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Un libro si scrive. La parola allo scrittore Davide Orecchio (2)

locandina_6feb_web (1)COSA SI FA CON UN LIBRO? prima edizione Roma

di Lorena Bruno

Il perché della scrittura, i molti modi di scrivere, il rapporto con i lettori, il ruolo dei librai.
Di questo e molto altro si è parlato al quarto appuntamento di Cosa si fa con un libro?, venerdì 6 febbraio nella sede di Altrevie, con lo scrittore Davide Orecchio, autore di Città distrutte. Sei biografie infedeli, felice esordio nel 2012 per Gaffi, e di Stati di grazia, pubblicato nel 2014 per il Saggiatore.

Davide Orecchio è giornalista con una formazione da storico, dopo l’università ha proseguito lo studio con un dottorato, ma non ama molto parlare della sua biografia, cui confessa ironicamente di stare ancora lavorando.

Perché si scrive? Per due ragioni, spiega Orecchio, la prima è raccontare la verità, dire come sono andate le cose senza che i fatti possano essere travisati; la seconda è per raccontare come potrebbe andare diversamente. «Io preferisco la seconda. Costruire possibili storie alternative è uno dei motivi per cui si scrive e si legge, è uno degli aspetti più importanti che rendono la letteratura vitale». Tutto questo riconduce al suo primo libro Città distrutte, scritto tra il 2006 e il 2008. «È stato istintivo per me, ero al mio esordio e non avevo ancora piena consapevolezza del rapporto tra letteratura e storia, alcuni miei racconti erano stati pubblicati su riviste letterarie e puntavo a farne una raccolta». Lo affascina partire da storie vere e sviluppare ipotesi su cosa sarebbe potuto accadere e non è accaduto, definendo questo espediente controfattualità.  La sua formazione incide molto sul suo approccio alla scrittura, l’uso delle fonti e degli strumenti dello storico non gli impediscono di combinare quest’attitudine con l’invenzione letteraria, costruendo biografie fittizie. Una modalità che gli è congenuiale, confessa.
Una delle biografie di Città distrutte è quella di un sindacalista realmente esistito, Nicola Crapsi, nato nel 1899 nel piccolo paese di Santa Croce di Magliano in Molise. Ancora oggi considerato una personalità di prestigio, il primo maggio di ogni anno il suo ritratto viene portato in processione per le vie del paese, rivestendo una ricorrenza laica di uan ritualità tipicamente religliosa. Gli fu commissionato di scrivere la biografia di Crapsi, un’agiografia, come la definisce lui stesso, che non riuscì a portare a termine per il tenore sostanzialmente affettivo delle testimonianze raccolte a Santa Croce, dunque non specificamente storiche: «Ero riuscito a ricostruire lo scheletro della sua attività politica, ma la carne, la sostanza non c’era e non ho potuto portare a termine il lavoro».
Tornando però sul perchè della scrittura, Orecchio fornisce un’altra risposta ancora, forse quella definitiva: «Scrivere mi rende felice e penso che mi venga bene farlo».

Che tipo di scrittore è Davide Orecchio? Non è uno scrittore a tempo pieno, perché lui non vive della sua scrittura. «Il momento in cui mi viene meglio scrivere è la notte, l’ora estrema in cui misurarsi con la scrittura, quando intorno c’è silenzio, quando gli altri non ci sono più». Scrive al computer, ma ormai usa spesso il tablet, anche di giorno, per annotarsi un’idea, un pensiero, per rimanere sempre concentrato sul progetto che sta seguendo.
Non scrive pensando ai possibili lettori, piuttosto a un lettore che gli somigli: «Commetto l’errore di sovrapporre il lettore a me, scrivo quello che mi piace leggere, non sempre sono lucido in quest’attenzione ai lettori. Mi piacciono molto le scritture avanguardiste, uso dei codici diversi da quelli che un lettore potrebbe aspettarsi: l’importante è fornire gli strumenti per far comprendere il proprio codice».

Si scrive per pubblicare? «La scrittura è una forma di espressione di sé che prescinde dalla lettura; l’ambizione alla pubblicazione, solleticata anche da strumenti di self publishing, è una forma di emancipazione. La scrittura è un diritto di tutti, pubblicazione a parte». Perché la pubblicazione di un libro è tutt’altra cosa. Per Città distrutte ci sono voluti quattordici rifiuti prima di trovare l’editore giusto. Per la stesura di Stati di grazia sono trascorsi dieci anni. «La pubblicazione non è un passo da fare nell’immediato, per me. E può anche succedere che non arrivi mai». Come nel caso di un testo sulla morte della madre, iniziato il giorno dopo il suo funerale. «Scriverne è stato fondamentale per me, catartico, ma mentre lo scrivevo non ho mai pensato alla sua possibile pubblicazione».
Davide Orecchio preferisce comunque la fase della scrittura, quando tutto è ancora possibile, a quella della pubblicazione e dell’attesa delle recensioni. Lui, poi, non crede molto nell’autopromozione e nelle presentazioni, preferendo ritenere che un libro acquisisca una vita autonoma, indipendente dal suo autore, una volta pubblicato.

