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Le interviste dei Serpenti – Ilaria Beltramme

di Emanuela D’Alessio

Proseguono le interviste di Via dei Serpenti con Ilaria Beltramme, l’autrice di 101 cose da fare a Roma almeno una volta nella vita (Newton Compton). L’abbiamo conosciuta alla libreria Pagina348 in occasione del primo appuntamento con “Libraio per un giorno”. Ha fatto parta della giuria di qualità alla seconda serata di 8×8, il 4 marzo.

Ho trovato sul web questa tua breve biografia: Ilaria Beltramme nasce a Roma nel 1973. Appassionata della sua città e di storia dell’arte, è anche traduttrice di fumetti e romanzi. È ancora convinta che il Tevere sia una divinità. Per Newton Compton ha pubblicato 101 cose da fare a Roma almeno una volta nella vita, 101 perché sulla storia di Roma che non puoi non sapere e Roma in un solo weekend. Per Mondadori è uscito Caccia ai tesori nascosti di Roma. Puoi aggiungere qualche altro dettaglio?
Forse è il caso di spiegare questa divinizzazione del Tevere cui fa riferimento la biografia che hai trovato in rete. Ho frequentato i circoli dei canottieri sul fiume da piccola. Con mio padre eravamo iscritti al Dopolavoro Ferrovieri di Ponte Margherita; andavamo in kajak e ho ricordi indelebili di quel periodo in cui sono riuscita ad avvicinarmi a una parte del “cuore di Roma” (mi riferisco ai “fiumaroli”) ora rarissima da incontrare. Lì è nato il mio amore per il Tevere, che ancora cerco durante le passeggiate. Di solito raggiungo Ponte Rotto appena posso, e lì trascorro ore splendide nel silenzio, con un buon libro in mano, cullata dal rumore delle rapide. Prima o poi mi parlerà. Adesso si limita a lasciarsi adorare, come la divinità pagana che è sempre stato per la città, appunto.

Ci siamo conosciute il 1° marzo alla libreria Pagina 348 in occasione del primo appuntamento con Libraio per un giorno, l’iniziativa di promozione dei libri. Come è andata?
È stata un’esperienza meravigliosa, un successone che francamente non mi aspettavo. È arrivata moltissima gente e tutti avevano voglia di ascoltare i miei consigli. Pagina 348 è uno spazio vitale all’Eur. Negli anni sono riusciti a raccogliere una comunità di amanti della lettura molto fedeli, disposti a partecipare alle loro iniziative, attenti ed esigenti. Segno che questo paese è molto meno addormentato di quello che si possa pensare e, se opportunamente stimolato, risponde con entusiasmo. L’appuntamento del 1 marzo, insisto, è stato davvero indimenticabile.

Quali libri hai consigliato e quali “hai venduto”?
Ho consigliato sia libri di saggistica sia romanzi. L’arte della gioia di Goliarda Sapienza, Stanno tutti bene tranne me di Luisa Brancaccio, American Gods di Neil Gaiman, In ogni caso nessun rimorso di Pino Cacucci, Quando Teresa si arrabbiò con Dio di Alejandro Jodorowsky, Augustus di John Williams. Fra i saggi, invece, ho suggerito: L’ordine è già stato eseguito, a cura di Alessandro Portelli; Giordano Bruno e la tradizione ermetica di Francis A. Yates; Storia avventurosa della rivoluzione romana di Stefano Tomassini. Ho venduto tutto! Che gioia!

Frequenti le librerie? Qual è per te la libreria ideale?
Frequento le librerie, le biblioteche, le bancarelle di libri usati. Amo la libreria Pagina 348 perché ci sono cresciuta, i miei genitori abitano in zona. Ho cominciato comprandoci i libri per la scuola, poi ho continuato a frequentarla quando sono stata colta dalla passione per la lettura (che è scoppiata leggendo Pasolini, per inciso). Amo, in generale, le librerie indipendenti, con i libri di costa sugli scaffali, luoghi in cui trascorrere ore a chiacchierare con il libraio. Mi piacciono i posti dove si può parlare di letture, oltre che acquistare titoli. Fra questi “paradisi” laici c’è anche la Libreria del Viaggiatore a via del Pellegrino, perché un’altra mia passione è quella per i viaggi, anche quando sono solo di fantasia, nati magari fra le pagine di un bel libro.

