Tornano i Serpenti e proseguono le interviste. Oggi parliamo con Andrea Bergamini, editore di Playground, la piccola casa editrice romana che ha partecipato quest’anno al Premio Strega con l’eccellente Gilberto Severini.
Andrea Bergamini è nato a Ferrara nel 1966, autore di saggistica musicale per ragazzi ha fondato nel 2004 la Playground di cui, da pochi mesi, Fandango è diventata socio di maggioranza.
La candidatura al Premio Strega 2011 del romanzo di Gilberto Severini A cosa servono gli amori infelici è stata una piacevole sorpresa senz’altro per lei e per l’autore, ma soprattutto per noi lettori. Una prima volta importante e stupefacente che ci ha fatto credere, per qualche settimana, che un cambiamento fosse pur sempre possibile, per quanto lieve, anche per i premi letterari italiani.
Ora che il vincitore è stato designato (e nemmeno questa volta si è rivelato una sorpresa) quali sono le sue considerazioni? Può descriverci cosa ha provato e cosa ha pensato durante l’intera esperienza?
Confesso di avere avuto da subito un’enorme fiducia nell’ultimo romanzo di Gilberto Severini. Mi è sembrato prezioso, profondo, stilisticamente superiore. Ho pensato che una prova di scrittura così significativa, e per certi versi anomala, meritasse un riconoscimento non solo da parte dei lettori ma anche degli “addetti al lavoro”. Per questo ho pensato allo Strega. Mi sembrava un’occasione propizia perché editori, scrittori ed editor prestassero maggiore attenzione all’opera mai banale di un autore come Severini. In più tendo ad avere rispetto per le istituzioni con tradizione e il Premio Strega annovera tra i suoi vincitori autori importanti anche per la mia formazione. Credo, perciò, di aver trattato con rispetto il Premio Strega, presentando un titolo e un autore che considero “fuori dalla norma” e il Premio Strega ha, a sua volta, mostrato rispetto e sensibilità nei confronti del libro e della casa editrice selezionandolo tra i dodici finalisti (o semifinalisti, non ho ancora capito bene).
Può fornirci qualche dettaglio sulla casa editrice? Quando, come e perché è nata Playground; quali sono le aspettative, le difficoltà e le soddisfazioni, gli entusiasmi e gli scoraggiamenti; che cosa significa fare l’editore di Playground nell’attuale panorama editoriale romano e nazionale.
La casa editrice è stata fondata nel 2004. È nata per caso e contemporaneamente come risposta a un’esigenza profonda. Credo che le due cose si tenessero insieme. Il caso è un amico che ti propone l’idea; l’esigenza profonda, invece, è la passione convinta, non hobbistica o astratta, per la narrativa. A questo aggiungerei l’incoscienza. Una casa editrice è una prova di sensibilità intellettuale e imprenditoriale ricca di insidie e difficoltà. Richiede dosi enormi di coraggio e umiltà. E non sempre ci capita di averne in tutte le stagioni della nostra vita. L’obiettivo era proporre dei libri “belli” (che appassionano, tormentano, commuovono, spingono a riflettere, convincono, incidono), in grado di incontrare molti lettori. Obiettivi solo apparentemente semplici. Gli ostacoli principali per una casa editrice appena nata o giovane sono i soliti: la difficoltà delle scelte editoriali, l’impossibilità di sbagliare troppi titoli pena l’emarginazione da parte del lettore, i margini risicati legati al mercato del libro, l’organizzazione di una struttura, la necessità di combinare le esigenze commerciali con quelle editoriali.
Che cosa sia Playground oggi nel mercato editoriale non è facile da dire. Sono rimasto un editore che pubblica otto-nove libri all’anno, convinto che solo in questo modo possa conservare un tasso di qualità nelle scelte che io considero alto rispetto alla mia esperienza, competenza e gusto. In media le tirature sono di 1500-2.000 volumi, più alte per gli autori principali del catalogo. Sono orgoglioso di avere proposto autori come Rachid O., Allan Gurganus, Helen Humphreys, e di avere aiutato a riscoprire Edmund White e Gilberto Severini. Tutto qui.
Le scelte editoriali risultano complesse, a volte difficili e rischiose, comunque ispirate a criteri e principi ben definiti. Ce li può riassumere?
Direi di concentrarci solo sulla collana principale, quella che porta il nome della casa editrice. In origine il criterio adottato era pubblicare romanzi di autori significativi e di qualità che avessero tra i loro protagonisti almeno un personaggio gay. Di seguito aggiungerei una forte attenzione per la narratività, convinto che un romanzo sia innanzitutto il racconto di una storia, e un interesse spasmodico per le dinamiche familiari. Ciascuno di questi criteri si è conservato e allo stesso tempo diluito, tanto che è facile trovare nel catalogo Playground libri che a turno contraddicono il primo piuttosto che il terzo dei criteri. È bene che i criteri di scelta siano sempre flessibili e rappresentino punti di riferimento e di orientamento più che comandamenti.