Esiste davvero la possibilità che i personaggi di una storia prendano il sopravvento sul loro autore? «Quand’ero un giovane lettore dibattevo se il grande scrittore è quello che viene travolto dalla storia o quello che riesce a governarla. Io credo nell’esistenza di una scrittura potente, capace di far saltare tutti gli espedienti possibili e che in questo modo si possa perdere anche il controllo sui personaggi».

altrevieNon è mancato, inoltre, un richiamo alle librerie indipendenti anche per la presenza tra il pubblico del libraio Marco Guerra, protagonista del primo incontro di Cosa si fa con un libro?. Il gruppo di lettura di Pagina 348 si è misurato con Stati di grazia, e il risultato è stato incoraggiante. La libreria ideale per Orecchio «è quella in cui si trovano i libri e un libraio con cui poter interloquire»

Che cosa sta leggendo Davide Orecchio? Sul suo comodino c’è Dizionario degli esseri umani fantastici e artificiali di Vincenzo Tagliasco, da cui lui ricava infinita ispirazione.

Ci rivediamo venerdì 6 marzo con Massimiliano Borelli per parlare di come si pubblica un libro dal punto di vista dell’editor e del redattore.

Un libro si scrive. La parola allo scrittore Davide Orecchio (1)

locandina_6feb_web (1)COSA SI FA CON UN LIBRO? prima edizione Roma

Cosa si fa con un libro? Un libro si scrive. La parola allo scrittore.
Venerdì 6 febbraio, alle 21 – Davide Orecchio

Davide Orecchio, classe 1969, ha esordito nel 2012 con Città distrutte. Sei biografie infedeli (Gaffi),  premio Monello e Supermondello, premio Volponi e finalista al premio Napoli. Nel 2014 ha pubblicato Stati di grazia (il Saggiatore).

«Per quanto riguarda la scrittura “per la carta” — e parlo soprattutto di Stati di grazia, ma anche del mio primo romanzo — il problema (di pensare al lettore) non me lo pongo. Cerco di restare più concentrato sul tentativo estenuante di tirar fuori una cosa bella. E sono convinto che se si lavora bene su questo aspetto, sulla ricerca del bello, allora la possibilità di coinvolgere il lettore aumenta. Però ti ripeto, mentre scrivevo non mi chiedevo cosa avrebbe potuto chiedersi il lettore durante la lettura, se ne avrebbe contestato la complessità o, al contrario, apprezzato la musicalità».

«Stati di grazia è la mia risposta alla Storia. C’è dentro così tanto di quello che amo e odio e dell’uomo che sono diventato, e della mia condizione di orfanezza di beni collettivi, giustizia, uguaglianza, che non riesco a mettere a fuoco un personaggio, una vicenda, una singola scintilla che mi abbia messo in movimento. Quello che vedo, dal principio del libro fatica e adesso che è libro risultato, è un coro. Una rete di storie. Relazioni. Ognuna sostiene l’altra come accadeva un tempo, quando l’unione faceva la forza.

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«È stata una contrannaturale digestione di vita. Succede secondo natura che si evacui lo scarto, la materia schifosa non nutriente. A me è capitato (di tentare) l’opposto. Ho incontrato gli sfridi e ho ipotizzato: posso aggiustarvi, pulirvi, rimettervi al mondo? Voglio digerirvi spiritualmente; disobbedire alla masticazione, allo stomaco, all’intestino. Voglio che rinasciate, rinascere assieme. Non credo in Dio, eppure vi pesco: memorie, aborti, libri bislacchi, brandelli, una ragazza ferita, un bambino che muore, un maestro che non insegna, una moglie che non ama, un’operaia emigrante poeta, un bracciante, la bellezza di una donna Quechua e di un monte in Sicilia, una miniera, una piantagione, un tipografo con l’inchiostro negli occhi, un elastico di viaggi tra Sicilia, Argentina e la mia città di nascita e vita – Roma».

Cosa si legge a Natale? Rispondono i protagonisti di Cosa si fa con un libro?