Dai titoli che hai pubblicato si evince la tua smisurata passione per Roma, la sua storia, i suoi segreti. Perché questa attenzione monotematica per la città?
Perché faccio parte di quella generazione di “giovani” che se n’è spesso andata. Ho vissuto in Inghilterra e in Spagna a lungo, convinta che non ci fosse un futuro in questo paese. In parte lo penso ancora, ma allora credevo di essere una cittadina del mondo e invece, allontanandomi, ho scoperto che mi mancava il Colosseo, più della mamma. Non appena sono tornata in Italia, quindi – non volevo farlo, ma le città che avevo scelto tutte e due le volte avevano cominciato a starmi un po’ strette – ho deciso che qui ci sarei rimasta, che ci avrei provato un’altra volta ancora, prima di rinunciare definitivamente. Il destino mi ha premiata. Da questa spinta “psicologica” è nato tutto, quasi per caso. Ho cominciato con le traduzioni, poi sono passata a lavorare nella redazione di una rivista di viaggi che si chiamava Sandokan, lì ho timidamente iniziato a scrivere di Roma (e di conseguenza anche a camminarci con più attenzione) e poi sono arrivati i libri della Newton Compton, i 101 e tutti gli altri. Mi sono scoperta romana, andandomene. Nella vita non si può mai dare nulla per scontato: ma intendo continuare a essere molto romana e molto appassionata di Roma ancora a lungo.

Non ti sei cimentata fino ad ora con la narrativa pura. Una scelta o una casualità?
Tutte e due le cose. L’approccio con il romanzo storico mi è sembrato uno sbocco naturale per il mio lavoro, visto anche lo stile con cui scrivo i libri di varia che sono stati pubblicati fino a oggi. Alla narrativa “pura”, non di genere, per ora non ci penso. È come se aspettassi di farmi uscire la voce. Potrebbe capitare oppure no, non importa, non ho fretta.

Eppure hai fatto parte della giuria nella seconda serata del concorso letterario 8×8, il 4 marzo. Che cosa pensi dei concorsi letterari in generale e di questo in particolare?

I concorrenti della seconda serata di 8x8


Penso siano un’ottima occasione per tastare il terreno in un settore come quello dell’editoria in cui è difficilissimo orientarsi. E poi mi piace conoscere autori per cui scrivere è un’urgenza. Nei concorsi si fa anche amicizia, nascono sodalizi al di là della competizione, e ci si misura con il giudizio altrui che è determinante per sopportare il peso di una pubblicazione. 8×8 poi, per come è organizzato, con gli autori che leggono e i giudici che giudicano subito dopo aver ascoltato il racconto, il confronto con le opinioni degli addetti ai lavori è ancora più immediato. Le critiche, in questa occasione, possono sembrare dure, ma la verità è che in fase di lavorazione di un manoscritto i toni possono diventare abbastanza sbrigativi e occorre essere preparati, avere le spalle larghe. I ragazzi che hanno preso parte al concorso ora hanno fatto questa esperienza e sono sicura che li aiuterà nel futuro.

Ha vinto Fabrizia Conti con il racconto La balena arrugginita. Quali sono state le motivazioni della scelta? E il tuo giudizio?
Ha colpito la maturità della scrittura di Fabrizia, credo. Per questo ha vinto. In questo siamo stati quasi tutti d’accordo. A me personalmente è piaciuta la libertà di lettura che il suo racconto dava. La forza di Fabrizia è stata la sua capacità di impiegare una scrittura piana, trasparente, su argomenti soltanto all’apparenza leggeri, o “minimi”. Invece poi, mentre leggi, la mente esce dal racconto e penetra in profondità, scoprendo altri dettagli, altre sotto tracce. Ecco, mi piacciono gli autori che liberano i lettori, che li lasciano andare dove vogliono. Sono autori generosi. E mi pare che Fabrizia abbia un grande talento su cui lavorare.  

Che cosa ti senti di augurare a Fabrizia Conti e in generale a tutti coloro che tentano la strada della scrittura?
Vorrei farle un grande in bocca al lupo. E poi vorrei dirle di ascoltare i consigli degli editor, di non prenderla sul personale se si confronta con qualcuno che è un po’ duro. Un manoscritto diventa un libro soltanto dopo il passaggio in redazione. Quella parte del lavoro può sembrare un’invasione della “purezza della scrittura” ma non lo è. È un momento di confronto determinante, che chiarisce le idee e prepara all’impatto con il pubblico dei lettori. Le auguro di lavorarci davvero con la scrittura, di farla diventare il suo mestiere. E non è un augurio da poco, secondo me.