Non sembrano esserci esordienti italiani nelle pubblicazioni di Playground, perché? Pregiudizio, diffidenza o semplicemente mancanza di tempo e risorse umane per valutare i manoscritti?
Sì, il tempo è sempre poco, però i manoscritti vengono valutati. Credo sia semplicemente difficile competere con Edmund White, Helen Humphreys e Gilberto Severini, non avendo noi una collana dedicata alla letteratura per esordienti. Quando in un anno si pubblicano solo cinque titoli (nella collana principale) l’esordiente è costretto a misurarsi con “mostri sacri” come White o Severini, e quindi rischia più facilmente di apparire inadeguato.
Ha ancora senso parlare di letteratura gay, case editrici che privilegiano il genere, dedicare scaffali nelle librerie solo a libri scritti da gay e/o che parlano di gay? Non è una contraddizione rispetto alla conclamata battaglia all’omofobia di questo Paese?
Per me ha senso solo per la cosiddetta letteratura di genere, ossia la letteratura che non si pone obiettivi estetici, ma principalmente obiettivi concreti. Penso in generale alla letteratura erotica gay (l’obiettivo pratico è chiaro), o nel mio caso alla collana High School, storie gay dai licei americani e del mondo. In questa collana si pubblicano romanzi che hanno per protagonisti adolescenti gay. Sono storie semplici, senza ambizioni letterarie, che si propongono esplicitamente di creare personaggi e trame capaci di accrescere l’autostima negli adolescenti gay più in difficoltà. Questi libri, con la loro giusta dose di ottimismo, possono offrire un contributo importante.
Fandango è diventato socio di maggioranza di Playground. Inevitabile la preoccupazione per il futuro indipendente della casa editrice. Può spiegarci in sincerità, se possibile, le motivazioni di tale scelta? E ci saranno ripercussioni sulla linea editoriale e l’organizzazione del lavoro?
Le motivazioni sono legate alla mia lettura del mercato del libro. Playground è reduce da due anni entusiasmanti sotto tutti i punti di vista, quindi anche dal punto di vista commerciale, tuttavia resto convinto che in futuro non necessariamente lontano, magari in un anno in cui mi capita di sbagliare alcune scelte editoriali (può succedere), Playground potrebbe correre immediatamente il rischio di espulsione dalle librerie. A quel punto so che per fronteggiare o evitare l’espulsione dalle librerie mi si chiederebbe di aumentare il numero di titoli e le dimensioni della casa editrice e secondo me questo snaturerebbe Playground. Il solo modo per conservare una certa “pratica dell’editoria” è collegarsi o entrare a far parte di un gruppo più grande che offra maggiori garanzie di crescita senza rischi di snaturamento. Credo di averlo trovato in Fandango e nella persona di Domenico Procacci. La collaborazione è troppo recente per tirare un bilancio, ma finora ho trovato grande attenzione alle esigenze di una casa editrice con le caratteristiche di Playground. Questo, ovviamente, non garantisce per il futuro.
Una domanda provocatoria: che cosa pensa dei blog letterari che affollano la rete? Li ritiene uno strumento in più a disposizione dei libri o un semplice sfogo autoreferenziale?
Considero i blog letterari (mi riferisco ai blog di chi non si occupa professionalmente di libri) molto utili quando somigliano a una traduzione scritta del passaparola, e quindi quando si trasformano in cassa di risonanza per libri importanti e belli che magari hanno trovato poco spazio in altri mezzi di comunicazione e informazione. In questo caso mi sembrano svolgere una funzione importante, capace di fronteggiare alcune sciatterie e amnesie dei grandi mezzi di informazione. Mi divertono meno quando diventano la fiera della vanità, e si consegnano alla convinzione un po’ infantile che una persona dimostra la propria intelligenza solo “distruggendo”. E da lì partono attacchi gratuiti, insulti, invettive. Quella modalità mi piace ma soprattutto mi interessa di meno.
Per concludere una domanda frivola. Quali sono state le sue letture per le vacanze? Quale è stato l’ultimo libro letto, quello che consiglierebbe a tutti e quello che non avrebbe mai voluto leggere?
L’ultimo libro che ho letto è L’amministratore di Anthony Trollope (editore Sellerio) che consiglio. Anche se però il mio libro preferito dell’anno resta La mia lotta di Karl Ove Knausgard, edito da Ponte alle Grazie. Non mi capitava da anni di leggere un libro così intenso e maturo scritto da un quarantenne. Una bellissima sorpresa.
Quanto ai libri che non avrei mai voluto leggere, per fortuna ho rotto il tabù dell’abbandono, quindi non mi capita più di leggere fino in fondo un libro che considero inutile.