SONY DSCCosa si legge a Natale?

Quest’anno lo abbiamo chiesto ai protagonisti di Cosa si fa con un libro?, il ciclo di incontri dedicati al libro organizzato da Via dei Serpenti con la collaborazione di Altrevie.

Protagonista del primo incontro, il 7 novembre, è stato il libraio di Pagina 348  Marco Guerra che consiglia Philipp Meyer, Il figlio, (Einaudi, 2014).

«Il più bel romanzo letto nel 2014 . Le tre storie che si intrecciano  corrispondono a tre generazioni della famiglia McCullough e a tre epoche della storia del Texas. Nella prima, a metà Ottocento, la formazione di Eli, un ragazzino preso prigioniero dai Comanche, cede il passo, una volta tornato tra i bianchi, alla sua ascesa senza scrupoli nel clima della Guerra civile. Raramente ho letto pagine così belle sugli indiani d’America. Nella seconda, a inizio Novecento, Peter, il figlio, assiste alla strage di una potente famiglia messicana prima di rifiutare la moglie bianca trovata per lui e innamorarsi di Maria, l’unica scampata alla strage. La terza è più vicina a noi, a metà del Novecento il Texas è ormai un grande produttore di petrolio e Jeanne, la pronipote, deve gestire la fine dell’agricoltura e dell’allevamento del bestiame a vantaggio dei pozzi, in un clima da fine di un’epoca».

Copertina di Maurizio Ceccato (Ifix)

Copertina di Maurizio Ceccato (Ifix)

Il terzo appuntamento, il 15 gennaio 2015, sarà con Maurizio Ceccato di Ifix che consiglia (insieme a Lina Monaco di Scripta ManentGiovanni Gregoletto. Vite Ambulante. Nuove cattedre di enologia e viticultura. SUV, 2014. Prefazione di Stefano Salis. 16×23 cm; pagg. 512; euro 28,50; tutto a colori.

«Produttore vinicolo e creatore dello Spazio dell’Uva e del Vino, un moderno gabinetto delle meraviglie (Wunderkammer) con sede a Follina (TV), Gregoletto con la sua curiosità contagiosa ci porta per mano attraverso un vortice di aneddoti e ricordi, dalla A di ampelografia (la descrizione sistematica di vini e vitigni) alla Z del poeta solighese Andrea Zanzotto. Dalle vigne e dall’uva lo sguardo si allarga sullo stupore per quanto di concreto c’è nella quotidianità di tutti: il cibo, il lavoro, le amicizie e appunto il vino. Gli stessi temi del racconto di Ottavio Missoni (contenuti nel corposo volume) su una giornata trascorsa in un’osteria di Trieste “Venezia Giulia”. Conosciuto a Venezia dopo essersi fatto passare – al citofono – per il nipote di Zanzotto, Gregoletto confessa un sentimento di positiva invidia che il tempo ha trasformato in amicizia. Il racconto di Missoni, nel quale il vino riunisce attorno a un tavolo le vite e le storie di tanti amici in “dodici boti”! E si prosegue a scoprire come il cannone antigrandine che spazzava via la grandine, oggi ‘spara’ la musica per la vendemmia (realizzato dallo stesso Gregoletto), dai ricordi del genetista Luigi Luca Cavalli Sforza (e del padre Pio Cavalli, autore del primo libro italiano sulla pubblicità) al tappo Corona, per passare poi dallo studio delle nuvole a Carpenè Malvolti, dalla fillossera, pidocchio che estinse la vite europea, all’Oropilla e al Lambrusco, ai racconti di Attilio Scienza e Valentino Zeichen, le Réclame e i film, i pirati e gli anarchici, fino a Marx e alla quantità di vino contenuto nella Bibbia».

Il 6 febbraio 2015 sarà la volta di Davide Orecchio, autore di Città distrutte (Gaffi) e Stati di grazia (Il Saggiatore). Il suo consiglio è J.Rodolfo Wilcock, La Sinagoga degli iconoclasti (Adelphi, 2014).

«Per la sua diversità. La diversità di uno scrittore di lingua spagnola che sceglie di esprimersi in italiano. La diversità di un’opera di alta letteratura dove il patologico e infernale della condizione umana si traduce nel risultato comico inevitabile, definitivo».

A chiudere il ciclo di incontri, il 7 maggio 2015, sarà Paolo Di Paolo che consiglia Zerocalcare, Dimentica il mio nome (Baopublishing, 2014). «Zerocalcare ha superato sé stesso distanziandosi da quanto realizzato fino a oggi. Mi ha piacevolmente sorpreso: si tratta di un libro maturo, con il quale l’autore fa i conti con l’identità e con sé stesso, cosa che nessuno della nostra generazione è iruscito a fare. In questo 2014 ho amato anche Tempo di imparare di Valeria Parrella (Einaudi)».

