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Recensione in progress: Rossella Gaudenzi sta leggendo La Piramide (gran vía)

Juan Villoro, autore di La Piramide (gran vía edizioni) nasce a Città del Messico nel 1956. Scrittore, giornalista, drammaturgo, traduttore, Villoro è  uno dei più conosciuti e apprezzati esponenti della cultura ispanica. Riesce a dare corpo a una realtà distopica grazie a questo singolare thriller tropicale che è anche una storia di amicizia, colpa e redenzione, capace di raccontare con corrosive descrizioni il lato più complesso e contraddittorio dell’animo umano. Un romanzo che il quotidiano spagnolo «La Vanguardia» ha eletto tra i migliori del 2012.

Aprì l’anta scorrevole. Le mensole erano piene di oggetti.
«Puoi toccarli» aggiunse, come se si trattasse di gioielli.
C’erano un pupazzo a forma di tucano, una visiera trasparente, un fischietto, un pezzo di ferro, un frisbee verde acido, un coltello da caccia, una macchina fotografica di cartone, un compasso, un cubo di Rubik, un dalmata in miniatura, delle forbici di Zwilling, un elastico inclassificabile.
«Sono gli oggetti che dimenticano i turisti. Rimangono per sei mesi nel Lost&Found, poi vengono buttati. Sono riuscita a tenermi questi».
«ui Q Qui Lost&Found si dice Oggetti Smarriti» chiarii. «I gringos sono più ottimisti: credono che le cose si possano ritrovare».
«Mi tengo quelli che mi dicono qualcosa».
Il suo armadio era come la mia memoria: pezzi spaiati, parti di qualcosa.
“Che ti racconta il tuo armadio?” Non osai farle la domanda. La risposta poteva essere troppo triste.
La luce dorata del tramonto mi depresse ancora di più.
«Cos’hai?»
«Il sole mi deprime».
«Sei un freak. È l’oscurità a deprimere».
«Mi piacerebbe essere un negro cieco. Un negro cieco in una stanza senza luce. Un negro cieco in una stanza senza luce in Camerun».

Juan Villoro, La Piramide
traduzione di Maria Cristina Secci
gran vía, 2013

Recensione in progress: Rossella Gaudenzi sta leggendo Zoo col semaforo di Paolo Piccirillo (Nutrimenti)

Un nuovo aggiornamento della rubrica  FUORI TEMPO con la recensione in progress di Zoo col semaforo di Paolo Piccirillo, pubblicato nel 2010 da Nutrimenti. Dopo la copertina, proseguiamo il nostro approfondimento sul talentuoso scrittore casertano.

«Il cane è in posizione d’attacco. Le sue unghie vibrano sull’asfalto. Trema di rabbia, ringhia.
Dopo il primo urlo della madre del ragazzino, un urlo gracchiante e profondo, nel mercato c’è il gelo, nessuno che tira il fiato. Come se tutti, di colpo, cercassero tra le bancarelle una qualsiasi forma di vita per quel bambino, senza badare a spese.
Dopo il secondo urlo già si pensa al cane. Una vecchia grida di rompergli i denti subito.
Il pit bull si piscia addosso. Aspetta che escano le ultime gocce.
Le pietre, le pietre. Tutti cercano una pietra qualunque da buttare in faccia al pit bull.
Però il cane scappa via, apre in due la folla. Corre lontano.
Da una bancarella qualsiasi esce fuori un ragazzo che ha già in mano le chiavi del motorino. Appresso a lui un altro ragazzo su un altro motorino si muove come un serpente esperto nello scarso metro delle bancarelle.
Inseguono il pit bull.
Una voce, nella folla, grida: “Acciritel’ a chi l’omm’ ’e merd’”.
L’uomo di merda sarebbe il cane.»

Recensione in progress: Rossella Gaudenzi sta leggendo Prima gli idioti di Bernard Malamud (minimum fax)

«Mendel suonò. Il domestico, un uomo dalle lunghe basette, venne alla porta e disse che il signore e la signora Fishbein stavano cenando e non ricevevano nessuno.
“Che mangi in pace. Aspetteremo finché avrà finito”.
“Tornate domattina. Domattina il signor Fishbein vi parlerà. Non fa affari né elemosine, a quest’ora di notte”.
“L’elemosina non m’interessa”.
“Tornate domani”.
“Ditegli che è una questione di vita o di morte”.
“Vita o morte di chi?”
“Se non è la sua sarà la mia”.
“Non faccia tanto lo spiritoso”.
“Mi guardi in faccia”, insistette Mendel, “e mi dica se ne ho fino a domattina”.
Il domestico squadrò lui, poi Isaac, e con riluttanza li invitò a entrare».

