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Otto anni nei boschi narrativi #5 Luciano Funetta

Titolo?
Otto anni di editoria indipendente. Le interviste di Via dei Serpenti
Editore?
Via dei Serpenti
Uscita?
Settembre 2019

Proseguiamo i nostri assaggi di Otto anni di editoria indipendente. Le interviste di Via dei Serpenti con lo scrittore pugliese Luciano Funetta, che è diventato libraio.
Ha esordito nel 2015 con il romanzo Dalle rovine per Tunué. Da quasi cinque anni lavora nella libreria romana Tomo. Il suo secondo romanzo, Il grido, è uscito nel 2018 per Chiarelettere.
La prima intervista a Via dei Serpenti è di febbraio 2016. La nuova è di maggio 2019. Qui uno stralcio.

Librai e librerie indipendenti
Ho iniziato a lavorare in libreria grazie a un colpo di fortuna. Oggi, dopo quasi cinque anni, inizio a considerarmi un libraio, con riserva. È un mestiere che richiede tempo, esperienza, una visione precisa e intransigente. Di sicuro questo, tra tutti, è un lavoro che mi piacerebbe fare ancora a lungo.
Parliamo di chi i libri li compra. Su questo aspetto sono decisamente fatalista, per lo meno lo sarò fino a che la legge Levi resterà invariata. Iniziamo ad accordare alle librerie indipendenti, alle librerie di catena e ai negozi online le stesse limitazioni commerciali. Riduciamo il tetto di sconto massimo dal 15% al 5% e avremo un buon punto di partenza per provare a ridurre la concorrenza impari.
La grande distribuzione editoriale da un certo punto di vista costringe il libraio e l’editore in una sorta di morsa, di meccanismo soffocante che produce novità e rese a rotta di collo. Il libro così non ha tempo di vivere. La maggior parte dei titoli stampati in Italia sono farfalle che abitano la terra per un solo giorno. I librai, e qui parlo dal mio punto di vista parziale, non possono applicare la loro idea di proposta a un mercato librario che produce una mole tanto spaventosa di novità.

Il rapporto virtuoso tra editore, libraio e lettore
Ti racconto un aneddoto, storia vera: qualche giorno fa è entrato in libreria un ragazzo. Ha comprato un centinaio di euro di saggi di fisica. Mi ha colpito, gli ho chiesto come ci avesse trovati. Mi ha detto di non essere di Roma, di venire in città solo di tanto in tanto, e che un’amica gli aveva consigliato di passare in negozio. Poi ha aggiunto: vivo in mezzo al nulla, non ci sono librerie dalle mie parti. Ho provato a comprare su Amazon, ma non ci ho capito niente. Là sopra c’è tutto. Mi sono spaventato. Non sapevo cosa scegliere.
Innanzitutto, e parlo di editori e librai, bisognerebbe conoscersi, avere consapevolezza profonda del rispettivo lavoro; affiancarsi e trovare una strada che non abbia la presunzione di distruggere il pericolo della vendita su internet ma che si proponga di offrire un’alternativa.
Azzardo a dire che la scomparsa delle librerie nuocerebbe anche al mercato online, ma questa è solo un’ipotesi, una specie di intuizione irrazionale. Senza librerie i libri diventerebbero inquietanti simulacri di luce.

Letture
Se qualcosa dobbiamo mappare, che sia la nostra esperienza di lettori. Come ho avuto modo di chiarire in mille occasioni, la letteratura che ho letto è allo stesso tempo il mio bagaglio e il mio orizzonte. Sono convinto che i grandi scrittori e le grandi scrittrici che sono apparsi su questo pianeta siano abitanti del futuro. Questo non perché abbiano dato voce a chissà quali profezie, ma perché il loro linguaggio, le loro opere, sono strumenti e oggetti alieni.
Posso spingermi a dire che il mio interesse si concentra spesso e volentieri su quelle scritture e in generale su quelle manifestazioni dell’umano che potremmo definire oggetti di confine. Per questo, se dovessi collocare ciò che scrivo su una mappa, indicherei il margine.