Cosa si fa con un libro? La parola ai protagonisti

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COSA SI FA CON UN LIBRO? prima edizione Roma

Via dei Serpenti organizza il ciclo di incontri  COSA SI FA CON UN LIBRO? La parola ai protagonisti: dallo scrittore al lettore.

Dal 7 novembre 2014 al 7 maggio 2015, presso la sede di Altrevie, a Garbatella (Roma).

Dopo tre anni di attività sul web, nei quali abbiamo parlato e fatto parlare di libri scrivendo recensioni, intervistando autori, editori, illustratori, librai, abbiamo deciso di uscire dall’invisibilità della rete e di provare a parlare di libri dal vivo.

Ci serviva una sede: ed ecco che l’associazione culturale Altrevie, da oltre quindici anni attiva sul territorio romano, ci ha offerto la sua, nel cuore di Garbatella.
Ci serviva un’idea, e quella di organizzare un ciclo di incontri con i protagonisti della filiera libro, è diventata Cosa si fa con un libro? La parola ai protagonisti: dallo scrittore al lettore.

Un libro si scrive, si traduce, si progetta, si corregge e si trasforma, si vende, e alla fine si legge.
Per ogni fase del processo abbiamo scelto un protagonista che spiegherà a un pubblico non specializzato in che cosa consiste il suo lavoro.

Qual è lo scopo di questi incontri? Far conoscere il prodotto libro, senza alcuna intenzione didattica o promozionale, senza alcuna velleità di fornire una nuova ricetta contro la crisi dell’editoria e della lettura, contro la chiusura delle librerie e l’assenza di politiche nazionali a tutela della cultura in generale.

Il programma prevede sette incontri, dal 7 novembre 2014 al 7 maggio 2015, con altrettanti interlocutori che racconteranno le loro esperienze, risponderanno alle domande del pubblico, stimoleranno qualche riflessione e soddisferanno qualche curiosità.

Il programma

Marco Guerra e Fabio Bartolomei

Marco Guerra e Fabio Bartolomei

Venerdì 7 novembre – Un libro si vende – La parola al libraioMarco Guerra
Marco Guerra è il libraio di Pagina 348, libreria indipendente a gestione famigliare attiva dal 1992 nel quartiere Eur-Ferratella, a sud di Roma. Pagina 348 è tra le librerie di INDILIBRAI, la nostra rubrica dedicata alle librerie indipendenti romane e non solo.

Leonardo Luccone

Leonardo Luccone

Giovedì 11 dicembreUn libro si pubblica – La parola all’artigiano dell’editoriaLeonardo Luccone.
Leonardo Luccone si definisce un artigiano dell’editoria. Ha fondato Oblique insieme a Elvira Grassi e Giuliano Boraso e la rivista «Watt • Senza alternativa» con Maurizio Ceccato di Ifix. È traduttore, editor, agente letterario. È stato responsabile delle collane Greenwich e Gog della casa editrice Nutrimenti e direttore editoriale della casa editrice 66thand2nd. Ha rappresentato autori come Paolo Piccirillo, Emanuele Tonon, Raffaele Riba.

Giovedì 15 gennaio 2015Un libro si progetta – La parola alle ideeMaurizio Ceccato
Art director e graphic designer, Maurizio Ceccato ha fondato lo studio di progettazione grafica Ifix. Come editore pubblica e cura il libro/rivista «Watt • Senza alternativa» in collaborazione con Oblique. Nel 2012 con Lina Monaco apre il bookshop Scripta Manent. Collabora come illustratore per «Il Fatto Quotidiano» e, in veste di art director, ha curato case editrici quali Fazi, Hacca, Del Vecchio, Gaffi e Playground. «B comics • Fucilate a strisce» è il nuovo volume curato da Ifix dedicato al fumetto italiano.

WATT

Davide Orecchio

Davide Orecchio

Venerdì 6 febbraio 2015 – Un libro si scrive – La parola all’autore – Davide Orecchio
Nato a Roma nel 1969, ha esordito nel 2012 con Città distrutte. Sei biografie infedeli (Gaffi) con cui ha vinto il premio Mondello e SuperMondello, il premio Volponi. Storico di formazione e giornalista professionista, ho pubblicato racconti, testi, articoli e saggi sul blog letterario «Nazione Indiana» «Nuovi Argomenti», «Watt», «pagina99», «il manifesto», «The American Reader». A febbraio è uscito per Il Saggiatore il suo nuovo romanzo Stati di grazia. Il suo blog.