Prima gli idioti – Bernard Malamud
Traduzione di Ida Omboni
minimum fax, 2012
pp. 243, 13€
Con un saggio inedito dell’autore

Recensione in progress: Eleonora Rossi sta leggendo Il collegio di Santa Lucia di Karen Russell

Un nuovo aggiornamento della rubrica FUORI TEMPO con la recensione in progress di Il collegio di Santa Lucia di Karen Russell, pubblicato da Elliot nel 2008.

Mia sorella e io staremo nella vecchia casa di nonno Dente di Sega fino a quando nostro padre, capo Grande Albero, non farà ritorno dal continente. È la prima estate che passiamo da sole nella palude. «Starete bene, ragazze» ha farfugliato il capo. «Date da mangiare agli alligatori e non parlate con gli sconosciuti. La sera chiudete la porta a chiave». Probabilmente si è dimenticato che il nonno ha una semplice porta a zanzariera: niente chiave, niente serratura. La vecchia dimora è un bungalow giallo screziato di ruggine al limitare dell’estuario degli uccelli selvatici. Ha un’unica stanza asfissiante. Tre finestre rudimentali in legno di palma nana, con i davanzali anneriti dalle zanzare. Un tetto di latta che mormorava al ricordo della pioggia. Adoro questo posto. Ogni volta che dal fiume arriva una raffica di vento dal cielo piovono foglie e piume. Durante la stagione degli accoppiamenti l’ardore degli uccelli fa sbatacchiare la finestra della camera.
Ora un tuono fa increspare il vetro sottile quasi fosse carta oleata. La pioggia estiva è ancora il suono più confortante che conosca. Mi piace fingere che siano le dita di mamma, che non c’è più, che tamburellano sul soffitto sopra le nostre teste. In lontananza, si sente l’urlo di un alligatore. Non è uno dei nostri, mi dico contrariata. È un esemplare che agisce di sua spontanea volontà. I nostri nascono nelle incubatrici. Se fanno qualche verso, è solo un grugnito svogliato, annoiato e satollo. Questo alligatore ha un urlo inimitabile, molto più forte, molto più vicino. Sorrido e mi tiro le coperte su fino al mento. Se Osceola l’ha sentito, non lo dà a vedere. Mia sorella è sdraiata sul lettino di fronte al mio. Ha gli occhi spalancati e sta sorridendo più e più volte nell’oscurità.
«Ehi, Ossie? Sei sola?».
La mia sorella maggiore ha interi regni dentro di sé, alcuni dei quali sono accessibili solo in determinate stagioni e con determinate condizioni meteorologiche. A uno in particolare puoi accedere durante le piogge d’estate, a mezzanotte, in quel verde alito di tempo che precede il sonno. Devi porre la domanda giusta, gettare il ponte di corde adatto a saltare l’abisso che ti separa da lei prima che il ponte crolli.
«Ossie? Siamo sole?»[…]

 Dal racconto Ava lotta con l’alligatore

Recensione in progress: Emanuela D’Alessio sta leggendo Città distrutte di Davide Orecchio (Gaffi)

Non è stato facile trovare una copia di Città distrutte, esordio seducente del romano quarantenne Davide Orecchio che ha vinto il Premio Mondello 2012 e il Premio Volponi 2012. Orecchio si misura con il genere biografico rivisitando frammenti di vita vissuta con  le lenti dell’immaginazione. Il risultato è sorprendente,  superati i confini tra realtà e finzione non si prova alcun rimpianto della verità.

«Quella notte entra nel giorno come si oltrepassa una frontiera scaduta ed Eschilo è consacrato nemico dei nemici del popolo».

«Eschilo si nasconde nel silenzio, nella manualità del lavoro scalando tralicci e diseppellendo congegni, sememorato di parole come se fossero scivolate nello squarcio che ha dentro».

«Se non sta in sede viaggia per regni rurali, affronta con Viafora strade di pietra, divallamenti e forre, bussa a porte di legno incrostate in villaggi che odorano di brace e castagne, varca recinti di pecore o minuscoli orti di broccoli, tiene brevi comizi dinanzi a pubblici di rughe e bambini, teste di donne coperte da feltri neri, gente che ficca le braccia nel petto come scudi».

dalla «biografia infedele» di Eschilo Licursi (1899-1964)  in Città distrutte

Recensione in progress: Rossella Gaudenzi sta leggendo Fiori di rovina di Patrick Modiano (Lantana)

Il boulevard Saint-Michel questa domenica sera è annegato in una nebbia di dicembre, e mi fa venire in mente l’immagine di una strada, una delle poche del Quartiere Latino – la sola, credo – che appaia spesso nei miei sogni. Ho finito per riconoscerla. Scende dolcemente verso il boulevard, e il contagio del sogno sulla realtà fa sì che la rue Cujas per me resterà sempre immobile nella luce di inizio anni Sessanta, una luce tenera e limpida che associo a due film di quel periodo: Lola e Adieu Philippines.

 

da Fiori di rovina di Patrick Modiano