Quali sono i libri della tua vita?
Sono i romanzi sudamericani, il realismo magico in generale, perché amo leggere epopee familiari, storie che mi portano via. Ma amo molto anche i saggi. Specie quelli sui ribelli, oltre alla vastissima letteratura su Roma che comunque divoro anche al di là dello studio. Ho letto tanto sulla Guerra civile spagnola, adoro figure come Buenaventura Durruti, l’anarchico della Columna de hierro. O come Marius Jacob, anche lui un anarchico, abilissimo a compiere furti leggendari nelle case dei ricchi per finanziare il movimento. Insomma mi piacciono e rispetto molto quei personaggi che sono stati sassolini nell’ingranaggio della storia. Che sono vissuti per un’idea di libertà, che si sono messi di traverso.

Che cosa c’è da leggere o ci dovrebbe essere sul tuo comodino?
C’è Augustus di John Williams, che sto quasi finendo. Quando terminerò arriverà Stoner, sempre dello stesso autore, che ancora non ho letto.

I tuoi progetti per l’immediato futuro?
Sta per uscire Il papa guerriero (il 13 marzo), il mio nuovo romanzo dedicato alla Roma del Cinquecento, nell’epoca, appunto, di papa Giulio II, il pontefice della Sistina e di Raffaello, per intenderci. Lo presenterò il 20 alla Feltrinelli di Galleria Colonna insieme allo storico dell’arte Costantino D’Orazio e poi inizierò il giro di promozione solito. All’orizzonte vedo molti viaggi di un giorno, un po’ di stanchezza e tanta emozione. Ma sono contenta, è la vita che non avevo il coraggio di immaginare per me. E ora la sto vivendo. Fra qualche mese, comunque, mi rimetterò a scrivere un’altra cosa di cui per ora non posso parlare. Bocca cucita.

Ultima domanda: hai visto il film La grande bellezza?
No, ma conto di farlo presto. Quindi non esprimo giudizi, per il momento, anche se è praticamente impossibile non ascoltare quelli degli altri. Tutti sembrano avere un’opinione molto precisa sull’argomento, e senza sfumature, o sono entusiasti o molto delusi. Cerco di non farmi influenzare, ma sono contenta che abbia vinto l’Oscar, comunque. Ho una grande curiosità di vedere con i miei occhi come Sorrentino ha “letto” Roma. Anche su questo ho raccolto pareri molto polarizzati. Non mi resta che andare al cinema.

Intervista a Domitilla Pirro (ha vinto la quinta edizione di 8×8) e Matteo Alfonsi (editor)

Domitilla Pirro con il racconto Sote’, ha vinto la quinta edizione di 8×8, che si è conclusa a Torino il 18 maggio scorso. Abbiamo intervistato l’autrice e l’editor Matteo Alfonsi (Indiana editore) che ha editato il racconto.

Qui Sote’ e gli altri racconti arrivati in finale.

Intervista a Domitilla Pirro

Quanti anni hai? Di dove sei? Che cosa fai?
28 anni, romana, scrivo.

Come ti descrivi, in tre aggettivi?
Alta, riccia e paracula.

Che cosa vuoi fare da “grande”?
Voglio lavorare con le parole.

Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Il Nabokov di Lolita e il Rodari de Il refuso.

Ti aspettavi questa vittoria?
No, ma l’ho sognata nei dettagli.

Come è stato il lavoro di editing?
Breve ma intenso. No, scherzo. Divertente e stimolante. Matteo ha avuto molta pazienza con me.

Come mai questa scelta di usare il dialetto?
In nessun altro modo avrei saputo raccontare questa storia.

Prima di questo racconto avevi già scritto o pubblicato qualcosa?
L’estate scorsa è uscito un mio racconto sull’inserto torinese di «Repubblica». Per il resto ho pubblicato due saggi d’argomento cinematografico e un buon centinaio di recensioni, online e non.

Adesso che cosa ti aspetti?
Che mi caschi in testa una tegola.

Domani che cosa farai?
Scriverò.

Intervista  a Matteo Alfonsi

Ha vinto il “tuo” racconto Sote’ di Domitilla Pirro. Una sorpresa, una conferma?
Sì, ha vinto il racconto di Domitilla Pirro. Sapevo che era un buon racconto e sapevo che lei lo avrebbe letto bene.

Contenuto, stile, scrittura. Come lo definiresti in pochi aggettivi?
Domitilla in questo racconto ha una scrittura densa ma scorrevole che produce uno stile parlato, un’oralità senza filtri che rende quasi secondario un contenuto comunque disturbante. 