Massimiliano Borelli

Massimiliano Borelli

Venerdì 6 marzo 2015 – Un libro si pubblica – La parola all’editor – Massimiliano Borelli ANNULLATO
Redattore e editor, in particolare con L’Orma editore e West Egg, Massimiliano Borelli ha un dottorato, una copia del Giovane Holden con il disegno di Ben Shahn in copertina, la prima edizione dell’Oblò di Adriano Spatola, delle biglie. Ha pubblicato un libro sulle Prose dal dissesto degli anni Sessanta e uno su Manganelli. Lo abbiamo ospitato nella nostra rubrica Il comodino dei Serpenti.

Giovedì 9 aprile 2015 – Un libro si pubblica e si traduce – La parola all’editore – Ponte33.
Felicetta Ferraro e Bianca Maria Filippini hanno fondato Ponte33 nel Ponte33_logo2009, una realtà editoriale piccola e coraggiosa, impegnata a diffondere la letteratura persiana contemporanea prodotta in Iran, Afghanistan e Tagikistan in Italia e all’estero, principalmente Stati Uniti e Europa. L’intento è quello di presentare «una produzione culturale autentica, molto diversa dagli stereotipi infarciti di chador e di veli che ormai hanno invaso il mercato editoriale».

 

Paolo Di Paolo

Paolo Di Paolo

Giovedì 7 maggio 2015Un libro si scrive  – Paolo Di Paolo
Nell’incontro finale lo scrittore Paolo Di Paolo, classe 1983, finalista allo Strega 2013 con il suo Mandami tanta vita (Feltrinelli), ha esordito nel 2004 con i racconti Nuovi cieli, nuove carte (Empirìa). Nel 2008 ha pubblicato per Giulio Perrone Raccontami la notte in cui sono nato e nel 2011 Dove eravate tutti per Feltrinelli. Nel 2014 è uscito il suo primo libro per bambini La mucca volante, per Bompiani. 

Tutti gli incontri si terranno in Via Caffaro, 10 (Garbatella) alle 21.

L’ingresso è libero!

Le interviste dei Serpenti: Davide Orecchio

di Emanuela D’Alessio

Proseguono le interviste di Via dei Serpenti con Davide Orecchio, storico con la vocazione dello scrittore, autore di Città distrutte (Gaffi), la sua opera di esordio che ha vinto nel 2012 il Premio Mondello, il Premio Volponi e il Supermondello. Qui la nostra recensione.

Dovendo scrivere la sua biografia, magari infedele, che cosa direbbe di Davide Orecchio?
Che non ha ancora una biografia perché ci sta lavorando. Direi che è una persona in cammino, un po’ come tutti.

Città distrutte è il suo libro di esordio, pubblicato dopo una lunga gestazione e numerosi rifiuti. Il perché dei rifiuti non è importante, può spiegarci invece come è nato l’incontro con Gaffi?
La gestazione in realtà non è stata lunghissima. Lo scrissi in un anno circa. L’incontro con l’editore, invece, è avvenuto grazie a Raffaele Manica, che pubblicò uno dei racconti su «Nuovi Argomenti» e in seguito propose a Gaffi la raccolta.

Si cimenta con un genere insolito, la biografia fittizia, la biografia verosimile ma infedele, appunto, dove si mescola la verità delle fonti documentali con la narrazione dell’immaginazione. Perché ha scelto questo genere e perché il titolo Città distrutte?
La scelta del genere corrispondeva a diverse esigenze che avevo. Volevo pubblicare su «Nuovi Argomenti» e a una rivista occorrono testi brevi. Non mi sentivo adatto al racconto ma, per la mia formazione di storico e per certe letture che avevo adorato in quegli anni, ero più incline al ritratto, alla biografia letteraria e d’invenzione. Così sono nati i primi due “brani”, Éster Terracina ed Eschilo Licursi, e su questa coppia (proposta inizialmente a «Nuovi Argomenti») è cresciuto il resto del libro. Il titolo cita un frammento dal diario di mia madre (Oretta Bongarzoni/Betta Rauch). Un diario nel quale, appunto, mia madre si definisce come «una città distrutta».