I consigli dei Serpenti per l’estate 2018 – Ade Zeno

Ade Zeno,  con cui abbiamo inaugurato Racconti Italiani, consiglia:

Luca Rastello – Dopodomani non ci sarà (Chiarelettere, 2018)
Tre anni fa, per la precisione l’8 luglio 2015, mi capitò di partecipare al funerale di Luca Rastello. Non ricordo se fosse una giornata di sole, se facesse caldo, se il cielo fuori dalla Sala del Commiato del Tempio crematorio si presentasse limpido o coperto di nuvoloni temporaleschi. Credo che fosse un mercoledì. C’era tantissima gente, questo lo ricordo bene. Così come conservo nel cuore, e in modo molto nitido, il riverbero di quell’atmosfera sospesa, emozionata, profondamente malinconica che grazie ai sortilegi del sentire comune ci legava gli uni agli altri. Una fra le voci più lucide e intelligenti del bizzarro Paese in cui ci ostiniamo a vivere se ne era appena andata, e il problema era che nessuno dei presenti sembrava disposto a fare i conti con l’idea della sua assenza. Non avevo legami con Rastello, nessun vincolo affettivo; ci eravamo sfiorati per caso in pochissime occasioni, un po’ come capita ai passanti per strada, ai perfetti sconosciuti. Eppure, fra le migliaia di cerimonie di commiato che per lavoro ho avuto modo di presiedere, quella di Rastello è stata una delle poche che ancora oggi non posso rievocare senza inquietudine.

Nel corso di quell’ultimo saluto successero svariate cose. Qualcuno si era portato dietro la chitarra elettrica e suonò una versione sghemba e singhiozzante di Hey Joe. Qualcun altro prese la parola per condividere ricordi e letture di poesie. Ma furono due i momenti in particolare che misero a dura prova la capacità di trattenere le lacrime (e a questo punto vale la pena sottolineare che fra le molte libertà concesse a un cerimoniere, quella di piangere durante i funerali è giustamente considerata inammissibile). Uno dei due momenti arrivò alla fine, quando vennero pronunciate le ultime parole prima che il feretro venisse accompagnato fuori dalla Sala. A un certo punto la figlia più piccola si alzò e chiese di poter parlare. Era una bambina o poco più, vederla salire sul pulpito così minuscola e indifesa mi fece una certa impressione. Parlò lentamente, con calma, un sorriso dolcissimo disegnato fra le labbra. Funambolicamente in bilico su fili invisibili, raccontò senza vacillare un breve aneddoto legato al papà. Ricordo bene cosa disse, e anche la disarmante compostezza con cui misurò ogni sillaba, ogni pausa. Ma non lo condividerò qui, resta e resterà qualcosa di suo, qualcosa di loro.

L’altro momento fu quello in cui all’attore Marco Gobetti venne chiesto di leggere una lettera scritta da Rastello stesso, una lunga missiva di commiato rivolta proprio alle figlie. Quando Gobetti finì e scese dal pulpito pensai che fosse il messaggio di congedo dal mondo più bello che avessi mai ascoltato. Nessuna frase sembrava fuori posto, nessun patetismo, nemmeno l’ombra delle tantissime formule scontate che in contesti del genere spesso si usano sprecare. Era la lettera di un uomo che saluta la vita e quanto ha di più caro, riuscendo nella complicatissima impresa di farlo mescolando tre ingredienti profondamente instabili e poco compatibili fra loro, vale a dire la lucidità, la passione e l’ironia. Pensai subito che avrei voluto rileggere o riascoltare ancora quelle parole, senza lasciarmene scappare nemmeno mezza, e che se fossi stato sul punto di morire avrei voluto avere anch’io la forza e la capacità di scrivere ai miei figli qualcosa di simile.

Luca Rastello

Negli ultimi tre anni mi è capitato spesso di sperare che prima o poi quel testo venisse pubblicato da qualche parte. Ora – finalmente, inaspettatamente – è successo, ed è proprio la Lettera alle pulci piccole in forma di testamento a chiudere Dopodomani non ci sarà, volume curato da Monica Bardi per Chiarelettere in cui vengono raccolti alcuni fra gli ultimi scritti (quasi tutti inediti) di Rastello. È un libro inevitabilmente frammentario e frammentato, una sorta di cantiere aperto in cui si delineano le linee guida del romanzo ancora in fase di progettazione: il rapporto con la malattia, l’esperienza dell’ospedalizzazione, l’ostilità verso il testamento biologico, il rifiuto delle cosiddette cure alternative. Temi brucianti e cruciali, uniti fra loro non tanto dal bisogno di rispondere alle solite domande sul senso della vita, quanto dall’urgenza di riflettere sulla precarietà del tempo, più precisamente sull’importanza di affrontarlo ricorrendo all’unica vera arma che abbiamo a disposizione: l’arte di improvvisare.

Nelle pagine di Rastello niente è scontato, ogni parola, ogni frase, ogni singola idea viene affrontata di petto con quella inconfondibile tensione a cui i lettori dei suoi libri sono abituati. La stessa tensione – magica, eppure miracolosamente tangibile – che vibra con forza impressionante nelle ultime pagine dedicate alle figlie. Per quanto mi riguarda, basterebbero loro a rendere questo libro compiuto. E invito chiunque a leggerle, poi a rileggerle ancora. Come ho fatto io. Come continuerò a fare.