Puoi elencarci i suoi pregi e difetti?
Il suo pregio è la scrittura, è un racconto in cui Domitilla dimostra di saper gestire un certo tipo di voce. Un altro pregio è di aver scelto un tema accattivante e che può fare appiglio sulla memoria del lettore, nutrirsi dei suoi ricordi. Ma questo è anche il difetto principale del racconto: non nasce da un’esigenza comunicativa, dal bisogno di raccontare un certo tipo di storia.

Quali margini di intervento ci sono su un racconto breve come questo?
In questo caso non credo molti. Il racconto era già lavorato, con una lingua cristallizzata e perfettamente adatta a un certo tipo di lettura. La narrazione era costruita sulle oscillazioni linguistiche e umorali della protagonista, abbiamo cercato quindi di rendere meno ellittica la narrazione, avvicinare il lettore a quella voce.

Quanto incide sul buon esito del tuo lavoro avere a che fare con un autore alle prime armi?
Sicuramente un autore già pubblicato conosce l’iter di lavorazione di un libro e quindi è più disposto ad accettare i suggerimenti, ma credo che gli approcci varino da persona a persona. È naturale che ogni scrittore difenda quello che ha scritto, non sarebbe un buon segno se non lo facesse.  

Se questo racconto non fosse stato selezionato da 8×8 ma ti fosse capitato casualmente sotto gli occhi, lo avresti comunque preso in considerazione?
Da un singolo racconto è abbastanza difficile trarre indicazioni generali. In questo caso avrei forse preso nota del nome dell’autrice aspettando di leggere altro.

Quali scenari si apriranno per Domitilla Pirro?
Spero i migliori possibili. 

Quali sono le maggiori soddisfazioni e i peggiori rimpianti nel mestiere di editor?
Nella mia breve esperienza le soddisfazioni maggiori le ho ricevute dal rapporto con gli autori con cui ho lavorato. Di rimpianti, per ora, non ne ho molti; ci sono libri che avrei voluto fare ma che per una serie di motivi non siamo riusciti a prendere, ma non li definirei dei rimpianti. 

Cogliamo l’occasione per parlare di Indiana, giovane casa editrice milanese. Ci puoi fornire qualche dettaglio?
Indiana è una casa editrice fondata nel 2011 e che manda in stampa più o meno un libro al mese. Si occupa di narrativa italiana e straniera e di saggistica, soprattutto divulgativa. Nonostante sia una piccola casa editrice, è riuscita a pubblicare autori di assoluto valore letterario come Michael Chabon o Matteo Galiazzo, o a portare al pubblico un’esordiente di sicuro avvenire come Eleonora C. Caruso. 

Il mestiere dell’editor sembra essere incalzato dal self-publishing dilagante. È un mestiere a rischio? Lo sono tutti i mestieri tradizionali dell’editoria?
Dal mio limitato punto di vista, non credo che il self-publishing sia un fenomeno che possa mettere a rischio l’editoria e i suoi mestieri, almeno per ora. Le case editrici costituiscono ancora un soggetto fondamentale nella produzione di cultura e ci sono ancora molti fattori che le rendono indispensabili. Quando si sceglie un libro poi si dovrebbe inserirlo all’interno di un progetto, valutarlo anche in un insieme. L’obiettivo di ogni editore dovrebbe essere costruire il suo lettore, fidelizzare un acquirente, trasformarsi quasi in un consigliere fidato. Poi, quando il libro è fatto con onestà, hai la garanzia che un gruppo di persone ha creduto in quel progetto e ha scelto di investirci dei soldi. Non credo sia una minaccia quindi, anzi. Molti editor in tutto il mondo hanno cominciato a interessarsi ai libri pubblicati su queste piattaforme, e se probabilmente la manualistica può soffrire la concorrenza, il self-publishing resterà comunque un pozzo di imitatori di saghe alla moda. 

8×8: intervista a Francesca Morelli, vincitrice della finalissima torinese

La quarta edizione di 8×8 è stata vinta da Francesca Morelli, venticinquenne di Castellammare di Stabbia, laureata in giurisprudenza che vuole diventare magistrato. Si è definita «una lentichietta timida, idealista e volubile», sul comodino ha Erri De Luca e Agota Kristof, li tiene «fissi lì per conforto».
Ha vinto con il racconto Il vestito buono (qui la nostra recensione), selezionato il 20 marzo scorso a Roma dai giurati Giulio Milani e Dario Rossi di Transeuropa, Gilda Policastro, Matteo Nucci e Leonardo Luccone perché è «un racconto letterario, dove chi scrive sa dove ci vuole portare, un racconto sapientemente condotto».
Alessandra Penna (qui l’intervista), l’editor di Newton Compton che ha accompagnato la Morelli alla finale di Torino, ne ha sottolineato i pregi: «La compattezza della storia e la capacità di rivolgersi in modo molto diretto al lettore. Un monologo che riesce, in poche battute, a far capire al lettore la situazione in cui si trova, il personaggio principale (che è il narratore) e l’atmosfera che gli ruota attorno». Continua a leggere

8×8, interviste agli editor dei racconti finalisti (3)

Proseguiamo con Davide Musso le interviste agli editor dei racconti finalisti della quarta edizione di 8×8, vinta da Francesca Morelli con il racconto Il vestito buono. Sul sito di Oblique potete leggere gli editing.