I personaggi delle sei biografie risultano assai diversi, per genere, carattere, professione, attraversano differenti periodi della storia. La diversità è reale e casuale o, al contrario, come ci è parso di cogliere, le loro vite risultano tasselli di un mosaico che raffigura le varie forme di dolore in cui l’esistenza può essere declinata?
L’elemento non casuale del libro sono io. Nel senso che tutte le vicende hanno a che fare con me, mi coinvolgono biograficamente. Ma anche questo, forse, potremmo considerarlo un caso. Dipende dalla filosofia della storia che ciascuno di noi adotta. L’ultima parte della sua domanda è già la mia risposta: nell’irrelazione evenemenziale tra i fatti e le vite che ci capita di testimoniare, compresa la nostra, cerchiamo un significato che in realtà, e molto spesso, sta già nel senso che attribuiamo e che corrobora la nostra tesi, la nostra lettura filosofica ed esistenziale. Di fronte alle vite degli altri e nostre è molto difficile avere un atteggiamento “scientifico”, falsificazionista nel senso di Popper. Non si è quasi mai disposti a cambiare idea, piuttosto se ne cerca la conferma. E la mia tesi, in questo libro, era quella della città distrutta: fallimenti in vita che però meritano d’essere raccontati, città “ricostruite” con la scrittura.

Quasi tutti i personaggi del suo libro traggono ispirazione dalla storia di persone realmente esistite, il regista russo Tarkovskij, il sindacalista molisano Nicola Crapsi, il filosofo Wilhelm von Humboldt, i suoi genitori. Che cosa ha ispirato la scelta delle coppie personaggio reale-personaggio fittizio?
Ho attinto alla costellazione di storie che mi accompagnano da sempre. Epoche e personaggi che ho studiato, sui quali ho condotto ricerche, oppure che mi hanno semplicemente appassionato, o con i quali ho una complicità “biologica”.

Soltanto la figura di Éster Terracina, la giovane donna argentina che sacrifica la propria vita per restituire una madre a suo figlio, sembra non trovare riferimenti in alcun personaggio reale. C’è una spiegazione per questa asimmetria?
Éster Terracina è la prima biografia che scrissi. Non ricordo perché scelsi proprio quella storia e non altre. Ma non avevo ancora chiaro lo schema, il gioco letterario che avrei adottato nei testi successivi. La biografia che ispira le successive nel binomio persona/personaggio è, in realtà, quella di Eschilo Licursi, ispirata a Nicola Crapsi, un sindacalista sul quale avevo condotto molte ricerche con l’obiettivo di una biografia “vera”. Obiettivo purtroppo, o per fortuna, mancato. E in quel fallimento c’è il germe delle biografie fittizie: se non riesci a raccontare la persona, per incapacità o insufficienza di documenti e testimonianze, allora tanto vale inventare il personaggio, varcare il confine, fare letteratura e non storiografia.

Nelle numerose recensioni che hanno accolto Città distrutte vengono elencati prestigiosi riferimenti letterari cui si richiamerebbe la sua opera, da Borges a Bolaño, da W. G. Sebald a Danilo Kiš. A parte confermare l’erudizione dei recensori, lei che cosa pensa di questa tendenza ad attribuire comunque una paternità letteraria, a citare necessariamente le fonti? È d’accordo con questa affiliazione?
Più che di fonti, parlerei di modelli. Sono modelli altissimi. Non nego di essere stato influenzato dagli autori che cita. E non mi dispiace che mi si attribuiscano paternità letterarie. L’importante è che le attribuzioni siano azzeccate. Certo, sono grandi scrittori. Ma, in fondo, se uno deve scegliersi dei punti di riferimento, dei maestri di scrittura, è meglio cercarli tra i grandi che tra i mediocri, no?

Quali invece, se ce ne sono, i suoi riferimenti letterari italiani?
Il primo italiano che ho amato è Italo Svevo. Lo lessi intorno ai vent’anni. Altri nomi che mi vengono in mente sono il Goffredo Parise dei Sillabari, Silvio D’Arzo per Casa d’altri, Italo Calvino per Le città invisibili. Tra i contemporanei mi piacciono molto Emanuele Trevi ed Ermanno Cavazzoni.

Si sta parlando in questo ultimo periodo di “internettuale”, una nuova figura di intellettuale che utilizza i nuovi media, soprattutto i social, per esprimersi e comunicare. Lei sembrerebbe rientrare perfettamente nella categoria: ha un suo blog personale, scrive sul sito Nazione Indiana ed è presente su Facebook e Twitter. Qual è il suo rapporto, come scrittore, con questi social network? In che modo le piace partecipare e cosa le interessa seguire?
Lavoro su internet dal 1999, da prima di essere uno scrittore edito. Ci sto per professione, mestiere e adesso anche come scrittore. I social network non sono il mio forte, io sono più un tipo da internet 1.0. Ma cerco di adeguarmi. Li uso soprattutto per distribuire notizie, disseminare contenuti miei e altrui che mi stanno a cuore. Quanto al blog e a Nazione Indiana, le considero piattaforme che consentono sinestesie espressive: non sempre e non solo scritture, ma relazioni tra testi, audio, immagini, video che possano essere percepite dal fruitore digitale. Un’opportunità unica e impossibile sul libro cartaceo.

