Recensione di Chiara Rea
Il titolo del primo romanzo di Francesca Comencini, Famiglie, ne suggerisce senza mezzi termini il contenuto: si tratta infatti di un romanzo che parla di due famiglie molto diverse tra loro e in un certo senso archetipiche, come fossero i due rovesci di una stessa medaglia.
Una è la famiglia moderna, aperta, quella che oggi viene chiamata “allargata”. Madre single con due figli avuti da due uomini diversi. Taos è il classico ventenne a metà tra l’alternativo e lo sfigato, che ascolta Cat Power, indossa magliette con scritte infamanti sul G8 di Genova, beve birra Moretti e sambuca al baretto squallido dell’Esquilino dove vanno i vecchi ubriaconi, non dà esami all’università ma per conto suo legge libroni di storia. Stella è la classica adolescente a metà tra l’alternativo e lo sfigato, grassoccia e infagottata, che soffre per amore ma grazie alla sofferenza scopre la propria vena artistica (nel gruppo di teatro del liceo). Ada, la madre, è la classica quarantenne a metà tra l’alternativo e lo sfigato, una di quelle fricchettone con le gonne lunghe, che sente la propria appartenenza al genere femminile e ad esso immola la propria vita (fa l’avvocato per donne maltrattate), si innamora sempre dell’uomo sbagliato che la vuole e non la vuole, desidera godersi la propria quieta solitudine, concedendosi ogni tanto qualche avventura. Ada infatti è innamorata di Daniele, scenografo scapolo e donnaiolo, che fugge di fronte ai legami e alle responsabilità ma che, in fondo, sente anche lui la necessità di trovare legami stabili, di avere delle radici.
Al polo opposto c’è invece la famiglia benestante, borghese e cattolica che, sotto l’apparente perfezione, nasconde abissi di dolore. Filippo, fervente nella sua fede ma altrimenti privo di grandi slanci, e Giovanna, donna fragile con trascorsi di anoressia. I due non possono avere figli e ricorrono all’adozione: in un orfanotrofio bosniaco trovano Vera, un’orfana di guerra, già grandicella e piuttosto turbata. La ragazzina cresce problematica, strana, si aggrappa prima allo sport e poi alla religione per sentire una rete sotto di sé che la raccolga nel caso in cui cada. Va male a scuola, crede di non capire niente ma si sente un’estranea, in casa propria e nel mondo, un essere alieno venuto da un altro pianeta e catapultato in una realtà che non gli appartiene. In balia di un disperato bisogno di protezione e di un profondo desiderio di autopunizione, si fa circuire e plagiare da una setta religiosa (che porta l’inquietante nome di Circolo) al punto da abbandonare i genitori e trasferirsi in un’altra città per frequentare una scuola guidata dal gruppo religioso.
Le due famiglie sono collegate dall’amicizia che lega Vera e Stella, profondamente diverse eppure simili nel loro sentirsi manchevoli di qualcosa.
Entrambe le famiglie, così come tutti i personaggi di questo romanzo, aderiscono a stereotipi precisi e l’autrice non si sforza a sorprendere il lettore. C’è poco spazio per l’interpretazione, la suggestione e l’immaginazione in questo libro, tutto è spiegato, illustrato, commentato. La lingua che usala Comencini tradisce il suo non essere romanziera. È una lingua spesso semplice e piana, che talvolta si concede immagini più ricercate ma quando lo fa suona forzata, innaturale. Ciò che affascina però in questo romanzo è la profonda differenza tra i capitoli che narrano la storia della famiglia alternativa e quelli dedicati alla famiglia borghese. Se nei primi c’è ben poco da salvare, negli altri ci sono alcuni elementi che rendono la lettura più stimolante e, a tratti, addirittura avvincente. Specialmente nella descrizione della setta religiosa, dei personaggi che ne fanno parte, troviamo finalmente un po’ di ambiguità, che manca totalmente nella narrazione relativa alla famiglia di Ada. In particolare, la figura di Chiara, giovane donna che ha il compito di irretire ragazzine sprovvedute e sole per trascinarle nel Circolo, è un personaggio interessante in cui si intravede un contrasto, una discontinuità: Chiara è infatti divisa tra fede e filosofia, tra la lucidità della ragione e la perdizione in quel baratro che è la negazione di sé attraverso la religione estrema. Anche la madre di Vera –sebbene anche lei incarni uno stereotipo – risulta autentica quando mostra la sua incapacità di accettare una figlia che non proviene dal suo corpo, una persona estranea di cui ha quasi paura ma che, in fondo, ama. Persino lo stile della Comencini, nei segmenti dedicati alla famiglia borghese, risulta più spigoloso e corrosivo. Viene da pensare, quindi, che se l’autrice si fosse limitata alla narrazione della famiglia borghese con le sue aberrazioni, sarebbe riuscita a creare un buon libro. Ha voluto strafare, invece, e il risultato è nel complesso deludente.
Nota sull’autore
Francesca Comencini è nata a Roma nel 1961, figlia di Luigi Comencini e sorella di Cristina. Sceneggiatrice e regista, ha diretto documentari e film quali Carlo Giuliani ragazzo (2002), Mi piace lavorare-Mobbing (2004) e Lo spazio bianco (2009, tratto dall’omonimo romanzo di Valeria Parrella). Famiglie è il suo primo libro.
Francesca Comencini, Famiglie
Fandango, 2011
pp. 322, euro 16,50
Per approfondire:
recensione sull’Unità
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