazioni dei gerghi o inventando una lingua poetica, sperimentando il centro che si fa periferia o viceversa, che coincide con il degrado convenzionale o il confine da riattraversare, per giungere a quella periferia che diventa metafora della nostra condizione interiore.

Iniziamo con Perciò veniamo bene nelle fotografie di Francesco Targhetta, definito “un romanzo in versi”, un libro atipico comunque, sulla periferia che si incarna nella provincia, Padova, piccola e contraddittoria, al centro del Veneto di fantasmi industriali, dove il lavoro non c’è o ce n’è poco e in forme anomale.

In L’estraneo di Tommaso Giagni si parla di spaesamento e appartenenza, di superamento fallito di un confine, quello del protagonista che vuole uscire dal centro storico, dalla Roma delle Rovine in cui vive, per tornare alla periferia, il Quadraro, la Roma della Quaresima. Ma nessun confine esiste realmente se non dentro di noi, e si resta estranei ovunque là fuori.

In Cose da pazzi di Evelina Santangelo è il quartiere popolare di Spina a Palermo a farsi centro, un microcosmo brulicante di vita e vicoli ciechi dove i due ragazzini Rafael e Richi, espressione loro stessi di sradicamento e appartenenza, attraversano un’esistenza intrisa di povertà e miseria, violenza e criminalità. Qui centro e periferia si confondono per diventare espressione universale di due sistemi antitetici, quello immerso nel tessuto mafioso che tutto compromette, l’altro non diversamente compromesso dell’abbandono del proprio territorio.

Concludiamo con Dentro di Sandro Bonvissuto dove il concetto di periferia si fa metafora dell’esistenza. L’io narrante si sofferma su ogni dettaglio della realtà, sporgendosi dal dentro verso il fuori. Nel libro di Bonvissuto la periferia non è desolazione convenzionale o perimetro da superare, ma assomiglia più a un destino nel quale si può solo imparare a restare in equilibrio.

Periferie
Perciò veniamo bene nelle fotografie
di Francesco Targhetta (Isbn, 2012)

L’estraneo di Tommaso Giagni (Einaudi Stile Libero, 2012)
Cose da pazzi di Evelina Santangelo (Einaudi, 2012)
Dentro di Sandro Bonvissuto (Einaudi, 2012)

Speciale Scomparsa