Qual è la sua riflessione sullo stato della letteratura in Italia?
Non ho le competenze per rispondere in modo adeguato. La mia impressione, per quello che vale, è di una scena molto vitale, frammentaria e caotica. Escono libri bellissimi dei quali nessuno si accorge. E libri mediocri che ottengono ribalte immeritate. I piccoli e medi editori pubblicano quasi sempre cose interessanti. I grandi editori un po’ meno. Tutto il movimento, nel suo complesso, mi sembra deficitario di una certa autorevolezza. E l’offerta è superiore alla domanda, ma questa non è una considerazione molto originale, lo ammetto.

Il 2013 è appena iniziato, quali sono i suoi progetti per i prossimi mesi o semplicemente i buoni propositi?
Sto completando la revisione di quello che dovrebbe essere il mio prossimo libro. Non so nemmeno più a quale numero di revisione sia arrivato. È un lavoro che sto seguendo da anni, da prima di Città distrutte che, invece, in primavera uscirà per una nuova ristampa (mi sembra la quinta) e con una nuova copertina. Poi ho bisogno di più tempo, soprattutto per leggere. Ne ho davvero bisogno.

C’è un libro che non vorrebbe mai smettere di leggere?
I Racconti di Čechov.

Altre interviste a Davide Orecchio
Su Les Flaneurs
Su Terra Nullius

La  recensione Emanuela D’Alessio di Città distrutte. Sei biografie infedeli.