Davide Musso, editor di Terre di Mezzo, ha editato il racconto di Laura Tullio Rumori nella pancia. Qui la nostra recensione.

Ci può elencare i pregi e difetti del racconto che le è stato assegnato?
Tra i pregi segnalerei lo stile asciutto e molto controllato, che non si concede agli orpelli, oltre alla capacità di lasciar emergere a poco a poco gli elementi della vicenda e i personaggi, giocando sui dettagli. E poi il senso di disagio e inquietudine che serpeggiano tra le parole.
Se di difetti bisogna parlare, segnalerei la sospensione della storia, non del tutto risolta – benché sia convinto che un racconto non debba per forza dare una risposta a tutto. Continua a leggere

8×8: interviste agli editor dei racconti finalisti (2)

In attesa di conoscere il vincitore della quarta edizione di 8×8 che sarà proclamato a Torino, il 14 maggio (Salone Internazionale del Libro, Caffè letterario, ore 11,00), abbiamo intervistato gli editor Raffaella Lops, Davide Musso, Alessandra Penna, Dario Rossi e Christian Soddu cui sono stati assegnati i racconti selezionati. Sul sito di Oblique potete leggere gli editing.

Alessandra Penna, editor di Newton Compton, ha editato il racconto di Francesca Morelli Il vestito buono. Qui la nostra recensione.


Ci può elencare i pregi e difetti del racconto che le è stato assegnato?
Pregio: la compattezza della storia e la capaicità di rivolgersi in modo molto diretto al lettore (quasi fosse una giuria). È in qualche modo un monologo che riesce, in poche battute, a far capire al lettore la situazione in cui si trova, il personaggio principale (che è il narratore) e l’atmosfera che gli ruota attorno. Direi che, pur nella sua compiutezza, potrebbe anche essere un buon inizio di romanzo. Il difetto? Non saprei dirlo bene, forse l’uso eccessivo del dialetto. ma non sono certa sia un difetto.

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8×8: interviste agli editor dei racconti finalisti

In attesa di conoscere il vincitore della quarta edizione di 8×8 che sarà proclamato a Torino, il 14 maggio (Salone Internazionale del Libro, Caffè letterario, ore 11,00), abbiamo intervistato gli editor Raffaella Lops, Davide Musso, Alessandra Penna, Dario Rossi e Christian Soddu cui sono stati assegnati i racconti selezionati. Sul sito di Oblique potete leggere gli editing.

Christian Soddu, editor di Fazi, ha editato il racconto di Filippo Nicosia Assenza di gravità (nella prima stesura si intitolava Con i tempi compassati dell’assenza di gravità). Qui la nostra recensione.


Ci può elencare i pregi e difetti del racconto che le è stato assegnato?
I pregi hanno senza dubbio a che fare con l’atmosfera che l’autore è riuscito a creare, attraverso una scrittura pulita, pacata, volutamente fredda e iperanalitica: quello che di solito potrebbe essere considerato un difetto – lo spezzettamento dei gesti dei personaggi, la continua radiografia del loro spostarsi all’interno di uno spazio ristretto – diventa una qualità. Ci sono non più d’un paio di battute di dialogo in tutto il racconto, i personaggi non parlano praticamente mai, eppure lasciano ben percepire, attraverso l’occupazione dello spazio e la propria fisicità, il chiasso che si gonfia dentro di loro. E questo “chiasso compresso”, poi, è senz’altro in relazione con l’altro grande pregio del racconto, che va al di là dell’aspetto formale: ossia l’idea di partenza di porre a confronto, uno di fronte all’altro, il Dolore nella sua declinazione più pubblica e, se si vuole, retorica possibile – quello per la morte di nostri militari le cui salme rientrano in Italia –, e un altro Dolore, intimo, domestico, segreto, che ha a che fare con la decadenza di un corpo, le costrizioni che ne derivano, le ripercussioni sul terreno dei rapporti familiari.

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