Città distrutte – Davide Orecchio

Recensione di Emanuela D’Alessio

Come non esiste un solo modo di “fare” letteratura, e lo conferma Davide Orecchio con questa opera prima pluripremiata, conturbante e commovente, lui che ha la formazione dello storico e la vocazione dello scrittore, così non esiste un solo modo di leggerla.
Città distrutte, è bene chiarirlo subito, è un’opera letteraria e di quelle sopraffine, nonostante il sottotitolo Sei biografie infedeli sollevi il dubbio di trovarsi al cospetto di altro. Dubbio immediatamente fugato dal risultato stupefacente e pienamente riuscito, quello di piegare la realtà storica degli archivi, delle ricerche documentali, delle testimonianze al volere della narrazione, mescolando la rigidità del resoconto biografico con l’arrendevolezza della creatività immaginifica, alternando i piani della verità e dell’invenzione, manipolando e plasmando senza regole e remore, trascinando il lettore in un altrove dove non esistono più i personaggi reali né quelli immaginati, ma soltanto l’autore e la sua voce struggente e vibrante che sperimenta le infinite sfumature del raccontare, interpretando con impegno il dolore e la malinconia, la gioia e l’entusiasmo, la delusione e la rassegnazione, la rabbia e l’offesa, la menzogna e il tradimento. E che cos’è questa se non letteratura?
Si può leggere Città distrutte in diversi modi. Si può andare in cerca di indizi per ricostruire le vere biografie nascoste dietro quelle “infedeli”, cominciando dal titolo che è un frammento raccolto da un manoscritto della madre dell’autore, quella Oretta Bongarzoni ispiratrice inconsapevole della vita di Betta Rauch, scrittrice e poetessa infelice che mai conobbe la notorietà. «Sono una città distrutta. Se Dio vuole, la storia è fatta di città distrutte e poi ricostruite». Ma la soluzione è presto svelata, ogni episodio si conclude con citazioni e riferimenti documentali che confermano il binomio persona/personaggio. E così sappiamo che dietro Eschilo Licursi, sindacalista molisano e deputato comunista morto nel 1964, c’è il vero sindacalista Nicola Crapsi sul quale Orecchio aveva concentrato le sue ricerche per scriverne una vera biografia. Nella vita del regista sovietico esiliato a Roma Valentin Rakar ritroviamo i pensieri del celebre regista di Nostalghia e Sacrificio Andrej Tarkovskij; gli anni romani del diplomatico prussiano Kauder sono ispirati dall’opera del filosofo Wilhelm von Humboldt; tra le pagine che raccontano Pietro Migliorisi, poeta e giornalista, prima fascista, poi comunista, si cela la vita di Alfredo Orecchio, padre dell’autore. L’unico personaggio senza riferimenti biografici reali è Éster Terracina, giovane argentina di origini italiane che scomparve a Buenos Aires nell’orrore della dittatura. «Ester si donò, salvò il bambino che non aveva messo al mondo, guardò il futuro e l’anticipò». Nomi e fatti sono inventati, avverte Orecchio, pur appartenendo a migliaia di vite e di morti che vi riconosceranno qualcosa di proprio.
Una volta superati i confini della realtà e dell’immaginazione non si prova alcun rimpianto della verità. Secondo Kipling una storia raccontata è una storia vera «finché dura il racconto», o per dirla con Elias Canetti: «Una storia ben inventata è comunque una storia, non una bugia».
Ed ecco un altro modo di leggere Città distrutte, attraverso le lenti di autori come Borges, Bolaño, W.G. Sebald di Gli emigrati, Marcel Schwob di Vite immaginarie, che hanno fatto delle biografie impossibili, immaginarie ma verosimili, un genere letterario. Danilo Kiš disse che la materia dell’immaginazione per essere credibile deve avere la forza del documento. Sono questi i modelli cui Orecchio fa riferimento, lo afferma lui stesso, lo hanno scritto nelle numerose e prestigiose recensioni del suo libro. A noi viene in mente anche Edgardo Franzosini e il suo racconto Grande trampoliere smarrito (pubblicato sulla rivista WATT 0,5 nel maggio 2012) dedicato ad Arthur Cravan, pseudonimo di Fabian Avenarius Lloyd, poeta e pugile inglese, nipote acquisito di Oscar Wilde. «Non una verosimile biografia di personaggio inesistente, ma una inverosimile biografia di personaggio esistente» (qui la nostra recensione).
Il libro di Orecchio si presta ancora a una differente lettura, quella più schiettamente storica. I personaggi reali e fittizi sono testimoni e protagonisti, a loro modo, del Novecento (con l’eccezione del prussiano Kauder, che passa dalle guerre napoleoniche alla decadenza di una Roma di inizio Ottocento), assistono al sorgere e all’infrangersi delle ideologie insieme al naufragio delle loro personali esistenze, passano attraverso due guerre mondiali, il fascismo, lo stalinismo, la dittatura dei colonnelli di Buenos Aires, combattono e si ribellano, rincorrono e sperimentano passioni politiche e vocazioni artistiche.
Città distrutte diventa così un libro di storia assai particolare dove date e avvenimenti, per quanto annotati con la precisione dello storico, si fanno pretesto per scendere negli abissi dell’esistenza e risalire in superficie con una nuova consapevolezza sulla follia e la ferocia dei regimi, sulla forza incontenibile che può avere il desiderio di libertà e di ribellione, sull’umiliazione dell’esilio, sulla malinconia dei sogni irrealizzati.
Le biografie di Città distrutte possono essere lette, infine, come biografie dello stato d’animo, non importa se di personaggi immaginari, verosimili o soltanto reali, perché la malinconia, la solitudine, le illusioni infrante, l’esilio della voce in cui soffocare il dolore per un amore interrotto e derubato o per l’insostenibile stanchezza del vivere, lo stupore o il sollievo per il tempo che passa e che tutto trasforma, sono temi universali che sopravvivono allo scontro tra letteratura e storia, tra verità e finzione.
«E il tempo che è un gioco di prestigio illudendoci che il nostro deperimento siano giorni e mesi, che la morte abbia bisogno degli anni, che il più semplice dei calcoli, una somma, causi i nostri cambiamenti, le nostre nuove orbite, fa l’unica cosa che sa: passa».

Nota sull’autore
Davide Orecchio, nato nel 1969 a Roma dove vive e lavora, è storico e germanista. Ha pubblicato racconti su «Nuovi Argomenti» e «Nazione Indiana», è direttore del sito d’informazione rassegna.it. Con Città distrutte, la sua opera d’esordio, ha vinto nel 2012 il Premio Mondello, il Premio Volponi e il Supermondello. I suoi blog personali: davideorecchio.wordpress.com e sullasfalto.blog.rassegna.it.

Per approfondire
Alessandro Toppi su
Pickvick
Filippo La Porta su Left-Avvenimenti
Matteo Marchesini su Il Foglio
Daniele Giglioli sul Corriere della Serra – La Lettura

Qui l‘intervista di Via dei Serpenti a Davide Orecchio

Città distrutte di Davide Orecchio
Gaffi, 2012
pp. 238, 15,50 €